Poesie per un nuovo inizio è il sottotitolo dell’ultima raccolta poetica di Salvatore Sblando, Lo strano diario di un tramviere, edito da La Vita Felice nel 2020. Avevamo lasciato questo poeta fine e scanzonato, attivissimo nel panorama letterario torinese e non solo, curatore di diversi festival letterari e fondatore della rassegna Aperipo-Etica e dell’Associazione culturale Periferia Letteraria, dedito alla pubblicazione della poesia contemporanea sul suo blog La rosa in più, che contribuisce a fare opera di divulgazione e conoscenza, rarefatta attesa di un orizzonte di bellezza, dando spazio alle voci liriche più originali e significative del nostro panorama letterario. Che sorpresa dunque per me leggere del Salvatore Sblando poeta, di questo tramviere «prestato alla poesia», come ama definirsi in versi di «argute sincerità, di dissimulata capacità letteraria» (così dalla prefazione a Ogni volta che pronuncio te), già autore di raccolte fortunate come Due granelli nella clessidra (LietoColle, 2009) e Ogni volta che pronuncio te (La Vita Felice, 2014). Poesie per un nuovo inizio, dunque, ad impreziosire il Diario poetico di un lavoratore di una ditta di trasporti, che sceglie per la sua ultima fatica letteraria un titolo che mimetizzando l’ineffabile ha già in sé un’alta liricità.
La poesia e il senso del viaggio lirico di Sblando sono già qui, in questo ridimensionare ed esplodere che è l’occhio del poeta nel viaggio del mondo, di chi dissimula per non dire ma che in realtà sente e dice, di chi sceglie di non sublimare perché preferisce rivelare. Se infatti nella precedente raccolta Ogni volta che pronuncio te ciò che domina la poesia è la sospensione («Siamo le parole che non scriviamo/ quelle che pronunciamo»), come ad essere sempre sul filo inesausto di un’attesa, di una autenticità che riconduce l’io a se stesso, dichiarazione di inappartenenza («noi / cammineremo ancora fra i confini / di mille altri confini»), e bisogno di appartenenza («Ed è proprio qui che ritrovo una stanza / per finirti in poesia») il viaggio di questo viaggiatore moderno che percorre la città fino a perdersi nei passi indefiniti di orizzonti e mani e confini diventa uno strano diario che sulle rotaie stride, come stridono i dolori e gli amori e il sogno o il rimpianto del mondo.
Un diario per un nuovo inizio, scrive Sblando, come a dire metaforicamente che il viaggio non finisce ma continua, anzi ricomincia. Ma nel libro non c’è alcuna cesura segnata da un’epidemia mondiale, come implicitamente può suggerire la data di pubblicazione del volume. Nel libro il tema del dolore e dell’amore s’intersecano finemente e convergono nell’immagine del padre, che è l’orizzonte ontologico della poesia: il padre è il fil rouge attorno a cui si scrive la vita di sempre, attorno a cui l’io si autentifica intanto che respira la città e si scrivono nei pressi delle fermate cittadine, tra temi sociali e ricordi amorosi, i passi dei viaggiatori del mondo. È il padre che resta e che non c’è più, è l’amore, il dolore, il senso del viaggio, della memoria. Quale inizio, dunque, di fronte alla perdita, all’assenza, al bisogno di essere, di appartenenza. Il partire, il tornare, il continuare, o forse solo il ritornare. Il nuovo inizio, per il poeta, tutto l’amore che resta.
Laura D’Angelo
Ereditaria età
per me e per mio padre
Sei una casa
senza muri
con le finestre
di un mare aperto
sempre calmo
e io come
acqua e sale
e pianto
e canna da pesca
sul molo
vorrei
vasculo patire
la tua demenza
mentre ti fai
dimenticanza come
quella mollica
che lancio
ogni mattina di fronte
al formicaio
lenta, piccola, lenta
più piccola, più piccola
e bianca comunque
bianca
che resiste
insiste
si fa semenza
l’assenza
la memoria
l’essenza
di limone
che non ho
saputo
voluto senza sale,
dovuto
cogliere
trasmettere
a quel mare
che accoglie
la mia prigione
avvolge
e la porta lontano
bambino
col paesaggio
di pomelie
bianche, comunque
bianche
che resistono
e insistono
sopra il mare
e sulle spiagge
dell’isola nostra
delle femmine
(Marina Palmense- Torino, luglio- agosto, 2016)
Assenze
Oggi
vorrei essere
un dolore
di quelli che nascono
dopo che abbiamo vissuto
sottosopra
senza fiato
Perché quando
non ho male
significa che non ci sei
(Torino, 10 settembre 2019)