L’ultima opera di Italo Testa edita da Pordenonelegge – Samuele Editore (2024), nella collana Gialla, potrebbe sembrare un’opera incompiuta o, meglio, la sequenza, il fragmentum di un’opera maggiormente strutturata. Di fatto l’autore congeda il lettore precisando che le sezioni del libro «costituiscono quattro nuovi capitoli del poema che occupa la parte centrale de La divisione della gioia», già edito da Industria&Letteratura. Un poema, di fatto, può concentrare in sé la prolissità – intesa come estensione del componimento – ma anche l’elaborazione continua nel tempo, ed è proprio questo che l’autore sembra voler trasmettere, vale a dire una sorta di incontro a puntate con il lettore.
La scrittura è fluida, le immagini scorrono repentine in visioni concatenate e sequenziali, le pause variamente collocate danno ariosità al testo. I quattro componimenti, o canti, pur divisi da una titolazione sono intesi in un continuum di scene. Il poema comincia dalla probabilità di un incontro con una figura femminile («se un giorno, senza guardare, attoniti,/ salissimo invisibili su un tram») e progredisce nella fattività dell’unione carnale e in una perdizione amorosa segnata e contornata, nella primissima parte, da scenari urbani che mutano, «dopo l’amore», in scenari che si immergono lentamente in ambientazioni naturalistiche, dove l’elemento ‘natura’ prevale e si addensa in schegge illusorie e immaginarie: «il tuo sorriso sono questi alberi».
Nel secondo componimento lirico, la figura della donna è messa maggiormente a fuoco pur essendo presente una sorta di traslazione continua dell’“io poetante”, diventando a tratti una voce femminile – il titolo ne è un esempio – o perdendo, per un momento, il carattere lirico. Alcune scene sono vivide, erotiche e sensuali, impresse con un lessico privo di circonlocuzioni. Si denota, di fondo, un desiderio incandescente, a tratti appagato dalla corporalità e a tratti fumoso, in dissolvimento.
Il senso di una vita che si realizza nella pluralità di vite che coabitano le scene e che si intersecano in uno sguardo continuamente macroscopico («ma è questa la città che siamo»): è questo che sembra caratterizzare principalmente il poema. Ed è per questo che il versificare del poeta Testa esula la necessità di una scrittura fatta di tematiche predominanti o che possa nascere a partire da uno scopo contenutistico: è l’atto conoscitivo della vita in sé che si realizza e prende forma attraverso la poesia.
L’incontro con l’altro, nell’accezione erotico-amorosa, appare come il tentativo di afferrare la propria vita e di lasciare che tutto il resto dell’umanità svanisca:
«[…]
nella casa estiva di tuo padre
o chiusi nella nostra porzione
di mondo sogniamo l’esterno,
i massi abbandonati in cortile,
gli attrezzi rugginosi sull’aia
o la stalla dal tetto sfondato
e l’esterno ci visita nel sonno
abbatte i muri, le protezioni,
gli alberi crescono da dentro,
il pavimento un tappeto d’erba
e le tende vele luminose
si tendono e non siamo più qui,
[…]»
“L’amore si dividerà”, ultimo componimento del poema, comincia con un verso emblematico: «ma se l’occhio si scioglie nel mondo». Ed è precisamente ciò che appare nei versi del poeta Italo Testa: un occhio sciolto nel mondo, uno sguardo in grado di sovrastare e dominare interamente le cose, in una pluralità di prospettive.
Risulta, in aggiunta, antitetica la titolazione di quest’ultima parte, che pare per un certo verso voler segnare una “divisione” o una spaccatura. All’opposto, in quest’ultimo canto, sembra essere presente una sorta di circolarità: la parte conclusiva del poema sembra volersi riconciliare e unificare con il principio del poema stesso in quanto ricompare quel fluire di viaggiatori, quella «folla invisibile» che segna, come un nastro riavvolto, un tempo che ricomincia, apparentemente sempre uguale ma sempre diverso:
«[…]
mentre il tempo ti oltrepassa
resti in questa nuova attesa
ancora ferma al binario,
gli occhi persi in uno schermo
entrano nel flusso, nella schiera
dei viaggiatori che a ritroso
risalgono le correnti, remano
contro il flusso del tempo e restano
lì, sospesi, ancora a galla
[…]».
Serena Mansuero
ii.
Più Vicino
ora sei tu, o un altro, una donna
con i capelli raccolti, il volto
in ombra sul lenzuolo teso,
le piccole labbra appena visibili,
la luce che filtra tra le griglie,
ora sei tu, o un’altra, la tenda
leggera che ci separa dal mondo,
il tuo corpo e le mie convulsioni
quando non sono più mia e mi lasci
a tremare da sola sul letto,
senza più un volere, un desiderio,
solo il ventre che s’alza, s’abbassa,
le scapole alate nell’ombra,
il tuo profilo disteso che dorme:
se non sarò più mia, o di nessuno,
noi solo un’ombra nella notte,
una sagoma oscura tra tante
nel rumore indistinto del traffico
ci abbandoniamo al buio negli altri
in questa oscurità che ci accoglie,
o come le antenne delle barche
al mattino si stagliano erette,
nitide nell’aria che rinfresca,
così risvegliarsi, esser qualcuno,
dire il nostro nome e andare,
lasciarsi accendere con gioia
dalla luce diffusa dall’alto
sui tetti, sulla sodaglia incolta
ai margini degli abitati,
sul manto granuloso d’asfalto
di strade che digradano dolci,
svoltano, si perdono allo sguardo
e svaniscono in lontananza
nella luce a picco sul verde,
laggiù sotto il faro allucinato
dove ti spogliavi in quel mattino
ti lasciavi toccare lì dentro
e guardando altrove, divertita
sfioravi il mio sesso con le labbra
negli occhi le case sull’altra riva
la loro forma nuda e scabra,
la sagoma nel sole, divorata
o ancora l’estate e la violenza
segreta di un’immagine persa,
la ragazza in piedi che aspetta,
si ripara dal sole, scompare,
nello scatto successivo azzerata:
restano solo i blocchi squadrati,
le pietre gialle e la calura,
resta, più a lato, l’uomo di spalle,
il suo gesto solenne, indecifrabile,
come di chi non voglia vedere,
restano i caseggiati grigi
le grandi masse cupe, squadrate,
restano gli altri, gli sconosciuti
fermi su una soglia, alla deriva
in qualche stanza mentre si scrutano
e circospetti si avvicinano,
sentono montare il desiderio,
la brama che affiora sulla pelle
risale tra le gambe, i glutei,
si attacca a morsi alla carne viva
ed è quell’uomo, i suoi fianchi,
quella donna e le sue spalle possenti,
la presa, il fremito di una mano
che ti sfiora dietro l’orecchio
il fruscio degli slip che si abbassano,
l’aspro gusto del sesso degli altri:
è successo, e accadrà ancora,
anche tu sarai una di loro,
abiterai una casa, vivrai
senza saperlo come chiunque
un giorno ti sveglierai all’alba
guarderai dalla porta aperta
le colline buie a mezzacosta,
potrai aspettare che il sole sorga
o l’intero giro del mattino,
il mondo che si approssima e allontana
nella fitta trama della luce,
potrai leggere, dormire, stare
qui e altrove, lasciarti prendere
da un vago desiderio o provare
un moto violento, improvviso,
andare seguendo una traccia
incerta e avvertire a un tratto
il giorno più vicino, la vana
meraviglia della vita scorrere
veloce, rallentare, stare
ferma per un attimo sparire