Mistica del quotidiano – François Nédel Atèrre

Bozza automatica 298
 

François Nédel Atèrre, Mistica del quotidiano, Terra d’ulivi edizioni, 2018

 

A una prima lettura Mistica del quotidiano sembrerebbe collocarsi in una sorta di atemporalità storica, un consesso di lotta tra sogno e materia, anche la metrica spesso risente di questa aria a tratti sognante e allo stesso tempo tersa, un verso antico e pieno e vitale. Ecco le guarnigioni o i banchetti di silenzio. Eppure è una poesia che alla contemporaneità attinge per rielaborarla, per sentirla pienamente e senza sconti, come bagaglio di memoria viva e autentica.

L’autore sembra abbia l’intento di conservare.

È da questa idea del conservare che viene fuori il mistico e nel dialogo incessante e vivo con una natura/sorella la quale, proprio in quanto sorella, va avanti oltre il dovuto, oltre noi stessi, oltre le nostre consapevolezze. E non parliamo di mistico come soprannaturale ma come scavo nel naturale.

Dalla postfazione di Melania Panico

 
 
 
 
La bella gente se n’è andata tutta.
La luce delle lampade si è spenta.
È misterioso, il bagliore del cielo.
 
Adesso può risplendere, la sera.
 
 
 
 
 
 
Dell’impero ignoriamo il confine,
le guarnigioni fragili, assediate
da barbari cordiali, inclini al bere.
Di decadenza abbiamo le nozioni
esauste, sprofondate nella sabbia
dei naufraghi con l’acqua nei polmoni.
Manchiamo, preoccupati di iscrizioni,
di dare ascolto a scricchiolii del legno,
rimproveri per utilizzi impropri.
Il piombo ci sta avvelenando, è in atto
un ordinato sterminio, festoso
che ignora le stoviglie e i grani ai tubi.
Una codifica nuova ci cambia
ogni mattina il viso, ma restiamo
vecchie monete col bordo rigato,
profili consumati dal passaggio
di mano in mano, e non ci sono acquisti.
 
 
 
 
 
 
Sia nuda, la mia stanza. Un grande letto
di ferro, un tavolino messo accanto
coi libri e il lume, i muri bianchi, scabri,
unico quadro la bianca veduta
di alberi nella neve, alla finestra.
 
Io starò appena seduto alla sponda,
come chi allenti soltanto un minuto
il nodo dei pensieri, con la luce
alta ai ginocchi e al viso, lieve ai segni
di mattonelle rosse, consumate.
 
Forse starò spiegando la passione,
dirò a me stesso, le dita intrecciate:
sia tutto, tranne scialbo conversare
di amici lungo viali abbandonati,
un riso vano per cose minute,
un dirsi, senza palpiti o sfuriate,
che bella sera, vedi, abbiamo fatto
ciascuno all’altro compagnia, a domani.