Quanti millimetri ci separano dal buio? – Giovanni Ibello

foto di Dino Ignani

 
 
Cercava la risacca nelle pinete
fiutava l’ombra di un ago sul fondale,
la panacea di un abbandono.
Conta fino a zero, le dissi
salta nell’arco cinerino.
È tutto calmo
qui è davvero tutto calmo,
il sole è una biglia di benzodiazepina.
C’è ancora un intreccio
di gelsomini carbonizzati sulla pietra.
L’estate,
una valanga di aceto sopra i fiori.
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola,
non parlare.
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.
 
 
 
 
 
 
La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.
Brindo al disamore
al cuore profanato nell’acquaio
agli insetti fulminati nell’insegna.
Ci lega la parola feroce,
una giostra di penombre.
L’incanto di una teleferica,
l’esatto perimetro di un grido,
tu che muori
in quell’assillo di aranceti
che ritorna.
Era l’affanno antico,
l’anemone del giorno
divelto sopra i silos.
 
 
 
 
 
 
Amin, è quasi giorno,
è la resa dei fuochi invernali
l’ectoplasma del divenire.
Dio, gheriglio di stella
insegnaci a svanire
poco a poco
insegnaci il dialogo amoroso
tra i picchi delle braci
e l’arpionata notte.
Adesso è tutta luna nuova
mentre ancora
tiri a sorte la vena
dio anatema,
ti sfiori trasognato le palpebre…
Quanti millimetri ci separano dal buio?
 
 

Un poeta lo si riconosce dalla capacità di creare uno stile. Anni fa, prima che nascesse Una Scontrosa Grazia, ero con Mary Barbara Tolusso a Trieste a fare un piccolo incontro di poesia informale, una sorta di laboratorio o tentativo di laboratorio presso il celebre Caffè degli Specchi. Ricordo c’erano anche Federico Rossignoli e Sandro Pecchiari, poeti che poi negli anni si sono distinti e molto. Ricordo Mary disse una cosa che ho trovato interessante, anche se ancora non so se esserne completamente d’accordo: la cosa più importante per un poeta è essere riconoscibile in quello che scrive, prima ancora di quello che scrive.

Giovanni Ibello trovo in questo sia un poeta riconoscibile. Nei testi qui presi in considerazione infatti, tratti dal poemetto classificatosi Primo al Premio Fiumicino 2018 per gli inediti (a breve in pubblicazione in Italia a cura del Premio stesso, e in Russia in un volume di poesie scelte a cura di Paolo Galvagni), notiamo una precisa ricorrenza nella creazione di momenti di sospensione, di riflessione, legati allo schema che vuole solitamente tre versi per un’immagine alternati a distici, tanto da poterli considerare come piedi in più di ulteriori distici stessi.

Osservando ad esempio il primo testo e sottolineando con il grassetto i terzi versi che rappresentano una sorta di indulgere sull’immagine, notiamo:

 
Cercava la risacca nelle pinete
fiutava l’ombra di un ago sul fondale,
la panacea di un abbandono.
Conta fino a zero, le dissi
salta nell’arco cinerino.
È tutto calmo
qui è davvero tutto calmo,
il sole è una biglia di benzodiazepina.
C’è ancora un intreccio
di gelsomini carbonizzati sulla pietra.
L’estate,
una valanga di aceto sopra i fiori.
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola,
non parlare.
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.
 
 

Rendiamo ora maggiormente visibile tale struttura isolando le parti del testo:

 
Cercava la risacca nelle pinete
fiutava l’ombra di un ago sul fondale,
la panacea di un abbandono.
 
 
Conta fino a zero, le dissi
salta nell’arco cinerino.
 
 
È tutto calmo
qui è davvero tutto calmo,
il sole è una biglia di benzodiazepina.
 
 
C’è ancora un intreccio
di gelsomini carbonizzati sulla pietra.
 
 
L’estate,
una valanga di aceto sopra i fiori.
 
 
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola,
non parlare.
 
 
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.
 
 

Considerando invece i momenti di pausa nella velocità del testo, anche oltre la suddivisione in due e tre versi, leggiamo il terzo preso in considerazione:

 
Amin, è quasi giorno,
è la resa dei fuochi invernali
l’ectoplasma del divenire.
Dio, gheriglio di stella
insegnaci a svanire
poco a poco
insegnaci il dialogo amoroso
tra i picchi delle braci
e l’arpionata notte.
Adesso è tutta luna nuova
mentre ancora
tiri a sorte la vena
dio anatema,
ti sfiori trasognato le palpebre…
Quanti millimetri ci separano dal buio?
 
 

I due versi sottolineati col grassetto appaiono come una sorta di rotondità stilistica che dice “qui devi soffermarti un attimo, prendi fiato”. E in effetti Giovanni Ibello può ben essere considerato un poeta della sospensione, del momento in cui prendere fiato per arrivare a delle chiuse sempre estremamente efficaci:

 
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.
 
 

Verso introdotto dalla terzina, rafforzata dalla ripetizione:

 
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola,
non parlare.

 
 

Oppure:

 
Quanti millimetri ci separano dal buio?
 
 

Verso introdotto da:

 
Adesso è tutta luna nuova
mentre ancora
tiri a sorte la vena
dio anatema,
ti sfiori trasognato le palpebre…

 
 

Nei quali le assonanze nuova/ancora e vena/anatema, legate soprattutto nel secondo caso alla differente misura dei versi (tiri a sorte la vena / dio anatema, / ti sfiori trasognato le palpebre) creano il succitato momento di sospensione che accompagna e sottolinea la chiusa.

Altra cosa da sottolineare in Giovanni Ibello è la volontà/capacità di mettere insieme diversi mondi e modi nel medesimo testo. Vi è infatti un raccogliere toni più “classici” assieme all’uso di termini più “contemporanei” nel senso di “impoetici” (in linea con tanta parte di poesia contemporanea). Si veda l’accostamento ad esempio tra:

 
Cercava la risacca nelle pinete
 
[…]  
il sole è una biglia di benzodiazepina.
 
 

Oppure, in altro testo:

 
La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.

 
[…]  
L’incanto di una teleferica
 
[…]  
Era l’affanno antico
 
[…]  
divelto sopra i silos.
 
 

Ma è nelle chiuse che Giovanni Ibello si contraddistingue oltre a quanto appena detto. Penetranti ma non aggressive, momenti ulteriori di riflessione, versi che spesso reggono l’intero testo. Quanti millimetri ci separano dal buio infatti pone una questione che va ben oltre la misura della notte e l’esperienza privata dell’autore (Dio, gheriglio di stella / insegnaci a svanire / poco a poco / insegnaci il dialogo amoroso). È uno sguardo al bordo sottile che non vede oltre il cespuglio ma si concentra su quanto manca al cespuglio, che mette gli occhiali per osservare meglio la vita. O, per citare le parole stesse dell’autore, l’esatto perimetro di un grido.

Alessandro Canzian