Parole a matita – Klun/Stagni


Parole a matita - Klun/Stagni

Parole a matita testi di Massimo Klun, disegni di Maurizio Stagni (Samuele Editore 2020, fuori collana, nota introduttiva di Claudio Grisancich, prefazione di Francesco De Filippo).

Quando un libro di poesia si può dire di poesia? Quando uno scritto che va a capo può dirsi solo un testo privato? Un amico triestino e intelligente autore della Samuele Editore, Fulvio Segato, durante un incontro di Una Scontrosa Grazia ricordo disse: ci si continua a chiedere cosa sia la poesia, ma solo in poesia. Un fotografo non si chiede cosa sia la fotografia, o almeno non così tanto come fanno i poeti. Affermazione particolarmente acuta quella di Fulvio, e che apre porte e finestre inaspettate.

 

Il poeta Claudio Grisancich, nella nota introduttiva a Parole a matita (Samuele Editore 2020), tenta di sbrogliare il bandolo della matassa in questo modo: Ho spesso pensato che la poesia presupponga una situazione tipo: due persone che per un certo tratto fanno una parte di viaggio insieme (mettiamo nella forma canonica, in treno). Due sconosciuti di cui uno (il poeta) inizia improvvisamente a raccontare qualcosa della propria vita: qualcosa di curioso, o doloroso, o incomprensibile, o tenero, o stravagante. Lo fa perché ha intuito nel perfetto sconosciuto (il lettore), la qualità di essere accolto nell’ascolto più devoto, quello che può prestare l’amico più caro. La poesia come momento perfettamente compiuto in se stesso, di vicinanza assoluta, di intensa condivisione o di illuminante identificazione, qualcosa di simile all’eternità, pericolosamente sfiorata.

 

A questa nota fa eco in prefazione Francesco De Filippo: un poeta che confessa di non saper scrivere poesie – ma le pubblica – e un orafo che compone disegni a corredo di quelle stesse poesie sostenendo però che “le immagini non possono aiutare la poesia” (visto che questa “non ha bisogno di aiuto”). […] Non so cosa sia esattamente la poesia. Un ingegnere misura volumi e calibra le forze; un poliziotto valuta un pericolo, ha per riferimento una cornice giuridica e stima se un comportamento è all’interno di questa o se ne discosta. Ma un poeta esprime qualcosa che ha dentro con modalità e forme che non hanno regole, norme, parametri ordinamentali. E può farlo senza considerare un ambito temporale. Non è téchne, è materia delicatissima che può manifestarsi di qualunque colore, temperatura, composizione, il cui valore è dato dalla forza con la quale l’emozione di un altro essere umano le si aggancia, secondo itinerari, sensi e biologie che sembrano misteriosi.

 

Una poesia che rifiuta d’essere poesia può definirsi tale? Ne Il Piccolo prova a rispondere Mary Barbara Tolusso, precisa poeta anche lei, scrivendo del libro: Ma la poesia appunto ha bisogno di distanze, senza le quali si rischia di scivolare nella retorica […] Che cosa sia la poesia è tutto da vedere.

Spesso gli autori di versi dimenticano tale distanza, o presi dall’infatuazione del proprio ruolo la negano. Ecco quindi chi pubblica un libro all’anno senza avere nulla da dire, se non addirittura dicendo male il nulla. O chi insiste nel volersi autodefinire attraverso un superficiale riconoscimento preteso dagli altri.

Massimo Klun non è un poeta, almeno a quanto dichiara lui stesso.

 
 
Bolero 02022020
(scopiazzando Ravel)
 
Le poesie che ho scritto
nell’ultimo anno
sono le migliori
che abbia mai scritto
Peccato che …
non siano poesie
 
 
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Click
 
Scatto foto con la memoria
fisso ricordi con la parola scritta
questi versi (versi?)
mancano di colore
di musica
sono il diario senza anima
di impressioni aride che non voglio dimenticare
 
 

La domanda a mio avviso è la seguente: abbiamo bisogno di identificare questi testi come poesie? Alcuni anni fa, a una vecchia edizione del Premio San Vito Poesia, parlando con Giacomo Vit e Roberto Galaverni era venuta fuori un’affermazione apparentemente paradossale: basta parla di poeti maggiori e di poeti da sottobosco, parliamo solo di poeti.

Ovviamente tale affermazione ha senso se e solo se si viene chiamati poeti, non se si pretende un nome di fatto vuoto, una cintura che tiene su i pantaloni del karateka. Il poeta è un cavaliere Jedi, è vero, ma solo se viene riconosciuto come fautore di un’azione concreta nella società o nella cultura. In altre parole nel linguaggio. Di questi, aveva ragione Moravia, ce ne sono pochissimi. A fronte di moltissimi che pretendono d’essere riconosciuti come tali.

Ma cos’è un poeta? È un uomo che vive, io credo, e che ricorda. E che si rapporta continuamente al ricordo e al presente interiorizzando e analizzando. E alla fine scrivendo per lasciare una traccia. Qui la questione diventa interessante ma per i più spinosa: lascia traccia il verso, non il suo autore.

 
 
Borsa di studio
 
Sorridente come un parroco
impicciato nel loden troppo stretto
e quella Lolita grassa
con un cappello
come un nido rovesciato sulla testa
Dov’è finita quella foto?
Da quanto tempo Lolita bruca la terra e
si libra (finalmente leggera) nel cielo?
Dov’è quella foto?
Vorrei rivedere quella stampa in bianco e nero
quei colori di infanzia
che non esistono più
risentire il peso del dono di un’enciclopedia
ormai senza titolo
spersa negli anfratti di una memoria lontana
 
 
 
 
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Barbone
 
Una carità per favore
sembri Bukowski mentre bevi da quella bottiglia
Ma è acqua?
Fa freddo, è acqua?
Non mi guardi non ci guardi
sta passando il passaggio
la notte viene tra i cartoni
tra le coperte che domani
ripiegherai accuratamente
Il tuo cagnolino mi strizza l’occhio
sarà lunga questa notte
fredda e sola
Ma è davvero acqua, Charles?
 
 

I versi sono solo un accidente casuale di un autore, che prima di essere poeta è uomo. La poesia è quindi quel momento effimero che nasce da te, ma subito ti abbandona perché diventa degli altri, diventa cosa altra. E non dice più di te, delle tue capacità, ma di un momento del mondo e della storia. Che sia Storia in maiuscolo o minima, appartata, facilmente dimenticabile.

 
 
Il verso perduto
 
L’avvocato che aveva deciso
di diventare uno scrittore a sue spese
stava per leggere le mie poesie (poesie?)
Si accese una multifilter
iniziò a scorrere i fogli con più distrazione
di quanto non guardasse il fumo
salire verso il soffitto
prima di fuggire nell’aria del Bivio di Miramare
Gli piacque un solo versoklun1a
che non ricordo più
che non trovo più
musa effimera
persa in un trasloco
 
 

La poesia è solo una sublimazione, attraverso il linguaggio, della propria vita nel tentativo di renderla il più universale e condivisibile possibile? E se la risposta fosse veramente si, perché potrebbe accadere? Forse perché possiamo universalizzare la nostra esperienza nel momento, intensamente costituito di umiltà, in cui comprendiamo di essere una parte del tutto? Un granello di sabbia di fronte a uno scoglio e accanto ad altri milioni di granelli a noi identici? Come noi densi di desiderio, aspettative, entusiasmi e dolori?

 
 
Studenti sullo scoglio
 
Non mi spiacerebbe risedermi
su quello scoglio piatto
un asciugamano il nostro tavolo verde
sotto di noi e rigiocare (Bruno e chi altro?)
a terziglio per ore
solo sole, sale e una brezza leggera di sottofondo
il piacere
del poco che sazia tutto
di togliere la fame del più
 
 

Serve essere poeti per comprendere quella fame del più? O serve abbandonare ogni mira di riconoscimento e di etichetta e sedersi effettivamente su quello scoglio piatto?

 
 
Carmelich
 
Una foto a matita
la matita che pare un acquarello
un acquarello breve che
sovrascrive una vita lunga un battito di ciglia
 
 

Una poesia che non è poesia ma, a ben vedere, ne assolve le istanze. Fino a domandare se stessa.

 
 
Timore
 
La memoria dei ricordi
durerà fino all’ultimo
o scivolerà via
come lo tsunami di una vita
senza poter essere parola?
 
 

Possiamo quindi dire che forse la poesia ha come focus il suo linguaggio, la sua riflessione, e molto meno la sua etichetta. Quando la poesia decide di guardare il mondo, abbandonando un facile specchio, forse lo diventa. Certo lo studio del linguaggio è fondamentale. Ma non di rado si impara anche dalle parole semplici, o semplicemente costruite per non appesantire con la complessità della vita.

 
 
Vecchiaia
 
Mi accoglie strusciando timido
lo stipite e i pantaloni
io per lui sempre intruso conosciuto
alla fine di questa giornata nuova
eguale alle altre
che riempio di persone che non sono le mie
i miei amori
le mie donne che ho detestato tradito amato
sempre desiderate e poi
vestali rimpiante
di una vita che il mio gatto ed io
adesso giochiamo a dadi
come ogni sera
fino all’ultima volta che sarà
 
 

E poi ci sono i disegni, amici accompagnatori che a detta dell’artista Maurizio Stagni non danno nulla in più alla poesia (perché non ne ha bisogno), né interpretano i testi. Sono un dialogo, persone che esprimono il tempo in formati differenti.

Un inciampato incontro, come fa eco Klun. Quasi strumenti all’unisono escono dal realismo di una restituzione diretta dello sguardo per consegnare ciò che effettivamente si vede. Quel che si vede dentro, a occhi chiusi e cuore aperto. Forme, stilizzazioni, macchie che dicono volti e corpi e occasioni.

Ed è effettivamente un’occasione questo libro. Nato durante il primo lockdown e pubblicato a dicembre 2020, alle porte della paura della nuova ondata, è ciò che più riporta all’umano oltre le chiusure.

Un imprenditore che ha voglia di scrivere poesie, negando lo siano. Un orafo che coglie quelle suggestioni e produce gioielli su carta, in bianco e nero. Tratti che sfumano più la vita che i versi. Ma che guardano nella medesima direzione.

E su tutto Trieste, quella Trieste fuori da una porta da cui non si può uscire, e al di là di una finestra che oltre al mondo riflette la nostra clausura, la nostra paura. Ma rendersi conto che abbiamo vissuto, prendere atto della memoria, del presente, dei luoghi vissuti, del tempo percorso, delle persone incontrate, è di certo il vero linguaggio possibile della nostra esistenza.

L’unico? Non lo so. Sicuramente il più bello.

Alessandro Canzian

 
 
 
 
Foschie
 
Guardo e non riesco
a distinguere il mare dal cielo
tutto è grigio pallido
una pioggerella timida
intermittente
mi vela appena gli occhiali
Sembra che il mare abbia preso il volo
che il cielo si sia inabissato
(sarà salata l’acqua che fina
siede sulle mie labbra?)
il sole sciopera dietro un guscio grigio
una coltre di zucchero filato
si è addormentata sui campi
Sogno righe di orizzonti nascosti
dietro la linea curva senza fine
oltre la quale il mare ridiventa
lucida lastra blu
il cielo terso specchio azzurro
qualche bianca pennellata
di vapore acqueo
simula la carezza di due amanti
ora indistinto amplesso
 
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A passeggio con Joyce
 
La tua ultima casa
anonimo condominio
nella via un tempo Sanità
poi eroe di guerra
dove perennemente ubriaco
componevi parole immaginarie
lascito di scintillanti
idiomi scomposti
non più impartita lingua borghese
Ti ho letto e riletto
ignoti suoni dodecafonici
gnaulii intraducibili
sbevazzanti onomatopee frastagliate ridondanze
partorite in luoghi
celati alla mia infanzia
che oggi targano il muro
del nostro inciampato incontro
 
 
 
 
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