I barboni sembrano far parte del nostro panorama cittadino, senza speranza, per chi barbone lo è ma anche per chi gli cammina accanto apparentemente impotente. Sono lì buttati a terra nell’indifferenza della gente o peggio nel fastidio che provoca la visione di tale sofferenza. Forte è il senso di disgusto che sembra prevalere. Il primo istinto all’olezzo è quello di allontanarsi. Ma davvero ci aspettiamo che tutti abbiano un cuore per fare qualcosa o siamo dotati solo di pancia da prestare al più becero populismo? Questi versi di Accerboni, nella loro sintesi forte, rappresentano con precisione chirurgica ciò che accade e soprattutto svelano quanto sia più facile prendersela con i deboli anziché fare almeno una riflessione sulle complessità a contorno su questa parte di umanità che per molti è considerato scarto, al pari dell’immondizia. E comportarsi poi di conseguenza. I barboni sono entrati nell’immaginario comune e nei nostri spazi come immondizia che sempre giace in prossimità dei portoni. Questi esseri sono da eliminare, per alcuni, come sottolinea il verbo scelto nella poesia non senza ingenuità. Ma non c’è coscienza e neppure consapevolezza in questi gesti che riempiono i vuoti di uno stato assente e che volta il capo alla sofferenza e al disagio. Quando ci giungono le notizie dai telegiornali qualcuno al momento si intristisce ma la maggioranza fa spallucce e guarda solo con una quasi ammirazione all’eroe nazionale e nazionalista che ha rimosso l’oscenità dell’incarnazione della povertà. Tutto questo la Accerboni lo mette in scena con uno stile tutto suo. Semplice e caustico. Sarebbe molto più umano aiutare che usare violenza e indifferenza o rimuovere il malcapitato eppure di rado lo facciamo. Riusciremo a cambiare rotta?
Ilaria Grasso
Ho eliminato
un barbone
che girava
per il quartiere
aveva preso
a dormire
dentro il mio portone.
Le autorità
non sanno
come agire
il mio punteggio
tra la gente
continua a salire.
Da Acqua acqua fuoco – Einaudi Editore