POESIA A CONFRONTO: Cicale

POESIA A CONFRONTO: Cicale

 
 

POESIA A CONFRONTO: Cicale
ESIODO, ANACREONTEE, BASHŌ, QUASIMODO, MONTALE, SARAMAGO

 
 

Le cicale sono uno di quegli elementi ricorrenti in certe poesie che hanno il paesaggio come elemento caratteristico; sono effettivamente il segno distintivo dell’estate, soprattutto nell’ambiente mediterraneo, il che le ha portate a spopolare in molti versi. Sorelle in questo dei gabbiani, a causa della loro presenza spesso invadente, suonano oggi quasi come un cliché nella poesia contemporanea: insomma è un rischio parlarne in una poesia. Ma non mancano fonti autorevoli che le impiegano in chiave o realistica o simbolica in versi che meritano di essere ricordati e confrontati fra di loro alla nostra maniera. Ci interessa partire? Pardon: ci cale partire? Allora, per dirla con una nota canzone, ci-cale ci-cale ci-cale…

I versi tratti dal poema più noto di Esiodo sono un’evidente riscrittura di un frammento a noi pervenuto del poeta greco arcaico Alceo: ripropongono tutti gli aspetti salienti di una canicola estiva in cui il suono dominante è appunto quello acuto delle cicale, il solo che si sente nella siccità diffusa, in una vampa che risveglia in tutta la loro pulsione erotica le donne, pur trovando gli uomini fiaccati dalla fatica, esausti. Il dettaglio realistico è evidente, ma l’atmosfera è sospesa, quasi come se si trattasse di un sogno. Semplicità e autenticità secondo la lezione classica sono gli elementi tipici di questa poesia.

Più favolistica la composizione tratta dalle anacreontee (una raccolta di poesie i cui autori sono anonimi, inizialmente attribuite a Anacreonte, ma più facilmente imitazioni di Anacreonte come conferma la moderna filologia classica), anche grazie a quella musicalità facile e istintiva dell’originale, bene riprodotta nella traduzione con il ricorso agli ottonari. L’odicina idealizza la cicala come l’animale più prossimo agli dèi, immune alle avversità del tempo, dominatrice indiscussa della campagna e di ogni suo bene, con unica missione il canto, la sua “strada di canzoni”.

Con la grande capacità di condensazione di senso che è caratteristica dell’haiku, il suo maestro Bashō, nella misura breve dei tre versi sa imprimerci con evidenza quell’idea di “graffio”, nota distintiva del canto delle cicale, quasi come se si trattasse di una lacerazione che si imprime nel silenzio. Poche parole, ma evidenza di senso: immagini taglienti e memorabili.

Sceglie la brevità di una quartina anche Quasimodo che chiama le cicale “sorelle” (con evidente riferimento francescano o anche al D’Annunzio di Alcyone): condivide con questi semplici insetti il desiderio di un ritiro interiore, in un contatto originario con la natura, per riscoprirne il significato, attendere “le stelle”.

Ben altro il sentore della composizione di Montale, nota certamente a tutti, incentrata sul concetto del male di vivere bene simboleggiato nel correlativo oggettivo “cocci aguzzi di bottiglia”. Limitandoci al dettaglio relativo alle cicale, la loro presenza viene riassunta come “tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi”, con un evidente gioco sonoro che vuole riprodurre l’asperità del canto delle cicale. In verità tutta la poesia gioca su suoni volutamente “petrosi” alla maniera dantesca, su dettagli desolanti e aridi, per trasmettere appunto il messaggio di dolore e di vacuità dell’esistenza, coerente con il pessimismo montaliano.

Chiudiamo con una suggestiva citazione da Saramago per cui le cicale sono caratterizzate da “un canto che viene da un altro mondo”: qui le cicale sono totalmente trasfigurate nella sfera simbolica e spirituale, diventano il segnale, per dirla sempre con Montale, di un “anello che non tiene” nella realtà che viviamo e che crediamo di conoscere. Il loro canto è un sabotaggio del mondo che noi pensiamo autentico, sono la “sega” “invisibile” che ne sta mettendo in luce l’inconsistenza delle sue fondamenta.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
ESIODO
(Da Le opere e i giorni”, vv. 582-588)
 
ἦμος δὲ σκόλυμός τ᾽ ἀνθεῖ καὶ ἠχέτα τέττιξ
δενδρέῳ ἐφεζόμενος λιγυρὴν καταχεύετ᾽ ἀοιδὴν
πυκνὸν ὑπὸ πτερύγων, θέρεος καματώδεος ὥρῃ,
τῆμος πιόταταί τ᾽ αἶγες καὶ οἶνος ἄριστος,
μαχλόταται δὲ γυναῖκες, ἀφαυρότατοι δέ τοι ἄνδρες
εἰσίν, ἐπεὶ κεφαλὴν καὶ γούνατα Σείριος ἄζει,
αὐαλέος δέ τε χρὼς ὑπὸ καύματος·
 
 
 
 
Quando il cardo fiorisce e la cicala sonora
posata su un albero versa il suo canto acuto
fitto da sotto le ali, è la stagione spossante dell’estate:
allora le capre sono più che mai grasse e il vino migliore.
Ardentissime sono le donne, fiacchi i maschi
poiché Sirio dissecca la testa e le ginocchia.
La pelle è secca sotto la vampa.
 
(da Lirici greci dell’età arcaica – a cura di Enzo Mandruzzato – BUR Rizzoli, Ottava Edizione, 2020, p.407)
 
 
 
 
 
 
Dalle “ANACREONTEE”
 
Sei felice tu, cicala,
quando sopra gli alberi alti
bevi un poco di rugiada
e poi canti e pari un re:
perché è tutto quanto tuo
ciò che vedi alla campagna,
ciò che nutrono le selve,
e si sente che non rechi
nessun danno al contadino.
Onorata tra i mortali,
profetessa dell’estate,
dolce: ti amano le Muse,
ti ama Febo, che ti ha dato
la tua strada di canzoni:
la vecchiaia non ti rode,
saggia figlia della terra,
tu che ami gl’inni e sei
senza doglie e senza voglie,
senza sangue e senza carne,
così simile agli Dèi.
 
(da Lirici greci dell’età arcaica – a cura di Enzo Mandruzzato – BUR Rizzoli, Ottava Edizione, 2020, p.253)
 
 
 
 
 
 
MATSUO BASHŌ
(1644-1694)
 
Silenzio.
Graffia la pietra
un canto di cicale.
 
(Da Poesie – Firenze, Sansoni 1992)
 
 
 
 
 
 
SALVATORE QUASIMODO
(Da Tutte le poesie – Mondadori, 2017)
 
ESTATE
 
Cicale, sorelle, nel sole
con voi mi nascondo
nel folto dei pioppi
e aspetto le stelle.
 
 
 
 
 
 
EUGENIO MONTALE
(da Ossi di Seppia – Gobetti, 1925)
 
MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO
 
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
 
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
 
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
 
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’e’ tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
 
 
 
 
 
 
JOSÉ SARAMAGO
(Da Storia dell’assedio di Lisbona – Bompiani, 1990 – Edizione originale: 1989)
 
È vero che le cicale cantano, ma è un canto che viene da un altro mondo, è lo stridore dell’invisibile sega che sta tagliando le fondamenta di questo.