Nel Nome del Padre – Vincenzo Guarracino

Nel nome del Padre
 
A Te che per sempre fine e origine
Sei provvida Mente ed arcana
Sorgiva energia che tutto reggi, Padre,
 
a Te che tutti nel Verbo chiami figli
e che dài forma nel cielo all’infinito,
di una sete di bellezza irraggiungibile,
 
cui ognuno da sé non può attingere
nell’io della sua infima sostanza
se non nel coro di tutti gli esistenti,
 
a Te mi rivolgo, con la trepida
devozione di un figlio nel rivolgersi
al proprio padre, io che figlio e padre
 
sono al tempo stesso, in un processo
in Te ordinato di progressive inconoscibili
accumulazioni di acquisti, ansie e delusioni.
 
C’è un mistero nell’amore d’esser padre
che scrive i propri fatti in una precaria
teoria tra morte e permanenza di accadimenti
 
tra il molto che perisce e il tanto
che del dato-avuto si fa corpo alla coscienza
dove ognuno reca il grumo di un destino:
 
ad esso, al dirlo nelle opere, consacra
l’esperienza nel rigore della mente
e protesa la creatura col cuore al suo futuro
 
ma non sempre il filo teso alla durata
nel passo avviene al varco ove l’attende
la voce amata tra infinità e finitudine.
 
Tu, del padre, hai la carità irragionevole
E la serena fermezza di chi dona
la libertà di indirizzarsi al proprio bene
 
a dispetto di ogni umana insufficienza
senz’altra grazia se non l’amore
del rischio esaltante della crescita,
 
unici e molteplici, senza perdere
il gusto della sfida, l’orgoglio di essere
eventi dentro e oltre i fatti.
 
Io, del figlio, una fiducia irresponsabile
capace di amare e tradire con la stessa
facilità con cui respiro fino a credere
 
luce l’anima dell’ombra più profonda
tra altare e precipizio del sogno dando
ascolto al lampo seducente della carne
 
ma anche l’ansia sterminata dell’attesa,
col cuore gonfio ad ogni transito e rumore
l’occhio alla traccia anche minima rimasta.
 
Tu insonne e spietato nella notte
di una giornata di fatica dietro una porta
socchiusa mi hai atteso per ammonirmi
 
a preservare i miei talenti, ad essere intero
nel sogno della vita che si avvera solo
a patto di essere trasparenti come vetri,
 
a fondare i miei passi senza rimpianto
sulla roccia dell’unico sentiero dove resta
l’opera portata col cuore oltre il visibile.
 
Hai dischiuso a giorno fatto all’inquieta
umana sete di vita la solare
dismisura del silenzio, il tuo molteplice
 
palpito di padre col quotidiano
impegno di esistere e salvarsi
dal rimpianto trattenuto nella tenebra.
 
Il sapersi pensati da Te in ogni istante
(capovolgendo in cogitor l’umano, troppo
Umano cogito di Cartesio), è questo
 
che dà pianto e insieme forza alla creatura,
è questo che fa temere e benedire ogni accaduto
accettando il peso che la verità è nel Creatore.
 
Ma forse il credito accolto di esserTi figli
non sempre basta a farci d’assillo o da sostegno,
neppure basta a nutrirci l’esperienza
 
coniugando ad ogni istante il nostro senso
con la scelta di fedeltà al Tuo progetto,
senza un voto di progressiva spoliazione.
 
Questo io Ti chiedo: che al mio limite
Sovvenga con pienezza la Tua grazia, il dono
di sentirmi sempre col creato in armonia,
 
l’avvento di una nuova libertà nel segno
di una totale comunione e un nuovo sguardo
che porti amando in presenza l’invisibile.
 
Da’ al bisogno di tutti secondo il giusto
Invitandoci insieme alla tua agape
perché ognuno nell’oggi abbia il suo pane.
 
E a quanto per colpa o difetto di umane forze
s’è spezzato nel nostro patto di devozione
la festa donagli di ricomporsi nel tuo perdono,
 
come quanti ci perseguitano nel tuo amore
li amiamo, giusti e ingiusti, come fratelli
perché la gioia del perdono ci santifichi.
 
E proteggi con la tua ala d’indulgenza
se ci sono semi di bene che ho piantato
nel giardino di questa vita di malizia
 
cosicché sia preservato dal richiamo
dell’abisso il nostro cuore, l’indigente
creatura senza di Te, nell’universo.
 
E così sia nei secoli dei secoli.

 
 

Nel suo poema Nel Nome del Padre, incluso nel volume L’angelo e il tempo e altri poemetti, Book Editore, 2022, Vincenzo Guarracino ci guida in un viaggio spirituale che trascende la semplice invocazione religiosa per diventare una riflessione profonda e complessa sulla figura paterna, sia essa biologica, simbolica o divina.

Infatti, in postfazione l’autore ci informa che si tratta della combinazione dell’esigenza di interrogarsi sulla figura del Padre, sia quello biologico, sia quello che corrisponde al suo Maestro, don Rocco De Leo, prete, umanista e docente, cui l’autore dichiara di dover molto se non tutto rispetto alla sua formazione culturale; inoltre, il testo è anche frutto di un lavoro per commissione, per accompagnare una incisione di un pittore e scultore uruguaiano, Pablo Achaugarry, onde realizzare una preziosa cartella d’arte per amici ecclesiastici del committente in occasione delle festività natalizie, fra i quali l’allora cardinale e poi Papa Joseph Ratzinger.

Dunque, si tratta per esplicita dichiarazione dell’autore, anche di una perifrasi del Padre Nostro, sotto forma di Cantico in terzine endecasillabiche variamente intrecciate, anche come sorta di rinnovato Atto di Fede verso il Padre e di Amore verso il Mastro.

Attraverso questo componimento, Guarracino rievoca la solennità della tradizione poetica italiana, ma lo fa con una modernità di pensiero che rende il testo un atto di fede rinnovato e personale.

Simbolismo e Risonanze Teologiche in “Nel Nome del Padre” di Vincenzo Guarracino

Il poema Nel Nome del Padre di Vincenzo Guarracino è ricco di simbolismi che richiamano profondamente la tradizione cristiana, combinando temi teologici con una riflessione personale sull’identità e la fede. Guarracino utilizza sapientemente la struttura del testo e il linguaggio poetico per intrecciare simboli religiosi e numerologici, aggiungendo così una dimensione ulteriore di significato al poema.

Il Titolo e la Struttura: La Divinità Una e Trina

Il titolo stesso, “Nel Nome del Padre”, evoca immediatamente la Santissima Trinità, un concetto centrale nella teologia cristiana che si riflette anche nella struttura del poema. La frase “Nel Nome del Padre” è l’inizio della formula trinitaria completa “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,” usata frequentemente nelle preghiere cristiane. Questa allusione suggerisce che il poema non solo è dedicato alla figura del Padre, ma implicitamente abbraccia anche il Figlio e lo Spirito Santo, richiamando la natura trinitaria di Dio.

Il poema è composto da 33 terzine, se includiamo il titolo e consideriamo l’ultimo paragrafo composto da un solo verso, un numero che ha un significato simbolico potente nella tradizione cristiana: 33 sono gli anni di vita di Gesù Cristo, il Figlio, sulla Terra. Questa corrispondenza numerica non ci appare casuale, ma sembra suggerire una meditazione profonda sulla vita di Cristo e il suo sacrificio. Attraverso questa scelta strutturale, Guarracino sembra voler allineare il suo poema con il percorso terreno di Cristo, evocando un senso di spiritualità e di connessione diretta con il divino.

Le Terzine e il Riferimento alla Trinità

Diversi passaggi del poema possono essere letti come riferimenti simbolici alla Trinità. Una delle terzine che richiama questa idea è la seguente:

“Tu, del padre, hai la carità irragionevole
e la serena fermezza di chi dona
la libertà di indirizzarsi al proprio bene”

Questa terzina può essere interpretata come un richiamo alle tre persone della Trinità. La “carità irragionevole” è tipica dell’amore divino del Padre, che ama senza condizioni o limiti. La “serena fermezza” potrebbe essere vista come un riferimento al Figlio, che mostra la sua forza attraverso il sacrificio e la redenzione. Infine, la “libertà di indirizzarsi al proprio bene” evoca l’azione dello Spirito Santo, che guida e ispira gli esseri umani a scegliere il cammino della virtù.

Un’altra terzina significativa in questo contesto è:

“Tu insonne e spietato nella notte
di una giornata di fatica dietro una porta
socchiusa mi hai atteso per ammonirmi”

In queste righe, possiamo leggere un’immagine del Padre come vigilante e premuroso, sempre presente anche nel buio della notte, pronto a guidare e correggere. Ma in questo contesto si può anche intravedere il simbolismo della Trinità: il “Tu insonne” che rappresenta Dio Padre, l’azione dell’ammonire che può essere associata al Figlio che insegna e guida, e la “porta socchiusa” come il simbolo dello Spirito Santo, sempre presente come una possibilità di accesso alla grazia divina.

Simbolismo Numerico e Strutturale: 33 Terzine e gli Anni di Cristo

Come già accennato, il fatto che il poema sia composto da 33 terzine è un riferimento diretto agli anni di vita di Cristo. Questa scelta numerica non solo conferisce una struttura solida al poema, ma porta anche il lettore a riflettere sulla vita terrena di Gesù e sul suo significato per la fede cristiana. La numerologia qui diventa un mezzo per legare la poesia a un contesto biblico più ampio, suggerendo che il viaggio spirituale del poeta è parallelo al viaggio terreno di Cristo.

L’uso della terzina endecasillabica, una forma poetica tipicamente associata alla tradizione italiana e utilizzata da Dante nella “Divina Commedia”, conferisce al poema un tono epico e solenne. La terzina, con il suo schema di rima incatenata, crea un senso di continuità e di unità, che riflette la natura interconnessa della Trinità. Il ritmo regolare e la rima, inoltre, rafforzano l’idea di una preghiera o di un inno, contribuendo a creare un’atmosfera di riverenza e devozione.

Simbolismo dell’Amore Paterno e Divino

In molte terzine, il simbolismo dell’amore paterno e divino si intreccia in modo significativo. Ad esempio, nella terzina:

“ad esso, al dirlo nelle opere, consacra
l’esperienza nel rigore della mente
e protesa la creatura col cuore al suo futuro”

Guarracino sembra esplorare l’idea di consacrazione e dedicazione a Dio, simboleggiando un atto di fede e amore che è al contempo razionale e emotivo. L’espressione “nel rigore della mente” suggerisce una fede che è anche una scelta consapevole, mentre “protesa… al futuro” implica una speranza e un desiderio di comunione continua con il divino. Qui, l’amore paterno è un simbolo dell’amore divino: entrambi richiedono dedizione, sacrificio e speranza.

Il Padre come Fine e Origine

Il poema si apre con un riferimento all’arcana essenza del Padre, che è “provvida Mente ed arcana / sorgiva energia che tutto reggi, Padre”. Questa immagine del Padre come sorgente di energia vitale evoca una presenza che è al contempo fine e origine, un concetto che rispecchia la visione teologica del divino come eterno e onnipresente. Questa duplicità si riflette nella stessa struttura del poema, dove il Padre è inteso non solo come figura divina, ma anche come archetipo umano, il Maestro don Rocco De Leo, che ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione culturale dell’autore.

La Fede come Atto di Amore e Devozione

Guarracino si rivolge a questa figura con “la trepida / devozione di un figlio nel rivolgersi / al proprio padre”, un sentimento che è al contempo di riverenza e di amore. La sua posizione di figlio e padre “al tempo stesso” sottolinea la continuità dell’esperienza umana, che è un tema centrale del poema. Questa duplicità riflette l’esperienza universale di essere genitore e figlio, creatore e creatura, una dialettica che è al cuore della condizione umana.

Il Mistero dell’Amore Paterno

Nel poema, il mistero dell’essere padre è descritto come “scrive i propri fatti in una precaria / teoria tra morte e permanenza di accadimenti”. Qui, Guarracino esplora l’idea che l’amore paterno sia radicato in una tensione tra il temporaneo e l’eterno, tra ciò che perisce e ciò che perdura. Questo paradosso si manifesta in ogni interazione umana, in ogni atto di amore e di educazione, che è al tempo stesso un atto di fede nell’invisibile e nell’incomprensibile.

Il Paradosso della Libertà e della Responsabilità

Il poeta presenta il Padre come colui che offre “la libertà di indirizzarsi al proprio bene / a dispetto di ogni umana insufficienza”, un dono che riflette la natura divina di offrire il libero arbitrio all’umanità. Questo tema della libertà è sviluppato ulteriormente quando l’autore riflette sulla sua propria “fiducia irresponsabile” come figlio, capace di “amare e tradire con la stessa / facilità”. Questo passaggio mette in luce il contrasto tra la stabilità e la fermezza del Padre e l’incostanza e la vulnerabilità del figlio, sottolineando il continuo bisogno di guida e di perdono.

La Perifrasi del “Padre Nostro”

“Nel Nome del Padre” può essere interpretato come una perifrasi del “Padre Nostro”, non solo per la sua struttura e contenuto, ma anche per il suo tono supplice e riflessivo. Guarracino riprende la richiesta di protezione divina, di sostentamento spirituale e di perdono. Chiede che “al mio limite / sovvenga con pienezza la Tua grazia”, un invito alla divina misericordia affinché compensi le debolezze umane. In questo, vediamo una reinterpretazione moderna dell’antica preghiera, un atto di fede che è allo stesso tempo tradizionale e innovativo.

Il Ruolo del Maestro e la Formazione Culturale

Un elemento centrale del poema è la dedica al Maestro don Rocco De Leo, un prete, umanista e docente che ha influenzato profondamente l’autore. La figura del Maestro qui è parallela a quella del Padre, rappresentando un faro di saggezza e guida spirituale. La connessione con il Maestro diventa un canale attraverso cui l’autore esplora la propria fede e la propria identità, integrando la formazione culturale e spirituale ricevuta.

Un Atto di Fede e di Arte

È significativo notare che questa poesia è nata anche come opera commissionata per accompagnare un’incisione di Pablo Achugarry, destinata a una cartella d’arte per amici ecclesiastici del committente, Lino Villa, artista e restauratore. Questo contesto aggiunge un ulteriore livello di interpretazione: la poesia non è solo un atto di devozione personale, ma anche un dialogo con altre forme d’arte e con la comunità religiosa, fino all’allora cardinale Joseph Ratzinger. La poesia diventa così un atto di fede e di arte, un’offerta di bellezza spirituale che trascende il testo scritto.

Cogito – Cogitor: Riflessioni sull’Essere Pensato

Nel passaggio poetico “Il sapersi pensati da Te in ogni istante (capovolgendo in cogitor l’umano, troppo Umano cogito di Cartesio), è questo che dà pianto e insieme forza alla creatura, è questo che fa temere e benedire ogni accaduto accettando il peso che la verità è nel Creatore,” emerge un profondo ripensamento della tradizionale visione cartesiana del “cogito, ergo sum.” Questo testo non solo ribalta l’atto di pensare come fondamento dell’essere, ma lo trasforma in un “cogitor,” in cui l’essere umano si riconosce pensato da un Altro essere supremo.

Il “cogito” cartesiano, con il suo famoso “penso, dunque sono,” afferma la centralità del pensiero come prova dell’esistenza. È un’espressione di autonomia e autocoscienza, dove l’io pensante si riconosce come fondamento della propria esistenza. Tuttavia, il passaggio poetico sovverte questa certezza: non è più l’atto di pensare a definire l’essere, ma l’essere pensati da un Altro, un Creatore. In questo “cogitor,” l’essere umano si scopre non come un soggetto autonomo e isolato, ma come una creatura il cui esistere è determinato dal pensiero di Dio.

Essere consapevoli di essere pensati “da Te” – dal Creatore – in ogni istante, introduce una dimensione di vulnerabilità e di forza simultanee. Questa consapevolezza porta sia al pianto che alla forza: al pianto, perché riconoscere di essere costantemente sotto lo sguardo di un Altro può generare un senso di impotenza e fragilità; alla forza, perché sapersi oggetto del pensiero divino dà alla creatura un senso di significato e importanza intrinseca, derivante dal fatto di essere parte di un disegno più grande.

Il sapere di essere pensati da Dio trasforma l’esperienza umana. Ogni accaduto è caricato di un doppio significato: da una parte, c’è il timore reverenziale di essere sempre al cospetto di una volontà superiore; dall’altra, c’è la benedizione, la gratitudine per essere parte di un piano divino. Questa dualità porta l’individuo a “temere e benedire ogni accaduto,” accettando che la verità ultima risiede non nell’autonomia del pensiero umano, ma nel Creatore che pensa e dà significato a tutte le cose.

Il passaggio dal “cogito” al “cogitor” suggerisce che la verità non è una costruzione del soggetto, ma una realtà inscritta nell’Altro, nel Creatore. L’essere umano non trova più la propria certezza nell’atto di pensare, ma nella certezza di essere pensato. Questo “peso,” questa responsabilità di accettare che la verità risieda in un’entità trascendente, può sembrare onerosa, ma è anche liberatoria: ci libera dal solipsismo e ci collega a un ordine cosmico in cui ogni evento ha un significato dato.

Analisi Critica di alcune Terzine Significative del Poema “Nel Nome del Padre”

Il poema “Nel Nome del Padre” di Vincenzo Guarracino è ricco di immagini poetiche e riflessioni profonde, intrecciate in una forma classica di terzine endecasillabiche. Di seguito, analizzeremo alcune terzine significative, esplorandone il significato critico e poetico.

Prima Terzina:

“A Te che per sempre fine e origine
sei provvida Mente ed arcana
sorgiva energia che tutto reggi, Padre,”

Questa terzina di apertura stabilisce immediatamente il tono del poema, elevando la figura del Padre a un livello cosmico e ontologico. L’uso dell’ossimoro “fine e origine” riflette la natura paradossale di Dio, che è sia il principio che la conclusione di tutte le cose, l’alfa e l’omega, al di là del tempo e dello spazio. L’attributo “provvida Mente” suggerisce un’intelligenza divina che provvede e guida, mentre “arcana / Sorgiva energia” introduce un elemento di mistero e potere nascosto, evocando l’idea di una forza primordiale che anima l’universo. Questa terzina sintetizza il concetto di Dio come creatore e sostenitore della vita, un’entità che è al di là della comprensione umana ma essenziale alla sua esistenza.

Dal punto di vista poetico, la scelta delle parole è particolarmente significativa. L’uso di termini come “provvida” e “arcana” non solo conferisce al verso una qualità arcaica e solenne, ma rafforza anche l’immagine di un Dio misterioso e onnipotente. La metrica endecasillabica regolare, con una pausa dopo “Mente” e “energia,” crea un ritmo che enfatizza la maestosità e l’immutabilità di Dio. La struttura della terzina, con l’enjambement tra il secondo e il terzo verso, guida il lettore senza soluzione di continuità attraverso la descrizione del divino, rafforzando l’idea di un’entità fluida e pervasiva.

Terza Terzina:

“a Te mi rivolgo, con la trepida
devozione di un figlio nel rivolgersi
al proprio padre, io che figlio e padre”

In questa terzina, Guarracino esplora il tema della devozione filiale, sottolineando il rapporto intimo e personale che l’orante ha con Dio. La “trepida / devozione” descrive un misto di timore reverenziale e amore, evidenziando l’atteggiamento di rispetto e affetto del poeta verso il Padre. La ripetizione della parola “rivolgersi” enfatizza il movimento del pensiero e dell’anima verso Dio, un movimento che è al tempo stesso un ritorno e una ricerca. Inoltre, l’affermazione “io che figlio e padre” introduce il tema della dualità dell’esperienza umana, indicando che il poeta è consapevole della propria posizione come sia figlio (del Padre divino) che padre (nel senso umano), riflettendo così la continuità e la reciprocità dei ruoli umani e divini.

La terzina utilizza un linguaggio semplice ma carico di significato emotivo. La scelta di parole come “trepida” evoca fragilità e sensibilità, mentre “devozione” comunica un senso di dedizione totale. La struttura del verso, con una cesura naturale dopo “trepida,” crea una pausa che dà al lettore il tempo di riflettere sulla profondità di questi sentimenti. Inoltre, la figura retorica della ripetizione nella parola “rivolgersi” crea un eco, simile a una preghiera ripetitiva, rafforzando l’idea di un continuo e incessante dialogo con il divino.

Quinta Terzina:

“Tu, del padre, hai la carità irragionevole
E la serena fermezza di chi dona
la libertà di indirizzarsi al proprio bene”

Questa terzina mette in evidenza una qualità fondamentale del Padre divino: la “carità irragionevole”. Il termine “irragionevole” qui è provocatorio, suggerendo che l’amore di Dio trascende la logica umana e le convenzioni. Questo amore divino è accompagnato dalla “serena fermezza,” un ossimoro che unisce calma e risolutezza, caratteristiche di un genitore che offre amore incondizionato ma anche guida e disciplina. La terzina sottolinea anche il dono della libertà, evidenziando il rispetto di Dio per il libero arbitrio umano e la responsabilità individuale di scegliere il proprio cammino.

Poeticamente, la terzina è costruita con un equilibrio armonioso tra gli elementi descrittivi e emotivi. L’uso dell’aggettivo “irragionevole” in combinazione con “carità” crea un contrasto forte e sorprendente, stimolando una riflessione profonda sul significato dell’amore divino. La frase “serena fermezza” è un altro esempio di contrapposizione armoniosa, evocando un’immagine di stabilità tranquilla. La metrica fluida della terzina e l’assenza di pause importanti tra i versi danno una sensazione di continuità e flusso, riflettendo la costante e ininterrotta presenza del divino nella vita umana.

Sesta Terzina:

“unici e molteplici, senza perdere
il gusto della sfida, l’orgoglio di essere
eventi dentro e oltre i fatti.”

Questa terzina esplora il paradosso dell’esistenza umana e divina, sottolineando come gli esseri umani siano “unici e molteplici”. Questa espressione mette in evidenza la natura individuale di ogni persona, che è al contempo parte di un disegno più grande e universale. La terzina parla anche del “gusto della sfida” e “l’orgoglio di essere,” che riflettono un’interpretazione positiva e dinamica della condizione umana, come qualcosa che si svolge “dentro e oltre i fatti”. Qui, Guarracino suggerisce che la vita è più che la somma delle sue parti: è un’opportunità per il trascendimento, per trovare significato oltre l’immediato e il tangibile.

La terzina è costruita con una serie di contrasti e giustapposizioni che creano un senso di movimento e dinamismo. La parola “unici” accanto a “molteplici” crea una tensione che viene risolta nella sintesi dell’ultimo verso, dove la realtà viene vista sia “dentro” che “oltre” i fatti. L’uso di termini come “sfida” e “orgoglio” infonde al testo un tono eroico e celebrativo, rendendo la poesia un’affermazione della vita e dell’esperienza umana come avventura significativa. Il ritmo regolare della terzina supporta questa idea, fornendo una base solida su cui il poeta costruisce le sue immagini e concetti.

Conclusioni

Attraverso l’uso di simbolismi teologici, numerologici e poetici, Vincenzo Guarracino crea nel suo componimento Nel Nome del Padre un’opera che va oltre la semplice preghiera o riflessione personale. Il poema diventa una meditazione sul mistero della Trinità, un’esplorazione della relazione tra l’umano e il divino, e una testimonianza di fede che risuona con la tradizione cristiana. La scelta delle terzine, il numero simbolico di 33 e i riferimenti alla Trinità invitano il lettore a un’esperienza spirituale profonda, riflettendo sulla natura di Dio e sul ruolo della fede nella vita quotidiana.

Capovolgendo il “cogito” in “cogitor,” il passaggio poetico offre una prospettiva esistenziale profondamente diversa: non siamo solo soggetti pensanti, ma anche oggetti del pensiero divino. Questa consapevolezza ci rende creature capaci di piangere e di trovare forza, di temere e di benedire, mentre accettiamo che la verità ultima non risiede in noi stessi, ma nel Creatore che ci pensa. In questo modo, il “cogitor” diventa una chiamata a riconoscere la nostra dipendenza e connessione con qualcosa di più grande, accettando il nostro posto nel mistero dell’esistenza.

Nel Nome del Padre di Vincenzo Guarracino è infine un’opera elegante nella forma e profonda nei contenuti che sfida e ispira. È una riflessione intima sull’amore paterno, sulla fede e sulla condizione umana. Guarracino utilizza la forma poetica per esplorare temi universali e personali, creando un’opera che è allo stesso tempo tradizionale e profondamente contemporanea e innovativa.

Il poema è in ultima istanza un invito a riflettere sulla propria relazione con il divino, con la famiglia e con la propria identità, offrendo un ritratto complesso e toccante dell’esperienza umana.

Maurizio Lancellotti