Speciale Aldo Nove: un’intervista

Aldo Nove non ha bisogno di presentazioni, eppure come racchiudere all’interno di una biografia quella polimorfia di modi e forme che rappresenta l’esistenza di un artista e uomo di cultura contrassegnati da una forte intensità del sentire? Chi sono io? Sembra essere questa la domanda ontologica dell’uomo sensibile di ogni epoca e fase di transizione, domanda che connota l’individuo moderno in una dialettica continua tra l’ io e il mondo, da quel «chi sono io» così drammaticamente umano dell’Edipo del celebre motivo sofocleo, a Pirandello, e da qui ancora al nostro, quando in versi ora sublimi e ora tragici scrive: «Perché in questo momento non è dato / nessun principio in cui l’identità / s’approssimi a sé stessa» (Aldo Nove, Sonetti del giorno quarzo, Einaudi, 2022). 

Aldo Nove, pseudonimo di Antonio Centanin, è uno scrittore e poeta italiano. Nel 1996, dopo la laurea in filosofia morale, scrive Woobinda e altre storie senza lieto fine, edito da Castelvecchi e ripubblicato da Einaudi nel 1998 con il titolo Superwoobinda, e da Il Saggiatore nel 2024 con il titolo Woobinda e una nuova prefazione a firma dell’autore (con Il Saggiatore Nove pubblica anche il recentissimo romanzo Pulsar, 2024). Con il racconto Il mondo dell’amore, apparso nell’antologia Gioventù cannibale (Einaudi, 1996) viene collocato dalla stampa nella famiglia di genere pulp dei cosiddetti “Cannibali”, che annovera, tra gli altri, Niccolò Ammaniti. Negli anni successivi Nove si interessa di questioni sociali legate al tema del precariato e della flessibilità (tra i tanti Lo scandalo della bellezza, No Reply, 2005; Servizi & Servitori: la vita, al tempo del lavoro a tempo, con Alessandro Giglioli; Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, Einaudi Stile Libero, 2006, Premio “Stephen Dedalus”; La vita oscena, Einaudi, 2010; Giancarlo Bigazzi, il geniaccio della canzone italiana, Bompiani, 2012). Edoardo Sanguineti lo inserisce, insieme a Tiziano Scarpa e a Giuseppe Caliceti, nel suo Atlante del Novecento Italiano, ponendoli a chiusa del “secolo delle avanguardie” della letteratura italiana. Autore e artista poliedrico, ha pubblicato con Einaudi i libri di poesia: Nelle galassie oggi come oggi. Covers (2001, con Tiziano Scarpa e Raul Montanari), Maria (2007), A schemi di costellazioni (2010), Addio mio Novecento (2014), Poemetti della sera (2020) e Sonetti del giorno di quarzo (2022). 

 

Laura D’Angelo: Aldo Nove, innanzitutto la ringrazio per questa intervista. Biografia e identità. Nel suo percorso artistico e letterario il tema dell’identità è sempre presente, sia nella produzione narrativa che in quella lirica. Quanto conta e quanto resta dell’«io» oggi in una società sfaccettata e frammentata in profili virtuali e voci e equilibri sempre più fragili e cangianti sul piano identitario e esistenziale?

Aldo Nove: Non so se ricorda la splendida Meriggio di quell’ego ipertrofico di Gabriele D’Annunzio. Varrebbe la pena rileggerlo. Lì ci sono i due «io» che ci esprimono, e con i quali ci identifichiamo (o, per dirla con Dante, iniziamo a «trasumanar»). «L’io», pubblico o immaginato tale, gonfio e malato, che vive in funzione di un’immagine ingannevole ed esiziale. È il ciarpame della politica, degli influencer, dei media. Poi c’è «l’Io» che si fonde/confonde al tutto, che corrisponde alla perdita totale del primo. È la strada dei mistici, oggi sempre più impraticabile.

 

L.DA.: «Tutto ciò che definiamo / cultura va ricostruito […] / Non più forma / non più sostanza / Profitto». Sono versi tratti da Poemetti della sera (Einaudi, 2020).

A.N.: È una sintesi di quello che vedo e vivo. Il sistema sanitario non cura: fa business. La scuola non educa: fa business. I giornali e i telegiornali non informano: fanno terrorismo mediatico.

 

L.DA.: La sua ultima raccolta lirica s’intitola Sonetti del giorno quarzo (Einaudi, 2022) e rappresenta una summa intellettuale in forma di canzoniere, in cui il sonetto, nella sua salda strutturazione interna e nella sua autorevolezza lirica, diventa il significante simbolico della trasformazione in atto, o meglio, una sorta di correlativo oggettivo su cui convergono istanze simbolo della tradizione e tutti quegli orpelli decorativi che racchiudono la perdita di senso della modernità.

A.N.: È stato il mio ultimo libro con Einaudi. È uscito dopo la censura di cinque testi sulla dittatura sanitaria del 2020, dove gli intellettuali che hanno preso una posizione umanistica sono stati accusati di essere dei delinquenti oppure «resi invisibili». Gli schiavi del Potere finanziario hanno trovato il loro posto al sole, ma nulla, nella Storia, dura in eterno. Con la censura ai Sonetti ho chiuso con Einaudi e sono passato a il Saggiatore.

 

L.DA.: Scrivere televisivamente e scrivere oggi social-mente, in maniera instagrammabile. In Woobinda, abbiamo letto: «Poi un giorno mio padre disse che all’Esselunga c’era il tre per due». Una lingua nuova, una letteratura televisiva, quasi, che subisce le modifiche di una società di merci e di slogan e le rispecchia. Ma erano gli anni ’90, internet non ancora era entrato nelle nostre case. Qual è il ruolo dell’intellettuale oggi nella letteratura digitale?

A.N.: Suicidarsi.

 

L.DA.: In una società di consumatori, in cui si consumano non solo merci, ma anche esperienze, emozioni, relazioni, in cui si sceglie di vivere sulla superficie delle cose senza aderire al vero, in una società di navigatori virtuali, anzi di creators digitali, di followers, in cui immagini e forme si sbriciolano e moltiplicano nell’infinità dei pixels, in questa società dell’apparenza quale ruolo hanno le parole? La comunicazione social può condizionare la poesia?

A.N.: La comunicazione social uccide la poesia in quanto espressione di libertà e non di sottomissione a un gruppo di pazzi. Si possono cercare espedienti, in lotta quotidiana con algoritmi e venduti che censurano le fake news, ossia le verità. Lo stesso Zuckerberg ha dichiarato che durante la pandemenza era sotto controllo di CIA e FBI e ha dovuto censurare decine di migliaia di post. Così come oggi non si può dire che i bambini palestinesi starebbero meglio interi, invece che a pezzetti. Ci vuole un’abilità incredibile, ma anche molta fortuna (che muta sempre), per scampare al cappio della censura psicoide dei social.

 

L.DA.: Il tempo, l’infanzia, l’incanto tradito, «e infine tutto, tra domani e ieri» (Antonello, in Sonetti del giorno quarzo, cit.):

A.N.: Il «Fanciullino» di Pascoli, il «puer aeternus» di Hillman. Il tempo dell’ingenuità prima che la peggiore (in quanto subdola e fatale) dittatura di tutti i tempi ci «sconnettesse» dalla natura, e infine dall’umano. Provare a recuperare questa dimensione è l’unica alternativa possibile al, come dicevo prima, suicidio.

 
 
 
 
Foto di copertina: Mirco Toniolo / Errebi / Agf – Aldo Nove