POESIA A CONFRONTO: Cimiteri


foto di Dino Ignani

 
 

POESIA A CONFRONTO: Cimiteri
GRAY, MASTERS, VALÉRY, PUSTERLA

 
 

Luogo preposto al culto dei defunti, il cimitero ha da sempre una forte valenza simbolica: è un luogo sacro che preserva la memoria di chi fu, permette il colloquio ininterrotto fra i vivi e i loro cari defunti, invita alla raccolta interiore e alla riflessione sul senso della vita.

Una pietra miliare della poesia cimiteriale è la nota “Elegia scritta in un cimitero di campagna” di Thomas Gray di cui riportiamo le quartine iniziali. L’incipit propone una tipica ambientazione gotica, descritta con dovizia di particolari e attenzione al dettaglio, finalizzata a introdurre il soggetto della composizione: il cimitero di campagna appunto. La novità, bene evidenziata dall’autore, è che qui si celebrano le vite di persone semplici, dal destino oscuro, che non avevano certo mezzi per poter edificare monumenti funerari di rilievo, ma solo semplici tombe che raccolgono i loro resti; a loro è dedicata l’elegia. Nella poesia colpisce la sensibilità con cui sono rievocati gli affetti domestici che furono, tutti rappresentati nella loro umile verità, nella autenticità che li contraddistingue.

Un cimitero sulla collina è invece il luogo in cui sono ospitati i defunti di Spoon River, a cui è interamente dedicata l’antologia di Masters che tanto successo ebbe alla sua pubblicazione e ancora oggi mantiene inalterato il suo fascino. A caratterizzare il libro è l’espediente di dare voce in prima persona ai singoli defunti che raccontano le proprie vite in un intreccio di storie che si sovrappongono fra di loro, anche con numerose contraddizioni e punti di vista contrastanti fra i protagonisti delle stesse, creando una narrazione in versi composita e intrigante. Qui ascoltiamo Francis Turner che in pochissimi versi riassume la sua vita tutta condizionata dalla malattia e rischiarata da un unico avvenimento, dalla gioia dell’amore vissuto per un istante solo, appena prima di lasciare il mondo dei vivi.

Altro caposaldo della poesia contemporanea è il “Cimitero marino” di Valéry di cui si riportano solo le strofe finali. L’opera è di notevole complessità e ardua decifrazione; impossibile trattarne in questo spazio ridotto. Nelle strofe proposte, a somma di quanto precedentemente esposto, partendo come base dalle aporie di Zenone sul moto che gli scatenano conflitto interiore e dubbi ontologici, l’autore, prendendo forza dall’energia che il mare sa offrire all’uomo, facendogli abbandonare gli assilli del pensiero, apprende, come insegnamento dalla riflessione sul cimitero marino, la rinnovata fiducia nella vita (“il faut tenter de vivre”), rappresentata dall’immagine del vento che si leva di nuovo, che sprona a andare avanti.

Pusterla ci parla invece del cimitero del borgo industriale di Crespi d’Adda, sito patrimonio dell’UNESCO: chiunque l’abbia visitato sarà rimasto colpito dalle numerose tombe di neonati e bambini che accoglie, dalla “geometria perfetta delle strade”, l’idea di un “ordine” freddo, senza vita. Pusterla ne costruisce una riflessione sobria, senza “formule patetiche”, sul destino inesorabile che tocca alla vita, sulla consapevolezza di “non avere alternative”, con un linguaggio asciutto, definitivo.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
THOMAS GRAY
 
From ELEGY WRITTEN IN A COUNTRY CHUCHYARD
(1751)
 
The curfew tolls the knell of parting day,
         The lowing herd wind slowly o’er the lea,
The plowman homeward plods his weary way,
         And leaves the world to darkness and to me.
 
Now fades the glimm’ring landscape on the sight,
         And all the air a solemn stillness holds,
Save where the beetle wheels his droning flight,
         And drowsy tinklings lull the distant folds;
 
Save that from yonder ivy-mantled tow’r
         The moping owl does to the moon complain
Of such, as wand’ring near her secret bow’r,
         Molest her ancient solitary reign.
 
Beneath those rugged elms, that yew-tree’s shade,
         Where heaves the turf in many a mould’ring heap,
Each in his narrow cell for ever laid,
         The rude forefathers of the hamlet sleep.
 
The breezy call of incense-breathing Morn,
         The swallow twitt’ring from the straw-built shed,
The cock’s shrill clarion, or the echoing horn,
         No more shall rouse them from their lowly bed.
 
For them no more the blazing hearth shall burn,
         Or busy housewife ply her evening care:
No children run to lisp their sire’s return,
         Or climb his knees the envied kiss to share.
 
Oft did the harvest to their sickle yield,
         Their furrow oft the stubborn glebe has broke;
How jocund did they drive their team afield!
         How bow’d the woods beneath their sturdy stroke!
 
Let not Ambition mock their useful toil,
         Their homely joys, and destiny obscure;
Nor Grandeur hear with a disdainful smile
         The short and simple annals of the poor.
 
The boast of heraldry, the pomp of pow’r,
         And all that beauty, all that wealth e’er gave,
Awaits alike th’ inevitable hour.
         The paths of glory lead but to the grave.
 
Nor you, ye proud, impute to these the fault,
         If Mem’ry o’er their tomb no trophies raise,
Where thro’ the long-drawn aisle and fretted vault
         The pealing anthem swells the note of praise.
 
[…]  
 
 
 
Da ELEGIA SCRITTA IN UN CIMITERO DI CAMPAGNA
 
Scandisce la campana mesta l’ora
del coprifuoco, e il giorno intanto muore.
Un gregge bela e serpe lentamente
in mezzo ai prati, e stanco l’aratore
volge di nuovo il passo verso casa,
ed alla Notte, a me abbandona il mondo.
Ora svanisce al guardo la campagna
in una luce tremola, e solenne
una quiete pervade l’atmosfera –
e non ancora dove a tondo vola
ronzando il maggiolino, e culla armenti
un sonnolento dàn di campanelli
di lontano; non là dove, imbronciato,
da quella torre d’edera sommersa,
piange alla luna il gufo o, come errando
attorno all’invisibile suo nido,
turba quel regno solitario e antico.
Sotto quegli olmi nodosi, quell’ombra
di tassi – là, dove appena s’innalza
la zolla come su sparse macerie –
dormono gli avi di questo villaggio
nei loro loculi eterno riposo.
Mai più li desteranno nel giaciglio
mattini luminosi ed invitanti
che odorano d’incenso e d’aria pura,
non i garriti infiniti di rondini
sotto quei tetti di paglia, né squilla
d’un gallo, né cupa l’eco d’un corno!
Mai più nel focolare brucerà
per loro un grosso ceppo, o la massaia
a sera il suo lavoro finirà;
nessun bambino correrà a segnar
che babbo torna, o sulle sue ginocchia
andrà a seder per agognato bacio
da disputarsi a gara coi fratelli!
Più volte s’inchinarono le messi
sotto le falci loro, e il loro vomere
più volte frantumò la terra dura:
quanto felici guidavano il giogo!
Come cedevan le selve alla scure!
Non ne derida, Ambizione, la fertile
pena, la gioia domestica, il buio
destino! No, non ascolti, Grandezza,
con un sorriso di sdegno gli annali
minori dell’umile gente comune!
L’ora fatale attende parimenti
il vanto degli stemmi dei patrizi,
la pompa del potere e la bellezza,
e l’importanza inutilmente data:
solo a una tomba recano i sentieri
della gloria! Non imputar tu loro,
Orgoglio, se Memoria monumenti
non elevò sui loro avelli, là
dove le gotiche navi di chiese,
d’alte crociere scolpite, rimbombano
d’inni e parole di fede.
 
[…]  
(traduzione di Furio Durando – 1978 – Prima edizione: Luzzara 1991, in Agatocrazia, I, 2, pp. 2-3.)
 
 
 
 
 
 
EDGAR LEE MASTERS
 
(da L’Antologia di Spoon River – 1915)
 
FRANCIS TURNER
 
I could not run or play
in boyhood.
In manhood I could only sip the cup,
Not drink –
For scarlet-fever left my heart diseased.
Yet I lie here
Soothed by a secret none but Mary knows:
There is a garden of acacia,
Catalpa trees, and arbors sweet with vines
There on that afternoon in June
By Mary’s side –
Kissing her with my soul upon my lips
It suddenly took flight.
 
 
 
 
FRANCIS TURNER
 
Io non potevo correre né giocare
quand’ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere –
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti –
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary –
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra,
l’anima d’improvviso mi fuggì.
 
(Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Einaudi, 2009)
 
 
 
 
 
 
PAUL VALÉRY
(Da Œuvres de Paul Valéry – 1920)
 
De CIMITIÉRE MARIN
 
[…]  
Zénon ! Cruel Zénon ! Zénon d’Élée !
M’as-tu percé de cette flèche ailée
Qui vibre, vole, et qui ne vole pas !
Le son m’enfante et la flèche me tue !
Ah ! le soleil… Quelle ombre de tortue
Pour l’âme, Achille immobile à grands pas !
 
Non, non !… Debout ! Dans l’ère successive!
Brisez, mon corps, cette forme pensive !
Buvez, mon sein, la naissance du vent !
Une fraîcheur, de la mer exhalée,
Me rend mon âme… Ô puissance salée !
Courons à l’onde en rejaillir vivant !
 
Oui ! Grande mer de délires douée,
Peau de panthère et chlamyde trouée,
De mille et mille idoles du soleil,
Hydre absolue, ivre de ta chair bleue,
Qui te remords l’étincelante queue
Dans un tumulte au silence pareil,
 
Le vent se lève !… Il faut tenter de vivre !
L’air immense ouvre et referme mon livre,
La vague en poudre ose jaillir des rocs !
Envolez-vous, pages tout éblouies !
Rompez, vagues ! Rompez d’eaux réjouies
Ce toit tranquille où picoraient des focs !
 
 
 
 
Da CIMITERO MARINO
 
[…]  
Zenone! Duro Zenone Eleata!
Mi hai trafitto con quella freccia alata
Che vibra, vola e che non vola! Vita
Mi dona il suono, e la freccia mi uccide!
Ah! il sole… quale ombra di testuggine
Per l’anima, a gran passi Achille immoto!
 
No, no!… In piedi! Nell’era successiva!
Spezza, o corpo, la forma fissa! E bevi,
O mio petto, quel vento che si leva!
Una frescura, dal mare esalata,
Mi dà respiro… O forza salata!
Corriamo all’onda per balzarne vivi!
 
Sì, mare immenso fatto di deliri,
Pelle di fiera e clamide forata,
Da mille e mille idoli solari,
Idra assoluta ebbra di carne azzurra,
Che ti rimordi la coda iridata,
In un tumulto che al silenzio è pari,
 
S’alza il vento!… Affrontiamo la vita!
Sfoglia il mio libro quest’aria infinita,
Spezza in polvere l’onda intorno ai blocchi!
Volate via, pagine abbacinate!
Rompete, onde! Rompete d’acque liete
Quel tetto calmo al beccheggio dei fiocchi!
 
(Traduzione di Mario Tutino – Giulio Einaudi Editore, 1966)
 
 
 
 
 
 
FABIO PUSTERLA
(Da Le cose senza storia – Marcos y Marcos, 1994)
 
CRESPI D’ADDA
 
Lungo i due lati del viale d’accesso
in doppia fila
si dispongono le tombe dei bambini:
piccole pietre uguali.
Il termine “bambino”
vuole indicare chi non ha raggiunto
l’età idonea al lavoro.
 
 
*
 
 
Si evitino
le formule patetiche.
Il grande edificio grigio sullo sfondo
suggerisce compostezza
e abnegazione.
 
 
*
 
 
Di fronte al cimitero
la natura ha disposto il suo omaggio:
grano e papaveri.
Ciò sia di sprone a tutti
affinché l’ordine regni in ogni orto.
 
 
*
 
 
La geometria perfetta delle strade
non è senza rapporto
 
col senso del dovere: ricordàtelo.
Un giorno
tutto sarà così.
 
 
*
 
 
Se qualcuno
volesse per avventura andare altrove,
faccia pure.
Sappia però di non avere alternative.