Ora all’uva basta un soffio per marcire – Mattia Tarantino



 
 
Vorrei conoscere il mondo dei morti,
reclamarlo in una lingua senza storia
che non abbia una grammatica, ma possa
avverare tutto ciò che si pronuncia.
 
Mi usano per parlare a chi è rimasto,
vogliono che dica, rovesciandola,
la parola che non hanno mai trovato.
 
 
 
 
 
 
Incida in tutto il corpo la parola
invisibile che governa le stagioni;
al rovescio incida i segni sopra i tagli
delle vene, a sangue aperto
ne ricavi bandiere e vaticini:
 
solo questa la missione degli amanti,
nuova nella cenere ogni volta
che giochiamo ad allacciarci all’ombelico
la luna, il tabacco e i nostri morti.
 
 
 
 
 
 
Vedi, non restano che i nostri
frutti sulla tavola:
mia madre che li sbuccia; i loro
nomi che pendono dall’orlo
e cadono tra il pavimento e l’invisibile.
 
Ora all’uva basta un soffio per marcire
in fretta e diventare una preghiera.
 
 
(Mattia Tarantino, inediti)
 
 

In questi inediti, Mattia Tarantino sonda il legame tra la realtà umana e sensibile e la dimensione dell’oltre, di ciò che è svanito, dell’oltretomba, ricostruendone una grammatica capace di ritrasmettersi attraverso una parola che si fa auscultazione piena, rendendo chi la pronuncia strumento nelle mani dell’invisibile, delle cose e delle persone svanite.

“Vorrei conoscere il mondo dei morti”, inizia il primo testo, evidenziando la necessità di ritrovare una forma di nominazione avulsa dal tempo e dalla storicità contingente, ma anche dalle ordinarie regole linguistiche, caratterizzata da un senso del sacro in grado di “avverare tutto ciò che si pronuncia”; è poi chiarito il ruolo di chi compie tale ricerca, “usato” dai morti “per parlare a chi è rimasto”, piegato alla loro volontà di scoprire e riconsegnare quella “parola che non hanno mai trovato”, nella pienezza del suo rovescio.

Questa parola “invisibile che governa le stagioni”, più forte del tempo umano e del mondo, tendente a un assoluto ieratico, deve essere vissuta intimamente per essere accolta e restituita, incisa “in tutto il corpo … sopra i tagli delle vene, a sangue aperto”: è dunque evidente una forte componente fisica e corporale, come superiore medium di comprensione, in senso letterale ed etimologico, con un valore superiore a quello meramente razionale o intellettivo; questa è l’unica “missione degli amanti”, ribadisce Tarantino puntellando un ulteriore elemento principe di tale operazione di scavo: il coinvolgimento sentimentale, l’essere “amante” – a ribadire che non si tratta di operazione fredda e lucida, ma piena e appassionata compartecipazione, nella consapevolezza della finitezza del nostro al di qua (“nella cenere ogni volta”) e in grado di realizzare un vincolo di senso universale tra l’ignoto che ci circonda, il contingente quotidiano, e la persistenza di ciò che è perduto (“la luna, il tabacco, e i nostri morti”).

Ma nella testimonianza di ogni giorno “non restano che i nostri / frutti sulla tavola”, e il gesto quotidiano e semplice della “madre che li sbuccia”, mentre il loro nome perde di aderenza scivolando insieme alla loro quintessenza materica tra la realtà sensibile e la loro stessa dissolvenza (“i loro nomi … cadono tra il pavimento e l’invisibile”).

L’uva, che assume in questo testo valore di frutto succulento ma provvisorio, istantaneo come l’attimo da cogliere per non perderlo, ma anche di richiamo al dionisiaco e ad un’appassionata partecipazione all’esistere in ogni sua sfumatura più intima, è sia qualcosa a cui “basta un soffio per marcire”, sia qualcosa capace di “diventare una preghiera”: ed è attraverso il superamento di questa apparente contraddizione che questa profonda consapevolezza della transitoria e preziosa essenza delle cose umane e del mondo, attraverso uno scavo esperienziale e linguistico, nei testi di Tarantino si fa occasione di accesso a una dimensione sacra che riesca a collegare le cose minime a quelle terribili, congiungendo il gesto umano all’ombra tremenda ma familiare della memoria e di chi abbiamo perduto, con un senso di pacifico asservimento al mistero dell’essere, dello svanire e del suo trasfigurarsi, che si rivela anche attraverso gli attimi più semplici e insospettabili – per chi si pone in premuroso ascolto.

Mario Famularo