Nella città di Katerini, non lontano da Salonicco, viveva la sorella maggiore di mia madre, zia Sofia. Si era sposata dall’altra parte dell’Olimpo, mentre mia madre era rimasta da questa parte, così a Rapsani era rimasto solo il loro grande e amatissimo fratello. In questo periodo dell’anno, quando le scuole finivano, mia madre ci portava a Katerini per sfuggire al caldo opprimente di Larissa, respirare aria fresca e fare qualche bagno sulle spiagge della Pieria.
Zia Sofia lavorava come sarta, e quindi un gran numero di donne andava e veniva da casa sua. C’erano anche indovine e cartomanti, e la zia si era guadagnata la fama di sensale e consigliera sentimentale. Ma soprattutto era famosa per il suo linguaggio colorito: «Da quando sono usciti i “bocchini” caro, nipote,» mi diceva più tardi, quando già iniziavano i problemi di salute, «ho trovato la mia pace. Faccio uno o due “bocchini” al giorno e mi sento bene», diceva, mostrandomi l’inalatore di plastica dell’Aerolin che teneva in mano.
Suo marito, zio Giorgio, aveva una piccola osteria nel centro della città, in una stradina che portava alla piazza principale, piena di botti: la gente portava le proprie caraffe e lo zio le riempiva con vino bianco, vino rosso di Rapsani, vino rosé o tsipouro, con o senza anice, sempre di Rapsani. Aveva anche 3-4 tavolini per gli amici più intimi. In quegli anni Sessanta, tra gli amici, conobbi anche un amico tedesco di mio zio, che ci parlava in greco antico e recitava a memoria il canto V dell’Odissea!
Zia Sofia non andava mai alla taverna di suo marito. Forse proprio per questo trovava le risposte giuste alle domande che lo zio le poneva per conto dei suoi clienti: non conoscendo personalmente chi era tormentato dall’amore, i suoi responsi avevano la forza di un oracolo impersonale. Qual era il matrimonio combinato giusto per il figlio di uno, e cosa doveva fare la figlia per conquistare con amore eterno il ricco pretendente.
Come i grandi guaritori, zia Sofia — analfabeta, sboccata, sarta occasionale e indovina improvvisata — usava il metodo maieutico, parlando innanzitutto dei suoi problemi. Da lei venimmo a sapere che il suo primogenito strattonava così tanto i capelli delle ragazze con cui si trovava a letto che lei le consigliava di indossare il casco anche sotto le lenzuola. Col tempo divenne la mia consigliera personale in questioni di relazioni e matrimonio: prevedeva tutto, e prevedeva bene. Era l’unica persona nella grande famiglia con cui tutti i nipoti si sentivano a proprio agio a parlare delle proprie questioni sessuali.
«Una coppia, nipote,» la ricordo ancora oggi, con questo caldo, quando le scuole stanno per finire, «nei primi due anni di relazione, ogni volta che fa l’amore mette una moneta nel salvadanaio. Dopo i due anni, ogni volta che fa l’amore toglie una moneta dal salvadanaio. Ebbene, il salvadanaio che si riempie in soli due anni, di solito la coppia non riesce a svuotarlo nemmeno in una vita intera, anche se resta unita fino alla vecchiaia.»
Il dr Psi in mezzo agli altri, Sotirios Pastakas (Edizioni Kedros, 2021)
Per questo San Valentino una speciale Poesia al microscopio (la rubrica fondata nel 2018 da Mario Famularo) che si discosta un poco dalla poesia, almeno a livello prettamente stilistico, ma che per tono ed evocatività sa affondarvi acutamente le mani.
Una storia qualunque di un luogo qualunque, seppure preciso nelle connotazioni. Che sia la città di Katerini o un bar friulano o emiliano o siciliano poco importa, perché il dato geografico è tutto racchiuso nell’identità astorica e ageografica della zia Sofia. Così come la sua conoscenza della natura umana e l’irriverenza del linguaggio, che è libertà molto simile alla poesia e a cui si invidia la saggezza del non essere dolorosa (come, spesso, lo è la consapevolezza della natura umana). Perfino il figlio primogenito che strattonava così tanto i capelli delle ragazze con cui si trovava a letto diventa un suggerimento ab extra quanto privo di giudizio.
Tale capacità però non è un assunto a priori. Zia Sofia non andava mai alla taverna di suo marito è la chiave di lettura fondamentale. Da lontano si vedono i particolari più minuscoli senza venirne imbrigliati. Questo per l’assunto terribile (e che forse zia Sofia avrebbe trovato divertente) che siamo tutti tremendamente uguali e che vogliamo tutti le medesime cose (l’intercambiabilità che nega l’individualità è un tema a me molto caro, ne ho scritto ne Il Condominio S.I.M. – QUI – e anche in questo caso mi piace pensare che questa zia Sofia avrebbe smontato in quattro e quattr’otto la figura di Olga e dei suoi ben più squallidi e religiosi bocchini).
Forse un po’ banalmente, per la chiusa di questo frammento di Sotirios Pastakas, mi viene in mente il Minmerno de L’anima ora si popola di mali / una casa in rovina, una miseria / lancinante e fantasmi t’accompagnano. Due anni è il tempo che zia Sofia concede alla passione, pur sottolineando (e qui ancora la immagino sorridere) che quel salvadanaio la coppia non riesce a svuotarlo nemmeno in una vita intera, anche se resta unita fino alla vecchiaia. Auspicio? Realtà? Verrebbe da credere alle parole di zia Sofia seppure l’anima ora si popola di mali.
Questa donna saggia trattiene, pur conoscendo e accettando la natura umana, il romanticismo del credere nella vita intera. E la chiave appare essere proprio quell’accettazione delle cose come sono e non come vorremmo fossero. Il figlio primogenito strattona troppo i capelli nel letto? Metti il casco. La disarmante semplicità diretta di chi sa che non è il primo e non sarà l’ultimo. Faccio uno o due “bocchini” al giorno e mi sento bene, dice mostrando l’inalatore di plastica dell’Aerolin, smontando giudizi e tabù e accogliendo pienamente il mondo anche nei suoi aspetti meno nobili e più spiacevoli.
Zia Sofia insegna una lezione importante a chi vuole amare (prima che essere amato). Amore è accettazione, è compassione. Solo conoscendo la natura dell’altro è possibile accettarla e solo accettandola è possibile amarla. Solo amandola è possibile non sopportarne ma coglierne il male, quel male che inevitabilmente (consapevolmente e inconsapevolmente) ci facciamo, e sopravviverne custodendolo. Ancor più solo conoscendo e accettando la propria natura è possibile amare e accettare d’amare l’altro, cosa che non di rado l’essere umano sottovaluta.
Compassione, compassio, cum passio, soffrire insieme nella forma di un accettare la sofferenza dell’altro in tutte le sue forme. Ma qui siamo a Katerini, non lontano da Salonicco, quindi torna alla mente συμπάθεια (sympátheia), da cui il termine simpatia quale empatia, partecipazione emotiva. L’ambito è il medesimo.
Tutto questo nonostante i soli due anni di passione che zia Sofia concede, ma nemmeno questo è il punto fondamentale. Lo è il vaso, quanto pieno o quanto vuoto è rimasto di monete nell’anima oramai popolata di mali che è la vita nella sua natura più essenziale. Di monete che non sono solo passione ma soprattutto il motivo di quella passione. Quel conto, forse, è la misura dell’amore. Quello vero, non quello sognato o commercializzato.
Alessandro Canzian