POESIA A CONFRONTO – Il gesto atletico


foto di Dino Ignani

 
 

POESIA A CONFRONTO – Il gesto atletico
OMERO, SABA, ROVERSI, DE ANGELIS, GUALTIERI

 
 

In Poesia e destino (Crocetti, 2019) Milo De Angelis conduce un’importante disamina sul valore del gesto atletico in poesia declinandone lo sviluppo dall’antichità alla poesia contemporanea con una serie di considerazioni che meritano di essere lette ed analizzate. Prendendo spunto da questo lavoro, nel confronto di oggi, proporremo testi poetici dedicati allo sport e alla competizione atletica, un paio di questi (Omero e Roversi) indicati dallo stesso De Angelis nel suo lavoro.

Partiamo dalle origini con il canto XXII dell’Iliade in cui si descrivono i giochi in onore di Patroclo: qui gli eroi greci si confrontano fra di loro nelle varie discipline atletiche per celebrare la memoria del compagno caduto sul campo di battaglia. Arbitro delle gare è Achille. Proponiamo i versi con lo scontro nella lotta che vede in competizione Aiace Telamonio, simbolo della forza e del vigore fisico, e Ulisse tutto astuzia e ingegno, “mastro delle frodi”, come traduce il Monti: entrambi dimostrano un tale valore nel rispettivo esercizio delle loro doti nella lotta che lo scontro non può se non terminare in un pareggio. Nessuno dei due può prevalere sull’altro, a dimostrazione del valore di entrambi e di come solo unendo insieme forza e astuzia sia possibile la gloria, la vittoria. Tutto è centrato sul valore epico ed esemplare del gesto atletico, sulla celebrazione dell’atto.

Diversa la sensibilità di autori contemporanei come Saba che dedica allo sport nazionale, il calcio, una raccolta di cinque poesie nel suo Canzoniere: qui proponiamo la poesia che celebra l’attimo del goal, visto dalla prospettiva delle due squadre e soprattutto dei due portieri delle squadre che si confrontano sul campo. Il contrasto evidente è fra lo sgomento del portiere (si veda “amara luce”) che ha subito la rete e la gioia della squadra che ha segnato (“al suo collo si gettano i fratelli”) e di cui è giustamente partecipe anche il rispettivo portiere, anche lui parte del gruppo, di quella collettività in festa. Fra i due spalti contrapposti, in un gioco di ossimori nella poesia, c’è la gioia traboccante dei tifosi, la partecipazione del pubblico, quell’entusiasmo spontaneo e autentico che è rarissimo provare nella vita.

Nell’incontro di pugilato di Roversi si percepisce con evidenza la logica dello scontro fisico, la lotta dura e cruda, la volontà di affermazione dei contendenti. Da notare soprattutto l’efficacia delle similitudini (“come un sasso”) e delle metafore tratte dal mondo selvaggio della natura (“selva degli occhi”, “foglie inquiete”, “l’erba del quadrato”) che rappresentano plasticamente la tensione della forza fisica alla ricerca dell’affermazione nella lotta, senza esclusione di colpi, perché a dominare gli animi è una violenza sotterranea, malcelata, una “malvagia / avidità di morte”.

Impossibile non includere nella nostra selezione l’indimenticabile Donatella di Milo De Angelis, questa fantastica velocista, diventata leggenda per chi l’ha conosciuta, “la miracolosa forza delle ginocchia / quando sfolgora agli ottanta metri, quasi al filo / e così all’improvviso si avvera, come un frutto.” Qui abbiamo rappresentato da De Angelis il miracolo della “impresa”, usando il suo stesso linguaggio, la gloria dell’atto che si avvera nell’attimo, nello scatto formidabile ai blocchi di partenza, “il punto luminoso della pista”, quello che resta per sempre a segnare le vite anche se ora rimangono le macerie, “gli dei di pietra arrugginita”.

Infine, in Mariangela Gualtieri abbiamo il ritratto di una donna (una “lei” di cui non viene detto il nome) che nuotando, bracciata dopo bracciata nella sua “piscina comunale”, grazie al contatto fisico del corpo con “acqua e cloro”, si riappropria di sé, recita la sua preghiera di creatura che si riconosce nel mondo, scopre una verità solo sua che non avrebbe sospettato e anche se intuita è irriferibile, rimane un mistero, come accade per il senso di ogni vita.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
OMERO
(da Iliade – Canto XXIII)
 
Tronco ogn’indugio, Achille il terzo giuoco
Propose, il giuoco della dura lotta,
E de’ premii fe’ mostra; al vincitore
Un tripode da fuoco, e a cui di dodici
Tauri il valore dagli Achei si dava,
Ed al perdente una leggiadra ancella
Quattro tauri estimata, e che di molti
Bei lavori donneschi era perita.
Rizzossi Achille, e a quegli eroi rivolto,
Sorga, disse, chi vuole in questo ludo
Del suo valor far prova. Immantinente
Surse l’immane Telamónio Aiace,
E il saggio mastro delle frodi Ulisse.
Nel mezzo della lizza entrambi accinti
Presentârsi, e stringendosi a vicenda
Colle man forti s’afferrâr, siccome
Due travi che valente architettore
Congegna insieme a sostener d’eccelso
Edificio il colmigno, agli urti invitto
Degli aquiloni. Allo stirar de’ validi
Polsi intrecciati scricchiolar si sentono
Le spalle, il sudor gronda, e spessi appaiono
Pe’ larghi dossi e per le coste i lividi
Rosseggianti di sangue. Ambi del tripode
A tutta prova la conquista agognano,
Ma nè Ulisse può mai l’altro dismuovere
E atterrarlo, nè il puote il Telamónio,
Chè del rivale la gran forza il vieta.
Gli Achei noiando omai la zuffa, Aiace
All’emolo guerrier fe’ questo invito:
Nobile figlio di Laerte, in alto
Sollevami, o sollevo io te: del resto
Abbia Giove la cura. E così detto,
L’abbranca, e l’alza. Ma di sue malizie
Memore Ulisse col tallon gli sferra,
Al ginocchio di retro ove si piega,
Tale un súbito colpo, che le forze
Sciolse ad Aiace, e resupino il gitta
Con Ulisse sul petto. Alto levossi
De’ riguardanti stupefatti il grido.
Tentò secondo il sofferente Ulisse
Alzar da terra l’avversario, e alquanto
Lo mosse ei sì, ma non alzollo. Intanto
L’altro gl’impaccia le ginocchia in guisa
Che sossopra ambedue si riversaro
E lordârsi di polve. E già risurti
Saríano al terzo paragon venuti,
Se il figlio di Peléo levato in piedi
Non l’impedía, dicendo: Oltre non vada
La tenzon, nè vi state, o valorosi,
A consumar le forze. Ambo vinceste,
E v’avrete egual premio. Itene, e resti
Agli altri Achivi libero l’aringo.
Obbedîr quegli al detto, e dalle membra
Tersa la polve, ripigliâr le vesti.
 
(traduzione di Vincenzo Monti, 1825)
 
 
 
 
 
 
UMBERTO SABA
(da Cinque poesie per il gioco del calcio (1933-34) – ne Il Canzoniere)
 
V. GOAL
 
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non vedere l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce,
con parole e con la mano, a sollevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
 
La folla – unita ebbrezza- par trabocchi
nel campo: intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questi belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
 
Presso la rete inviolata il portiere
– l’altro- è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
 
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte.
 
 
 
 
 
 
ROBERTO ROVERSI
(Da Dopo Campoformio – Feltrinelli, 1962)
 
INCONTRO DI PUGILATO
 
Suonano grida, parole di sangue,
nella sala accesa di bandiere;
un pugile cerca la vendetta,
copre il suo labbro di miele.
Come un sasso dal monte
rotola sulle eriche di pietra,
scatta, per non fuggire, con un viso
esangue, mentre il nemico
palpita fradicio di pioggia.
Tra le foglie inquiete
dei riflettori, soli enormi, in rauca
danza perduti, un grido rompe
nera e compatta la selva degli occhi.
S’accalca nella rissa ogni furore,
un lampo scuote l’erba del quadrato,
l’uomo appeso col cuore
a un filo, china la testa intenta,
pare, a segreti strani.
La paura è confusa a una malvagia
avidità di morte,
l’ansia scuote le gole, la gente
fischia con delizioso fervore.
Si spezza sul marmo ogni timore
è uno zecchino il suono della sorte;
un anziano signore corrucciato,
bianco fantasma, lo grida vincitore
e gli alza la mano.
 
 
 
 
 
 
MILO DE ANGELIS
(da Biografia sommaria – Mondadori, 1999)
 
DONATELLA
 
La danza fiorisce, cancella il tempo e lo ricostruisce
come questo sole invernale sui muri
dell’Arena illumina i gradoni, risveglia insieme agli anni
gli dei di pietra arrugginita. “C’è Donata Di Giovanni?
Si allena ancora qui?” Come no, la Donatella,
la velocista, sta semper da per lé.”
Mi guardava fisso, con l’antica dolcezza milanese
che trema lievemente, ma sorride. “Eccola, guardi,
nella rete del martello… la prego, parli piano…
con una mano disfa ciò che ha fatto l’altra mano.”
“Chi è costui? Un custode, un’ombra, un indovino…
quali enigmi mi sussurra?” Si avvicinò
a Donata, raccolse una scarpetta a quattro chiodi.
“La tenga lei, signore, si graffia le gambe…
… povera Donata… è così bella… Lei l’ha vista…”
“Forse il punto luminoso della pista
si è avvitato a un invisibile spavento, forse
quest’inverno è entrato nella gola insieme al cielo:
era sola, era il ventuno o il ventidue gennaio
e ha deciso di ospitare tutto il gelo.”
“O forse, si dice, è successo quando ha perso
il posto all’Oviesse, pare che piangesse
giorno e notte… per non parlare di suo padre…
i dottori che ha chiamato… mezza Milano.”
“Io signore, sbaglierò, le potrà sembrare strano
ma dico a tutti di baciarla, anche se in questo
quartiere è difficile, ci sono le carcasse dell’amore
c’è di tutto dietro le portiere. Sì, di baciarla
come un’orazione nel suo corpo, di baciare
le ginocchia, la miracolosa forza delle ginocchia
quando sfolgora agli ottanta metri, quasi al filo
e così all’improvviso si avvera, come un frutto.”
“Lo dica già stasera, in cielo, in terra, dappertutto
lo dica alle persone di avvicinarsi: ne sentiranno
desiderio – è così bella – e capiranno che la luce
non viene dai fari o da una stella, ma dalla corsa
puntata al filo, viene da lei, la Donatella.”
 
 
 
 
 
 
MARIANGELA GUALTIERI
(Da Bestia di gioia – Einaudi, 2010)
 
Quando vuole pregare
lei va alla piscina comunale
mette la cuffia e gli occhialini
entra nell’acqua ma non è capace
di domandare, o forse non ci crede.
Allora fa una bracciata e dice
eccomi, poi ne fa un’altra
e ancora eccomi. Eccomi dice
ad ogni bracciata. Eccomi a te
che sei acqua e cloro
e questi corpi a mollo come spadaccini.
 
E nello spogliatoio, dopo, alla fine
prova sempre una gioia –
quasi l’avessero esaudita
di qualche cosa che non ha chiesto
che non sapeva. Che mai saprà
cos’era.