Marco Amore

 
Michele Paoletti intervista Marco Amore
 
 

Marco Amore (Benevento, 1991) nel 2010 pubblica il suo primo romanzo, scritto all’età di sedici anni, cui fanno seguito tre raccolte di racconti. Dal 2013 è attivo nel mondo dell’arte contemporanea come curatore di mostre in spazi pubblici e gallerie private, sia in Italia che all’estero. Di recente ha esposto, con il pittore Angelo Zanella, presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III”, sez. americana e venezuelana, di Palazzo Reale, Napoli, un taccuino per parole e segni sulle orme di Henry David Thoreau. Vanta pubblicazioni di vario genere su testate online e riviste cartacee. Nel 2015 si classifica 1° (sez. poesia under 30) alla IV edizione del premio Michele Sovente. Dal 2017 conduce la rubrica “Prosit! l’arte come indicatore sociale” per Il Foglio Letterario.

 
 

Come nascono le tue poesie?

Bella domanda. Posso solo dire che il processo è molto lungo, e, quando viene a mancare quello stadio di passività ricettiva che si è soliti chiamare ispirazione, si suddivide in due fasi distinte. Nella prima uso mettere in discussione il mio estro e la mia sensibilità, impegnandoli in sessioni di scrittura quotidiana. Non aspetto che arrivi il cosiddetto “lampo di genio”, perché ritengo che l’appetito vien mangiando e che la scrittura vada praticata regolarmente, più che meditata come affermano certi colleghi. La riflessione, l’introspezione retroattiva, devono permeare le nostre vite a prescindere, essere un esercizio giornaliero, un bisogno esistenziale, altrimenti si viene travolti dal conformismo socio-culturale che tiene in scacco la nostra bella realtà. Cosa non per forza negativa, intendiamoci (dipende a cosa siamo abituati a dare importanza), ma che mette in pericolo l’interiorità individuale pervertendo qualitativamente il nostro vissuto. Nella seconda fase, invece, che potremmo definire di labor limae,  mi concentro sulla musicalità dei versi e sulla struttura da imprimere al testo poetico. In questo mi sento assolutamente un esteta. Non ritengo che la forma sia superiore al contenuto, come Wilde, e tuttavia penso che dovrebbe inglobarlo, più che declinarlo, anche a costo di renderlo inaccessibile ai lettori.

 

Quali sono i tuoi autori di riferimento, quelli che ti accompagnano durante il percorso di scrittura?

In una bellissima conferenza su Le correzioni, suo capolavoro indiscusso, Jonathan Franzen dà una possibile risposta a questa domanda, che ritengo effettivamente plausibile. Dice che le influenze dirette hanno senso solo per gli scrittori molto giovani, i quali all’inizio, mentre stanno imparando a scrivere, cercano di copiare stili, atteggiamenti e metodi dei loro autori preferiti. “Io personalmente”, asserisce, “sono stato molto influenzato, all’età di ventun anni, da C. S. Lewis, Isaac Asimov eccetera eccetera [l’ecc. è mio]. Tuttavia queste varie influenze non mi sembrano più significative del fatto che a quindici anni il mio gruppo musicale preferito fossero i Moody Blues. Uno scrittore deve pur cominciare da qualche parte, ma la scelta del punto d’inizio è quasi casuale.” Poi aggiunge: “Sarebbe alquanto più significativo dichiarare che sono stato influenzato da Franz Kafka. Con ciò voglio dire che fu Il processo […] ad aprirmi gli occhi sulle grandi cose che può fare la letteratura”. Assecondando quest’ottica, per me l’epifania è arrivata con Ode a un usignolo di John Keats, mentre il mio “punto d’inizio” sono stati i romanzi dell’orrore.

 

Parliamo del tuo ultimo libro, Farragine, che uscirà a breve per Samuele Editore e che ha un titolo molto particolare. Si definisce farragine infatti “una moltitudine di cose confuse e disparate ma anche una mistura di erbe varie, spesso utilizzata per alimentare il bestiame” (fonte web).

Farràgine è un libro che ho scritto a vent’anni, peraltro nell’arco di un mese. Era un periodo un po’ caotico e triste della mia vita, sicché non conservo un ricordo nitido della stesura dei testi. È un libro profondo, viscerale, ma anche un esercizio di stile, un gioco di parole alla Lewis Carroll (a tal proposito, basta citare Calembour). È un libro che, come osserva molto argutamente Giovanna Frene nella prefazione, ha “movenze da summa e da sacello di aforismi”, imperniato su scelte stilistiche spiazzanti che vedono un alternarsi di versi e prosimetro. Ma è anche un libro solo apparentemente farraginoso e che denuncia la presenza di uno schema rigido in sordina. È un’opera lirica, nel senso buono del termine, ma anche un poema mitologico, sperimentale, un inno all’arte tutta (vedi Cin Cin), perché chi è questa figura che viene decantata e bistrattata alla bisogna, se non la personificazione stessa dell’Arte?

 

Mi verrebbe da definire la tua scrittura come liquida. Una forma che consente di attraversare le cose, penetrarle fino alla loro più intima sostanza. É cosi?

Questa domanda sottende un complimento, peraltro alquanto lusinghiero, per cui proverò a rispondere senza sembrare compiacente. Come ho già detto, la forma, lo stile, rappresentano un punto cruciale della mia ricerca, non in quanto funzionali a scopo comunicativo (a parte l’essere consustanziali all’argomento trattato, esigenza che denuncia una componente edonistica), ma perché ritengo che la poesia non debba essere razionale o intellettuale, bensì solo e semplicemente bella, tutto il resto è un di più. Forse è una posizione infantile, inconsueta, ma non posso farci niente. Poi ci sta che sono una persona riflessiva e ovviamente questa parte del mio carattere non può non trasparire dal mio lavoro, ma insomma: l’intellezione non è un requisito preferenziale in poesia… non per me, almeno.

 

Ti occupi anche di arti figurative e sei curatore di mostre. Ce ne vuoi parlare?

All’inizio consideravo la curatela artistica come un’attività secondaria. Ho frequentato un liceo classico statale e tutto quel che sapevo dell’arte era riconducibile a un paio di ore di lezione settimanali, alla mia annosa passione per il disegno e all’amore per la lettura in genere. L’arte contemporanea, oltretutto, non mi aveva mai interessato granché, con il suo astruso minimalismo e le sue installazioni ready-made. Poi un giorno un gallerista è venuto a bussare alla mia porta e mi ha chiesto di emendare un testo critico. Okay, mi sono detto, non ci sono problemi, ma il testo era talmente brutto che c’era poco da fare, così, dopo una serie di buchi nell’acqua, gli ho consigliato di gettarlo letteralmente nel wc. D’altro canto il lavoro dell’artista era davvero singolare, con le sue tenui linee a matita sui volti appena accennati, i graffi sugli occhi e la sua sostanziale pulizia. Mi impegnai dunque a redigere qualcosa di mio pugno: non un’analisi critica delle opere in mostra, ci mancherebbe, ma un elaborato da passarsi di mano in mano durante l’affollato vernissage. Il risultato fu piuttosto buono e tra me e l’artista nacque un lungo sodalizio. Da allora ho fatto leva sulle mie competenze trasversali e la mia innata curiosità per decodificare il mondo dell’arte. Non sono un curatore nel senso stretto del termine, ma una persona a cui non piace porsi dei limiti.

 

Esordisci giovanissimo come scrittore di narrativa. Un romanzo e diversi racconti. Ci vuoi raccontare qualcosa del tuo percorso di giovane narratore?

La strada da intraprendere per arrivare alla comprensione di noi stessi è molto lunga, tutta svolte e tornanti, e io ho avuto la fortuna/sfortuna di entrare nel mondo editoriale troppo presto. Il primo libro che lessi era IT di Stephen King. Avevo all’incirca sei anni e abitavo in un parco di villette a schiera alla periferia del mio paese d’origine, un luogo pieno di bambini. Fu in quegli anni che prese piede tra i giovani il ciclo estivo Notte Horror, trasmesso in seconda serata da inizio giugno. E ricordo che mio fratello registrava delle pellicole in VHS per poterle riguardare con gli amici ammucchiati sul divano di mia madre. Durante uno di questi appuntamenti mandarono in onda l’omonimo adattamento Tv del romanzo di King, quello con Tim Curry nei panni del clown, e caso volle che mio fratello possedesse una collezione di libri del Re sul pensile sopra la testiera. Sentivo parlottare quei ragazzi in modo allegro e concitato di quanto fossero terrorizzati dalla serie, di quanto il mostro fosse “ganzo” (a eccezione del finale deludente, dove un risibile ragno di gomma entra in scena creando un bizzarro momento di anticlimax), ed essendomene interdetta la visione, ripiegai sulla versione paperback del film. Da allora ho divorato quasi tutte le fatiche di King e i grandi classici del genere: robaccia, come direbbero alcuni, ma che mi ha condotto alle cosiddette letture “impegnative” come pare faccia l’erba con le droghe pesanti. Per dirla con Franzen, mentre stavo imparando a scrivere ho preso a piene mani dai miei autori preferiti e il risultato sono stati i libri di cui sopra, che consiglio di leggere in chiave formativa.

 
 
 
Marco Amore 1
 
Farràgine
 
whisky che gronda, come colla istantanea o ambra da un fusto
                 accoltellato, risali la mia gola impavido, come Enea dall’Ade
 
nasturzi immortali di brandy, grappa, armagnac, vesou, cognac,
                 rum, cachaça, thibarine, slivoviz, malibù in un cocktail esotico
 
che io comprenda l’avestico, se occorre
la mia anima quale triste, mistica parola interpreta?
 
s’inauguri il viaggio: bastimenti, ahi! I Nettunalia son compiuti.
                                   Che meravigliose polene…
 
un sorso ed è fatta; sono nel fiore degli anni
 
Tin Tin, fa il bicchierino di gin…
 
 
 
 
 
 
Farràgine
 
Fuori le fronde degli alberi aggrovigliate su se stesse da un
                                   vento ferino d’estate
(le foglie svolazzanti da parte a parte realizzavano vortici
                                   vivaci, variopinti)
Accompagnata da un adulto
che interrogava i declivi durante uno spettacolo Tv,
la ragazza bruna con gli occhi in orbita
per la luna piena che seguiva lo stesso itinerario
 
 
 
 
 
 
Allora la ragazza bruna con gli occhi in orbita
non si poteva cogliere
dentro l’urlo di una bambina supina con le mani esili
protese a difendersi la testa
Il suo grido era il patatrac abbastanza chiaro
di una brocca in frantumi
 
Per cui tre volte al mese gli accadeva di essere in pigiama. la
luna che maculava gli alberi le friniva ininterrottamente tra le
trecce
 
 
*
 
 
ore ventitré in punto. Manca poco a mezzanotte e tre quarti
 
Al centro del suo ufficio legale appese il quadro con le ninfe
                 di Jan Vermeer: quelle intorno a Diana, col manto in tinta
                                   unita, sembravano sorelle accapigliate
 
«Testa o croce», disse la sorella maggiore
Non erano convinte di niente né pronte a farla finita
ma purtroppo il fucile
regalò una martire alla notte
senza che nessuno disse addio
 
 
 
 
 
 
Erba canina
 
Bella la figlia di Idmone
un intero campo fiorito non poteva che farle da cornice
 
quando danzava tra le luci della sua Colofone
l’occhio umano la coglieva alla sprovvista
 
ma Aracne non si interessava di questo. Aveva una vita spensierata
e vestiva abiti retrò
 
voleva somigliare alla fantastica Audrey Hepburn
 
 
*
 
 
mentre tesseva le ninfe dei boschi la fissavano
celate dalle piante arbustive
 
si liberava delle proprie passioni
con l’ingegno,
le fragili mani sulla tela creata di recente
non producevano niente di nuovo
 
Il filo del discorso
un proverbiale coltello nella piaga
un fiore sul filo del rasoio
elettrico
(una colpa che non mancheresti di cogliere,
se avessi intenzione di trovarla)
 
scendendo al Terminal
ogni giorno per sempre
si ripeteva mai più.
 
 
*
 
 
sul pullman non poteva stare in piedi
né poggiare i piedi sulla sbarra
 
era un bozzolo metallizzato in cui mutare
per un percorso di vita limitrofo
 
la ragazza immaginaria
sparsa nel cortile
aveva l’abbonamento mensile
per studenti
 
aveva il lucidalabbra di Estée Lauder
 
 
*
 
 
ormai l’estate è prossima:
l’epoca in cui esigevi risposte da te stesso
è trascorsa senza che ti ponessi neanche
una domanda. Niente nascerà mai dalla morte:
la teoria aristotelica dell’abiogenesi
è stata verificata da Francesco Redi
nella seconda metà del diciassettesimo secolo
 
 
*
 
 
una galleria d’arte contemporanea allestisce una mostra a tema
sull’inconfondibile aroma di foglie spazzate dal vento
 
                                    ogni quadro un caso di cronaca nera