POESIA A CONFRONTO: La fine dell’amore

POESIA A CONFRONTO: La fine dell’amore

 
 
 
 

POESIA A CONFRONTO: La fine dell’amore
CATULLO, MAJAKOVSKIJ, ACHMATOVA, PAVESE

 
 
 

Quando un amore finisce è una parte della nostra vita a finire, a chiedere trasformazione e cambiamento, spesso con un forte sovvertimento della nostra interiorità, della nostra catena di valori, delle nostre abitudini e convinzioni. Al dramma della perdita, della fine, è appunto dedicato il confronto di oggi.
Nel carme VIII Catullo affronta la necessità, ormai categorica, di rompere definitivamente con Lesbia, di non essere più schiavo del suo amore. Sono lontani i giorni sereni vissuti con Lesbia (“candidi soles”), quelli dei giochi amorosi, del reciproco cercarsi e concedersi; ora occorre resistere (“obdura”): questa è la nuova parola d’ordine, cioè prendere coscienza dell’inganno che è stato, accettare il distacco e l’abbandono. Ma non mancano le parole di rimprovero a chi questo inganno ha consumato, parole che prendono la forma di una sequenza di domande retoriche incalzanti, che sono veri e propri capi d’accusa a Lesbia, compreso quello splendido e carnale “cui labella mordebis?”, in cui è ancora vivo, in tutta la sua pienezza, il segno indelebile di quella grande passione che fu.
Anche un poeta inquieto e esplosivo come Majakovskij non resta immune ai travagli d’amore, causati dal suo rapporto tempestoso con la sua Lilička: è giunto il giorno dell’addio, del “passo che s’allontana”, del “cuore rivestito di ferro” che ha preso il posto della “tenerezza”, quell’ultima tenerezza alla quale tuttavia il poeta è incapace di rinunciare. C’è una sottile amarezza che attraversa questi versi, così frammentati e contraddittori, nella consapevolezza che la separazione che si impone è inaccettabile (“al di fuori del tuo amore, / per me / non c’è sole”) e tuttavia destinata a avverarsi lasciando solo “le foglie secche delle [..] parole” da “aspirare avidamente” nei “giorni irrequieti” che verranno.
Leggendo la poesia della Achmatova si ha l’idea di una pietra tombale che si chiude sul sepolcro di un amore sbagliato, sull’”inganno di labbra che tradirono”, senza pietà. Già dal titolo è evidente il tono cinicamente sarcastico, l’invito a un brindisi che è in realtà l’ammissione della sconfitta definitiva (“casa distrutta”, “vita sciagurata”) di un amore che non è mai riuscito a essere condivisione (“solitudini vissute in due”). La fine dell’amore coincide con l’impossibilità di abitare il mondo così come è stato finora, ridotto a un “mondo crudele e rozzo”; è l’anatema ultimativo, la condanna irrevocabile in cui anche Dio ci ha per sempre abbandonato, incapace di salvarci.
Si affida invece a un blues struggente Cesare Pavese, scegliendo la lingua inglese, la lingua madre della donna che ha distrutto i suoi sogni d’amore, una delle cause probabili che di lì a poco lo porteranno al gesto del suicidio, quel “vizio assurdo” che da sempre regnava nella sua anima. La musicalità quasi spensierata della poesia contrasta inequivocabilmente con il contenuto che parla di ferita, di tradimento, di una morte che è pronta ad annunciarsi per chi non ha saputo vivere, pur provandoci con ogni mezzo consentito (“some one who tried / but didn’t know”). Tutto, si direbbe, a compimento di una sorte in realtà da sempre segnata.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
CATULLO
(da Carmina – I secolo a.C.)
 
VII.
 
Miser Catulle. desinas ineptire
et quod vides perisse perditum ducas.
Fulsere quondam candidi tibi soles
cum ventitabas quo puella ducebat
amata nobis quantum amabitur nulla.
Ibi illa multa cum iocosa fiebant
quae tu volebas nec puella nolebat.
Fulsere vere candidi tibi soles.
Nunc iam illa non vult. Tu quoque impotens noli
nec quae fugit sectare. Nec miser vive
sed obstinata mente perfer, obdura.
Vale puella. Iam Catullus obdurat
nec te requiret, nec rogabit inuitam.
At tu dolebis cum rogaberis nulla.
Scelesta! vae te! quae tibi manet vita?
quis nunc te adibit? cui videberis bella?
quem nunc amabis? cuius esse diceris?
quem basiabis? cui labella mordebis?
At tu Catulle desinatus obdura.
 
 
 
 
Povero Catullo, smettila di farneticare
e quanto è perduto credilo perduto per sempre.
Tempo fa, ci furono per te cieli limpidi
quando seguivi ovunque la tua ragazza
amata più di quanto non lo sarai mai nessuna.
Là ci si divertiva un mondo, si faceva
tutto quanto volevi né la ragazza lo negava.
Ci furono davvero per te cieli limpidi.
Ma ora lei non vuole più; pure tu non volerlo
non farle la corte se fugge, non vivere allo sbando
ma ostinatamente resisti, tieni duro.
Addio, ragazza! Ora Catullo tiene duro,
e lei non ti cercherà più, né ti implorerà se non vuoi.
Ma tu, ragazza, ti pentirai quando non ti vorrà più nessuno.
Maledetta, guai a te! Quale vita ti resterà?
Chi ti corteggerà ora? A chi sembrerai bella?
Chi amerai ora? Da chi dirai di essere la ragazza?
Chi bacerai? A chi morderai le labbra?
Ma tu, Catullo, imperterrito tieni duro.
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
VLADIMIR VLADIRIMOVIČ MAJAKOVSKIJ
(da Vladimir Majakovskij, Poesie, a cura di Serena Vitale, Garzanti, 1972)
 
Лиличка!
 
Вместо письма
Дым табачный воздух выел.
Комната —
глава в крученыховском аде.
Вспомни —
за этим окном
впервые
руки твои, исступленный, гладил.
Сегодня сидишь вот,
сердце в железе.
День еще —
выгонишь,
может быть, изругав.
В мутной передней долгр не влезет
сломанная дрожью рука в рукав.
Выбегу,
тело в улицу брошу я.
Дикий,
обезумлюсь,
отчаяньем иссечась.
Не надо этого,
дорогая,
хорошая,
дай простимся сейчас
Все равно
любовь моя —
тяжкая гиря ведь —
висит на тебе,
куда ни бежала б.
Дай в последнем крике выреветь
горечь обиженных жалоб.
Если быка трудом уморят —
он уйдет,
разляжется в холодных водах.
Кроме любви твоей,
мне
нету моря,
а у любви твоей и плачем не вымолишь отдых.
Захочет покоя уставший слон —
дарственный ляжет в опожаренном песке.
Кроме любви твоей,
мне
нету солнца,
а я и не знаю, где ты и с кем.
Если б так поэта измучила,
он
любимую на деньги б и славу выменял,
а мне
ни один не радостен звон,
кроме звона твоеуо любимого имени.
И в пролет не брошусь,
и не выпью яда,
и курок не смогу над виском нажать.
Надо мною,
кроме твоего взгляда,
не властно лезвие ни одного ножа.
Завтра забудешь,
что тебя короновал,
что душу цветущую любовью выжег,
и суетных дней взметенный карнавал
растреплет страницы моих книжек…
Слов моих сухие листья ли
заставят остановиться,
жадно дыша?
Дай хоть
последней нежностью выстелить
твой уходящий шаг.
 
Петроград, 26 мая 1916
 
da “Альманах с Маяковским”, М.: Сов. лит., 1934
 
 
 
 
A LILIČKA – INVECE DI UNA LETTERA
 
Il fumo del tabacco ha roso l’aria.
La stanza
è un capitolo dell’inferno di Kručënych.¹
Ricordi?
Accanto a questa finestra
per la prima volta
accarezzai freneticamente le tue mani.
Oggi, ecco, sei seduta,
il cuore rivestito di ferro.
Ancora un giorno,
e mi scaccerai,
forse maledicendomi.
Nella buia anticamera, la mano, rotta dal tremito,
a lungo non saprà infilarsi nella manica.
Poi uscirò di corsa,
e lancerò il mio corpo per la strada.
Fuggito da tutti,
folle diventerò,
consunto dalla disperazione.
Ma non è necessario tutto questo;
cara,
dolce,
diciamoci adesso addio.
Il mio amore,
peso così schiacciante ancora,
ti grava sopra
lo stesso,
dovunque tu fugga.
Lasciami sfogare in un ultimo grido
l’amarezza degli offesi lamenti.
Se lo sfiancano di lavoro, un bue,
se ne va
ad adagiarsi sulle fredde acque.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c’è mare,
e dal tuo amore neanche col pianto puoi impetrare tregua.
Se l’elefante sfinito cerca pace,
si stende regalmente sulla sabbia arroventata.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c’è sole,
e io non so neppure dove sei e con chi.
Se così tu avessi ridotto un poeta,
lui
avrebbe lasciato la sua amata per la gloria e il denaro
ma per me
non un solo
suono è di festa
oltre a quello del tuo amato nome.
Non mi butterò nella tromba delle scale,
non ingoierò veleno,
non saprò premere il grilletto contro la tempia.
Su di me,
al di fuori del tuo sguardo,
non ha potere la lama di nessun coltello.
Domani dimenticherai che ti ho incoronato,
che l’anima in fiore ho incenerito con l’amore,
e lo scatenato carnevale dei giorni irrequieti
scompiglierà le pagine dei miei libri…
Potranno mai le foglie secche delle mie parole
trattenerti un momento
per aspirare avidamente?
Ma lascia almeno
ch’io lastrichi con un’ultima tenerezza
il tuo passo che s’allontana.
 
1916
 
(Traduzione di Angelo Maria Ripellino)
 
¹Allusione a Giuoco all’inferno (1914), poema di Chlebnikov e Kručënych.
 
 
 
 
 
 
ANNA ACHMATOVA
(Da La corsa del tempo – Einaudi, 1997)
 
Последний тост
 
Я пью за разоренный дом,
За злую жизнь мою,
За одиночество вдвоем,
И за тебя я пью, –
За ложь меня предавших губ,
За мертвый холод глаз,
За то, что мир жесток и груб,
За то, что Бог не спас.
 
27 июня 1934
 
 
 
 
ULTIMO BRINDISI
 
Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
a un Dio che non ci ha salvato.
 
27 Giugno 1934
 
(traduzione di Michele Colucci)
 
 
 
 
 
 
CESARE PAVESE
(Da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi – Einaudi, 1951)
 
LAST BLUES, TO BE READ SOME DAY
 
‘T was only a flirt
you sure did know-
some one was hurt
long time ago.
 
All is the same
time has gone by-
some day you came
 
some day you’ll die.
 
Some one has died
long time ago-
some one who tried
but didn’t know.
 
 
 
 
ULTIMO BLUES, DA LEGGERE UN GIORNO
 
Fu solo un flirt
lo sai per certo –
a qualcuno, da tempo,
il colpo fu inferto
 
Il tempo fugge
tutto è come sai –
un giorno nasci
un giorno morirai
 
da molto tempo ormai
qualcuno già morì –
qualcuno che ci provò
ma non gli riuscì.
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)