POESIA A CONFRONTO – L’attimo fuggente
ORAZIO, HERRICK, THOREAU, WHITMAN
Il film “L’attimo fuggente” (titolo originale “Dead Poets Society”), uscito al botteghino in Italia nel 1989, resta sicuramente, nell’immaginario popolare, uno dei film di riferimento in cui centrale è la poesia. Il protagonista, il professore John Keating (Robin Williams), è un educatore che va controcorrente, rispetto a un modello di formazione rigido e stantio, e spinge i ragazzi a interrogarsi sinceramente sulle loro aspirazioni e sul senso della vita, il tutto ricorrendo come strumento privilegiato alla poesia, invitandoli ad accettare la sfida di scrivere “il loro verso”, quello che li rappresenti davvero.
Il confronto di oggi si basa su poesie che fanno tutte riferimento al film e alla celebre frase pronunciata da John Keating: “Carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi! Rendete straordinaria la vostra vita!”.
Inevitabile partire dalla celeberrima ode di Orazio a Leuconoe, ode che è un invito a vivere la vita nella pienezza, appunto, dell’istante, senza interrogarsi inutilmente sulle ragioni del futuro, ma accettando con consapevolezza tutto quanto la vita ci riserva. L’ode è improntata a compostezza classica, raggiunta con la simmetria (concinnitas) della struttura perseguita anche con la ripetizione (quem mihi / quem tibi; seu / seu), solo misurati contrasti (temptaris / pati; spatio brevi / spem longam) e uso circospetto della “callida iunctura”: tutto contribuisce a costruire una poesia-pensiero di composta riflessività, con un forte sostrato filosofico di fondo.
Il tema del carpe diem è ripreso dalla poesia di Herrick di cui nel film si cita la prima delle quartine riportate (che è di fatto una riscrittura da Orazio). Qui l’invito alle vergini (riportate nel titolo) è a sfruttare la pienezza della gioventù per scegliere consapevolmente il matrimonio come sbocco coerente di una vita che non può essere un continuo indugio: le immagini del sole e della rosa servono a dare evidenza al concetto espresso nelle quartine successive, come messaggio esplicito a saper fare buon uso del tempo breve che abbiamo a disposizione (“Then be not coy, but use your time”).
Fra le citazioni che si imprimono maggiormente sullo spettatore c’è senz’altro quella di Thoreau, tratta da un romanzo che, nel passaggio riportato, ha dignità di prosa poetica. Il messaggio del carpe diem si riscrive nella formula: “non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto”, “succhiare tutto il midollo” della vita; la scelta dell’allontanamento dalla società (da intendere qui in senso figurato) e dalle sue convenzioni castranti e stantie permette la riappropriazione della propria vita, la sua restituzione alle priorità autentiche in cui si crede, come insegna Keating ai suoi allievi.
E poi, naturalmente, Walt Whitman, affettuosamente chiamato da Keating “zio Walt”. Tutti ricordano la scena in cui il prof. Keating chiede a un allievo di urlare il suo “barbarico yawp sui tetti del mondo”, grido di libertà e di autodeterminazione insieme, quelle di cui scrive Whitman (padre della nuova consapevolezza americana, di una nazione che si sta affacciando sul mondo da protagonista). La citazione è presa dalla sezione di “Song of myself” in cui è presente anche la celebre “I contain multitudes”, dichiarazione esplicita del nuovo ruolo della poesia nel farsi interprete della contemporanea società di massa, in fase di sviluppo e affermazione dalla seconda metà del XIX secolo, e della ridefinizione del rapporto problematico fra un io “intraducibile” e il mondo di cui sa di essere parte attiva.
Ed è con l’appellativo di “capitano, mio capitano” che gli allievi si rivolgono, nella scena finale del film, al professor Keating, riprendendo il titolo dell’ode, struggente e famosissima, dedicata da Whitman a Lincoln (“Fallen cold and dead” come si dice in epifora a ciascuna strofa). Il tono della poesia è epico e tragico insieme, dà evidenza del dramma della nazione che ha perso il proprio padre politico (“dear father”) e la sua guida etica e spirituale, assassinata proprio quando il traguardo pareva raggiunto (”the prize we sought is won”, “with object won”) e la nazione in guerra civile finalmente pacificata. Le frequenti esclamazioni e ripetizioni, il contrasto fra la folla in festa e il capitano ucciso, danno un tono solenne alla poesia, amplificato dalla chiusa funerea con quei versi: “But I with mournful tread / Walk the deck my Captain lies / Fallen Cold and dead” – e, con un evidente parallelo, gli allievi dovranno rinunciare al loro maestro, rimosso dall’incarico e ingiustamente accusato per il suicidio di uno dei suoi alunni. Consapevoli che mai potranno dimenticarlo.
Fabrizio Bregoli
QUINTO ORAZIO FLACCO
(da Carmina – 23 a.C.)
I, 11
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati!
Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum, sapias: vina liques et spatio brevi
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
I, 11
Tu non chiedere – non è lecito sapere – quale sorte gli dèi
diedero a me, quale a te, Leuconoe, e non scomodare i vaticini
babilonesi. Quant’è meglio, qualunque cosa accada, accettarla!
Che Giove ci riservi ancora molti inverni, o sia questo
l’ultimo, questo che ora sfianca tra opposti scogli di pomice il mare
Tirreno, tu sii saggia: versa il vino e taglia corto con la speranza
che crede di saperla lunga. Mentre parliamo, già fugge invidioso
il tempo: afferra l’attimo, confidando, meno che puoi, nel futuro.
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
ROBERT HERRICK
(Da Hesperides, 1648)
To the Virgins, to Make Much of Time
«Gather ye rosebuds while ye may,
Old Time is still a-flying;
And this same flower that smiles today
Tomorrow will be dying.
The glorious lamp of heaven, the sun,
The higher he’s a-getting,
The sooner will his race be run,
And nearer he’s to setting.
That age is best which is the first,
When youth and blood are warmer;
But being spent, the worse, and worst
Times still succeed the former.
Then be not coy, but use your time,
And while ye may, go marry;
For, having lost but once your prime,
You may forever tarry.»
Alle vergini, perché facciano buon uso del loro tempo
Cogli la rosa quando è il momento,
che il tempo, lo sai, vola
e lo stesso fiore che sboccia oggi,
domani appassirà.
La lampada gloriosa del cielo, il sole,
quanto più in alto sale all’orizzonte
tanto più presto compirà il suo corso
e più vicino sarà il tramonto.
La stagione migliore è la prima,
quando la gioventù del sangue lo fa più ardente;
ma una volta trascorsa, il peggio e il peggior
tempo hanno già la meglio su di lei.
Perciò non fare la smorfiosa, ma usa bene
il tuo tempo e appena puoi, sposati;
perché, perduta una volta per tutte la gioventù,
potresti esserti giocata tutto, per sempre.
(La traduzione della prima quartina è quella adottata nel doppiaggio italiano del film
Per le quartine successive traduzione di Fabrizio Bregoli)
HENRY DAVID THOREAU
(Da Walden ovvero Vita nei boschi – 1854)
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Il fatto è che non volevo vivere quella che non era una vita a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa, volevo vivere da spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.
(traduzione adottata nel doppiaggio italiano del film)
WALT WHITMAN
(Da Leaves of Grass – Philadelphia, David McKay, 1892)
SONG OF MYSELF (51-52)
Do I contradict myself?
Very well then I contradict myself,
(I am large, I contain multitudes.)
I concentrate toward them that are nigh, I wait on the door-slab.
Who has done his day’s work? who will soonest be through with his supper?
Who wishes to walk with me?
Will you speak before I am gone? will you prove already too late?
The spotted hawk swoops by and accuses me, he complains of my gab and my loitering.
I too am not a bit tamed, I too am untranslatable,
I sound my barbaric yawp over the roofs of the world.
CANZONE DI ME STESSO (51-52)
Mi contraddico?
Molto bene: allora mi contraddico
(ho tutto lo spazio che serve, contengo moltitudini)
Mi concentro su chi mi è vicino, lo aspetto sulla soglia di casa.
Chi ha già terminato il suo turno di lavoro? Chi ancora prima sbrigherà la cena?
Chi desidera camminare con me?
Parlerai prima che me ne sia andato? O ti troverai già in ritardo?
Il falco maculato mi piomba vicino e mi accusa, si lamenta delle mie chiacchiere e del mio bighellonare.
Anch’io non sono stato domato, niente affatto. Anch’io sono intraducibile,
faccio risuonare il mio barbarico yawp sopra i tetti del mondo.
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
O CAPTAIN! MY CAPTAIN!
O Captain! my Captain! our fearful trip is done;
The ship has weather’d every rack, the prize we sought is won;
The port is near, the bells I hear, the people all exulting,
While follow eyes the steady keel, the vessel grim and daring;
But O heart! heart! heart!
O the bleeding drops of red,
Where on the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.
O Captain! my Captain! rise up and hear the bells;
Rise up — for you the flag is flung — for you the bugle trills;
For you bouquets and ribbon’d wreaths — for you the shores a-crowding;
For you they call, the swaying mass, their eager faces turning;
Here Captain! dear father!
This arm beneath your head!
It is some dream that on the deck
You’ve fallen cold and dead.
My Captain does not answer, his lips are pale and still;
My father does not feel my arm, he has no pulse nor will;
The ship is anchor’d safe and sound, its voyage closed and done;
From fearful trip the victor ship comes in with object won;
Exult, O shores, and ring, O bells!
But I with mournful tread
Walk the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.
O CAPITANO! MIO CAPITANO!
O Capitano! mio Capitano! Il nostro viaggio spaventoso è finito;
la nave ha superato tutte le avversità, il premio ambito è giunto;
il porto è vicino, sento le campane, tutta la gente che esulta,
mentre gli occhi seguono la chiglia ben salda, il vascello severo e intrepido;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O gocce di un rosso che sanguina
sul ponte dove giace il mio Capitano.
Caduto. Freddo. Morto.
O Capitano! Mio Capitano! Alzati e ascolta le campane;
Alzati — per te svetta la bandiera — per te squillano le trombe;
per te mazzi di fiori e ghirlande con nastri — per te le rive affollate;
chiamano te i volti entusiasti che si voltano, la massa che è in tumulto;
Qui Capitano! Padre amato!
Questo braccio a sorreggerti il capo!
È per qualche strano incantesimo che sul ponte
sei caduto. Freddo. Morto.
Il mio Capitano non risponde, le sue labbra sono pallide e contratte;
Mio Padre non sente il mio braccio, non ha né battito né volontà;
La nave è all’ancora sana e salva, il suo viaggio è finito e compiuto;
Dal viaggio spaventoso la nave è giunta vittoriosa, fedele al suo compito;
Esultate, spiagge, e suonate, campane!
Ma io con passo funereo
cammino sul ponte dove giace il mio Capitano.
Caduto. Freddo. Morto.
(traduzione di Fabrizio Bregoli)