POESIA A CONFRONTO – La pioggia

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POESIA A CONFRONTO – La pioggia
D’ANNUNZIO, PRÉVERT, BERTOLUCCI, CAPPELLO

 
 

La pioggia ha senz’altro un fascino indiscutibile ed è capace di suscitare sentimenti molto diversi e spesso contraddittori: più spesso si associa alla malinconia, in combinazione con il suo sopraggiungere in chiusura dell’estate, ma il suo elemento acquatico, primigenio e fondativo dell’esistenza, la carica di molte altre implicazioni, sfaccettature su cui i poeti hanno costruito versi molti dei quali ormai patrimonio della nostra tradizione letteraria.

Partiamo da un grande classico della letteratura italiana, croce e delizia degli studenti quando ancora si usava imparare le poesie a memoria: La pioggia nel pineto. Capolavoro assoluto dell’estetismo dannunziano è la poesia manifesto di Alcyone in cui trova realizzato al massimo grado quel sentimento di appartenenza panica alla natura che anima l’intera raccolta. La costruzione della poesia, in strofe lunghe con prevalenza di versi liberi, si basa su frequenti rime, assonanze, rime interne, giochi verbali che modulano un ritmo musicale unico, contrappuntistico, tutto volto alla messa in evidenza di quel clima di “favola bella” d’amore che ne è il motivo di fondo.

Altrettanto celebre, come Ermione, è anche la Barbare dei versi di Prévert. La pioggia della Bretagna che vide ieri svolgersi sotto gli occhi del poeta il compiersi di un amore è rimasta la stessa, a cadere incessantemente per le vie, presso il mare, ma oggi tutto è cambiato: siamo in tempo di guerra, quella “pioggia buona e felice” è diventata una “pioggia di ferro”, “di sangue”, “di lutti terribili” che si consumano senza senso. La desolazione è assoluta, nessun amore può compensarla, tutto scompare in un nulla onnivoro, come “i cani che spariscono / sul filo dell’acqua a Brest”. Poesia dell’immediatezza e della spontaneità, questa di Prévert, elemento che ha contribuito a decretarne il successo.

Nella poesia di Bertolucci, tutta segnata da un andamento narrativo che si costruisce lungo un unico lunghissimo periodo interrogativo, che si frammenta in numerosi enjambement e inarcature ulteriori imposte dalla strutturazione in quartine, la pioggia è oggetto di un’invocazione, perché torni, e così non permetta alla stagione calda di prevalere con il suo “veleno”. La pioggia diventa “il discorso interrotto” che sa rinnovarsi a ogni autunno, il segreto della terra a cui apparteniamo, perché la sua presenza instaura una connessione segreta fra i vivi e i morti: solo lei è in grado di mostrare “quando l’amore // durava sino alla consumazione del dolore”.

Nella poesia di Cappello, che si distingue per la delicatezza e la leggerezza sia dei contenuti sia della forma, la pioggia diventa una “carezza lunga”, “nel cerchio del tempo buono” in cui ci si può riconoscere “due sguardi versati in un corpo”, pronti ad accogliere la vita, in tutto il suo dono e il suo mistero, proprio come un albero “capovolto” che protende le sue radici “nell’aria”, nell’ora in cui davvero è possibile pensare di congiungersi al mistero della vita, alla sua natura più vera.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
GABRIELE D’ANNUNZIO
(Da Alcyone – Treves, 1903)
 
LA PIOGGIA NEL PINETO
 
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
 
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
 
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
 
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
 
 
 
 
 
 
JACQUES PRÉVERT
(da Paroles – 1946)
 
BARBARA
 
Rappelle-toi Barbara
Il pleuvait sans cesse sur Brest ce jour-là
Et tu marchais souriante
É panouie ravie ruisselante
Sous la pluie
Rappelle-toi Barbara
Il pleuvait sans cesse sur Brest
Et je t’ai croisée rue de Siam
Tu souriais
Et moi je souriais de même
Rappelle-toi Barbara
Toi que je ne connaissais pas
Toi qui ne me connaissais pas
Rappelle-toi
Rappelle-toi quand même ce jour-là
N’oublie pas
Un homme sous un porche s’abritait
Et il a crié ton nom
Barbara
Et tu as couru vers lui sous la pluie
Ruisselante ravie épanouie
Et tu t’es jetée dans ses bras
Rappelle-toi cela Barbara
Et ne m’en veux pas si je te tutoie
Je dis tu à tous ceux que j’aime
Même si je ne les ai vus qu’une seule fois
Je dis tu à tous ceux qui s’aiment
Même si je ne les connais pas
Rappelle-toi Barbara
N’oublie pas
Cette pluie sage et heureuse
Sur ton visage heureux
Sur cette ville heureuse
Cette pluie sur la mer
Sur l’arsenal
Sur le bateau d’Ouessant
Oh Barbara
Quelle connerie la guerre
Qu’es-tu devenue maintenant
Sous cette pluie de fer
De feu d’acier de sang
Et celui qui te serrait dans ses bras
Amoureusement
Est-il mort disparu ou bien encore vivant
Oh Barbara
Il pleut sans cesse sur Brest
Comme il pleuvait avant
Mais ce n’est plus pareil et tout est abimé
C’est une pluie de deuil terrible et désolée
Ce n’est même plus l’orage
De fer d’acier de sang
Tout simplement des nuages
Qui crèvent comme des chiens
Des chiens qui disparaissent
Au fil de l’eau sur Brest
Et vont pourrir au loin
Au loin très loin de Brest
Dont il ne reste rien.
 
 
 
 
 
 
BARBARA
 
Ricordati Barbara
Pioveva senza sosta quel giorno su Brest
E tu camminavi sorridente
Serena rapita grondante
Sotto la pioggia
Ricordati Barbara
Come pioveva su Brest
E io ti ho incontrata a rue de Siam
Tu sorridevi
Ed anch’io sorridevo
Ricordati Barbara
Tu che io non conoscevo
Tu che non mi conoscevi
Ricordati
Ricordati quel giorno ad ogni costo
Non lo dimenticare
Un uomo s’era rifugiato sotto un portico
E ha gridato il tuo nome
Barbara
E sei corsa verso di lui sotto la pioggia
Grondante rapita rasserenata
E ti sei gettata tra le sue braccia
Ricordati questo Barbara
E non mi rimproverare di darti del tu
Io dico tu a tutti quelli che amo
Anche se una sola volta li ho veduti
Io dico tu a tutti quelli che si amano
Anche se non li conosco
Ricordati Barbara
Non dimenticare
Questa pioggia buona e felice
Sul tuo volto felice
Su questa città felice
Questa pioggia sul mare
Sull’arsenale
Sul battello d’Ouessant
Oh Barbara
Che coglionata la guerra
Che ne è di te ora
Sotto questa pioggia di ferro
Di fuoco d’acciaio di sangue
E l’uomo che ti stringeva tra le braccia
Amorosamente
E’ morto disperso o è ancora vivo
Oh Barbara
Piove senza sosta su Brest
Come pioveva allora
Ma non è più la stessa cosa e tutto è crollato
È una pioggia di lutti terribili e desolata
Non c’è nemmeno più la tempesta
Di ferro d’acciaio e di sangue
Soltanto di nuvole
Che crepano come cani
Come i cani che spariscono
Sul filo dell’acqua a Brest
E vanno ad imputridire lontano
Lontano molto lontano da Brest
Dove non vi è più nulla
 
(Da Poesie – Guanda, 2012 – con traduzioni dal francese di Maurizio Cucchi e Giovanni Raboni)
 
 
 
 
 
 
ATTILIO BERTOLUCCI
(Da Poesie – Garzanti, 2014)
 
ASPETTANDO LA PIOGGIA
 
Che ne sarà di noi se nuvole
non se ne presenteranno più
in questa terra amata proprio
per la sua verde umidità,
se le scorte finiranno prima
dell’inverno per noi e per
gli animali e il tempo bello
umetterà ogni mattina gli orli
delle finestre come un veleno
e la luna ogni notte entrerà
nelle nostre stanze impedendoci
di dormire, se non sapremo più
che fiori portare a coloro
che ci aspettano per chiederci
come mai ancora non li ha
svegliati verso l’alba il rumore
della pioggia sui coppi bruniti
così che possa riprendere
il discorso interrotto un altro
autunno quando l’amore
durava sino alla consumazione del dolore?
 
 
 
 
 
 
PIERLUIGI CAPPELLO
(Da Mandate a dire all’imperatore – Crocetti, 2010)
 
PIOVE
 
Piove, e se piovesse per sempre
sarebbe questa tua carezza lunga
che si ferma sul petto, le tempie;
eccoci, luccicante sorella,
nel cerchio del tempo buono, nell’ora indovinata
stiamo noi, due sguardi versati in un corpo,
uno stare senza dimora
che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita
da me a te né dopo né dove, amore, nello scorrere
quando mi dici guardami bene, guarda:
l’albero è capovolto, la radice è nell’aria.