Sequenze per sbagliare il bersaglio – Giulio Maffii


 
 
 
 

Se la salvezza passa / da una congiunzione
Sequenze per sbagliare il bersaglio, Giulio Maffii (Pietre Vive Editore, 2021)

 
 
 
 

L’esito della sfida definitoria (o definitiva?) rispetto alle Sequenze per sbagliare il bersaglio (Pietre Vive, 2021) di Giulio Maffii, nasce per me già dal titolo di questo mio stesso tentato testo analitico: ammettere la reale difficoltà solo nel citare uno dei versi del libro (è effettivamente un verso? Un verso di una poesia? Come renderlo graficamente?).

 

Mi son detta che il fuoco è proprio qui: che certamente sia poesia, ma che non ne esista una de-finizione e che non debba esistere.

 

Le parole si muovono autonome in uno spazio e in un tempo al di là del limite – anche in verso. Quasi a dirci che non ha importanza in quale delle dimensioni fisiche esistano i drammi del quotidiano nell’opera riportati. Piuttosto che si fanno «cristallo dell’accadere totale» (Walter Benjamin, Das Passagen-Werkin, 1982) in una storia che si universalizza riattualizzandosi costantemente e facendolo in una forma diffratta tutta caratterizzata dalla contemporaneità. Il contenuto degli eventi stessi si fa parlante per un proprio microcosmo articolato (o disarticolato?) in singole «costellazioni del risveglio» (ibid.), attraverso l’uso di schemi grafici e modelli generalmente utilizzati per presentazioni e progetti informatici.

In tale mappatura emotiva, in cui dis-astro e de-siderio guidano il lettore, l’autore cerca degli ancoraggi saldi che, forse, lui stesso ammette e riconosce come non fissabili; di certo c’è un ora continuo racchiuso nei circoli viziosi del layout anti-patico. Ciò che ne risulta da un suggerimento sussurrato nell’inconscio è che la costrizione di un vissuto entro i riquadri o le piramidi sulla carta – mirata a depotenziarlo nel suo valore intrinseco di esistenza; quel tentativo di automazione dell’essenza attraverso la forma – non può però sostenere il confronto con il peso specifico di una vita umana.

 

La disarticolazione grafica di questo corpo/vissuto agisce come una amputazione chirurgica che lascia solo dei monconi emozionali, una «frattura esposta» di cui la parola si fa evidenza radiografica.

Tali resti refrattari mi è sembrato si concentrino su temi ricorrenti e archetipici secondo parametri ricostituiti: degli amori slogati stanchi dimessi, consumati negli «alberghi a ore» dove l’esplosione del piacere massimo viene confusa col dolore atroce di una crocifissione. Un macello.

Compaiono poi ripetutamente i padri anche qui in una tridimensionalità sovvertita – a volerne recidere la figura o reificarla. Vanno così uccisi, i padri, scollati e sconfitti.

Infine un dio sempre in minuscolo reso cosa ordinaria, non più onnipotente eppure presente nel tutto. Un tutto che è minimo e sommesso – quasi a definire una personale iconografia del quotidiano. In questa religiosità lisa gli asciugamani sono sindoni stese a seccarsi, la neve preghiera e la divinità scoperta spezzettata in un cassetto. Ogni oggetto o gesto si fa testimone del martirio raccontato.

 

L’autore crea quindi un percorso le cui tappe sono nervi scoperti: in una poesia che è sia proiettiva sia introiettiva (il poeta non fa da cicerone nello spiegarsi del testo, pur tracciandone le linee sommarie), il bersaglio – il trigger point – è ogni riquadro casella pannello diagramma presente sulla pagina; dei concentrati algesici e trombotici in cui il lettore si imbatte costantemente a ogni moto d’occhio – in ogni dire/zione tra questi grafici. E forse le sequenze per sbagliare il bersaglio sono proprio l’ultimo disperato tentativo d’elusione del trauma, quella distrazione ricercata – lo spostamento d’accento a «fingere uno/ smarrimento o darsi/ morto per un giorno/ in più».

 

Di certo c’è che «se la salvezza passa/ da una congiunzione», il lavoro disgiuntivo messo in atto da Maffii nella sua opera è l’inesorabile conferma di un’impossibile assoluzione.

 

Arianna Vartolo