POESIA A CONFRONTO: Pugni nello stomaco

foto da La Gazzetta di Mantova

 
 
 
 

POESIA A CONFRONTO: Pugni nello stomaco
ROSSELLI, GINSBERG, SEXTON, FERRARI

 
 

La poesia può essere quanto di più lontano esista dalla concezione comune e popolare per cui deve essere testimonianza del sublime, dell’elevato, della bellezza nel senso alto. La poesia sa essere anche denuncia senza compromessi, può usare un linguaggio irriverente, sgradevole per il lettore, fino al punto di essere traumatico, respingente. È quanto avviene nei testi che proponiamo.

Amelia Rosselli ci dà l’evidenza di una voce femminile di rottura che usa un linguaggio impudico, densamente analogico, a tratti indecifrabile, con una sintassi irregolare e scomposta, una scelta dei termini inconsueta e impudica a partire da “urina” nel primo verso. La sensazione che se ne raccoglie è di un rapporto estremamente turbato con l’esistenza, la difficoltà a darle ordine, a trovare le parole concilianti che possano giungere a una sintesi: il dilemma resta irrisolto, la ferita aperta.

Con Allen Ginsberg, di cui si riporta l’incipit del suo celeberrimo poema “Urlo”, siamo di fronte al grido di denuncia e di libertà delle nuove generazioni che si stanno imponendo su un mondo tradizionalista, conservatore, perbenista. Il maggior esponente della beat generation usa una terminologia concreta, senza orpelli, per rappresentare un mondo nuovo per il quale serve appunto una lingua nuova.

La poesia di Anne Sexton, decisamente più comunicativa e esplicita, rappresenta bene lo spirito di quegli anni in un’America ancora soggiogata dal perbenismo borghese e in cui le donne iniziavano a rivendicare il loro diritto di scelta a una vita libera, decisa solo da loro: una figura di donna che viene difesa, in cui l’autrice si identifica; una donna emancipata e, quindi, osteggiata; una donna che, appunto, non è considerata una donna dalle convenzioni sociali. Impiegando immagini che fanno riferimento ai processi medievali per stregoneria, ne esce una forza espressiva potente, che bene rappresenta il coraggio di una donna che per questi suoi diritti non si vergogna a essere stigmatizzata, oppressa, a doverne morire.

Infine Ivano Ferrari, nel suo capolavoro “Macello”, denuncia con evidenza i soprusi, le violenze gratuite, l’abbrutimento degli uomini che si trovano a lavorare, giorno dopo giorno, nel macello del titolo. Ne esce un’idea di umanità sprezzante e crudele nei confronti di animali indifesi, incolpevoli, le cui sofferenze sono indicibili, nascoste a chi non conosce questo ambiente di sfruttamento, di male assoluto. Il linguaggio è senza mediazioni, impunemente scabro, in un’idea di poesia come rappresentazione oggettiva, lama che incida sulle coscienze, sulla responsabilità di ciascuno.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
AMELIA ROSSELLI
(da Variazioni belliche”, Garzanti, 1964 – nella sezione “Poesie”, 1959)
 
la mia fresca urina spargo
tuoi piedi e il sole danza! danza! danza! – fuori
la finestra mai vorrà
chiudersi per chi non ha il ventre piatto. Sorridente l’analisi
si congiungerà – ma io danzo! danzo! – incolume perché
‘l sole danza, perché vita è muliebre sulle piantagioni
incolte se lo sai. Un ebete ebano si muoveva molto
cupido nella sua
fermezza: giro! giro! come tre grazie attorno al suo punto
d’oblio!
 
 
 
 
 
 
ALLEN GINSBERG
(DA Urlo, 1955-56)
 
Ho visto le migliori menti della mia generazione
distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche
trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa
hipster dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste
con la dinamo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua
fredda fluttuando nelle cime delle città, contemplando jazz
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated
e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette
che si accucciavano in mutande in stanze non sbarbate bruciando denaro nella spazzatura
e ascoltando il Terrore attraverso il muro
Ho visto le migliori menti della mia generazione che mangiavano fuoco in hotel ridipinti
o bevevano trementina in Paradise Alley, morte, o si purgatoriavano il torace
notte dopo notte con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti, alcol e cazzo e balle-sballi senza fine,
che vagavan su e giù a mezzanotte per depositi ferroviari chiedendosi dove andare, e andavano, senza lasciare cuori spezzati,
Ho visto le migliori menti della mia generazione
che trombavano in limousine col cinese di Oklahoma su impulso invernale mezzonotturno illampionata pioggia di provincia,
che ciondolavano affamate e sole per Houston cercando jazz o sesso o zuppa,
e seguivano quel brillante spagnolo per conversare d’America e d’Eternità, tempo sprecato, e poi via per nave in Africa
 
[…]  
(Da Allen Ginsberg, Jukebox all’idrogeno, a cura di Fernanda Pivano, Ugo Guanda Editore, 2001)
 
 
 
 
 
 
ANNE SEXTON
(da Una come lei e altre poesie, a cura di M. de Carneri, Via del Vento Edizioni)
 
UNA COME LEI
 
Sono uscita, una strega posseduta
che caccia l’aria nera, più intrepida di notte
che sogna il male, ho fatto il mio dovere
al di sopra delle case normali, luce per luce:
creatura solitaria, con dodici dita, fuori di sè.
Una donna così non è una donna, del tutto.
Io sono stata come lei.
 
Ho trovato le caverne calde nei boschi,
le ho riempite di tegami, intagli, ripiani,
stanzini, sete, innumerevoli oggetti;
ho preparato cene per vermi e gli elfi:
lamentandomi, riordinando il disallineato.
Una donna così è fraintesa.
Io sono stata come lei.
 
Ho viaggiato nel tuo carro conducente,
ho salutato con le mie braccia nude i villaggi che passavano,
imparando gli ultimi luminosi tragitti, sopravvissuta
dove le tue fiamme ancora mordono la mia coscia
e le mie costole si incrinano dove turbinano le tue ruote.
Una donna così non si vergogna di morire.
Io sono stata come lei.
 
(traduzione di Marina de Carneri)
 
 
 
 
 
 
IVANO FERRARI
(da Macello, Einaudi, 2004)
 
Dove nasconderà le lacrime?
Se la domanda pende sul cranio
sfondato di un puledro
sfumo affannando versi
subendo animali e cose.
 
 
 
 
Per i problemi dell’anima
la sala stoccaggio:
coi quarti e le mezzene senza sangue
i cartellini del sesso
l’etichetta di destinazione
la delazione cosciente della bilancia.
Ci si confessa pestando reni di scarto
schegge d’ossa e strati di grasso.
Più liberi, dopo, divoriamo
fettine di carne cruda (dei quarti più belli)
appena un po’ di sale
e tanta devozione.
 
 
 
 
Lo stanzino in fondo allo spogliatoio
è detto delle seghe
affisse a tre pareti foto di donne
dalla vagina glabra
nell’altra il manifesto di una vacca
che svela con differenti colori
i suoi tagli prelibati.