Lo sterno d’Italia – Giorgio Paglione

Lo sterno d'Italia - Giorgio PaglioneLo sterno d’Italia (Rubbettino, 2019) è l’opera prima del giovane capracottese Giorgio Paglione. Edito nella collana Iride, questo libro di poesia vanta la presentazione dell’antropologa Letizia Bindi, che così ne scrive: «Lo sterno d’Italia mi appare come un diario evocativo e sperimentale, un racconto di sé capace anche di raccontare un tempo e un territorio, pieno di fiducia nelle parole, nella loro forza espressiva e nella loro capacità di incidere».

Appassionato di fotografia, pilota di droni, laureato in Tecnologie Forestali ed Ambientali, Giorgio Paglione, classe 1991, sostiene da anni la causa delle Aree Interne d’Italia, osservando il mondo attraverso prospettive differenti, spesso avvalendosi delle riflessioni scaturite dalla prospettiva regalatagli dalla tecnologia. I suoi testi sono «note di campo», come le definisce Letizia Bindi, e il suo amore per la natura finisce inevitabilmente per coincidere con il fulcro della sua poesia, che «Trasforma di more le ferite», lasciando a «chi si accontenta / Di carezze antiche, / Racconti e baci sulle fronti». In questa direzione, eccoci sospinti dal titolo: come dichiarato dall’autore in un’intervista (QUI), l’Appennino non è semplicemente la spina dorsale dell’Italia, bensì lo “sterno” d’Italia, perché è dietro di esso che si cela ancora un cuore, un cuore sempreverde, che batte (ed ogni battito, a sua volta, si fa cassa di risonanza per le tradizioni legate ai rispettivi villaggi, quelli cantati da Paglione, per l’appunto: «Le genti rimaste in paese / sono poche come i soldi»).

Giorgio Paglione canta una «terra stanca di partenze, / felice di ritorni», ma narra anche limiti e fragilità umane: «non profumiamo più / però nelle pozzanghere / tocchiamo ancora il cielo» (Fiori veri).

Lo sterno d’Italia è articolato in ben due sezioni (Dei miei monti e di sprizzanti solitudini; Di certi discorsi e dell’amore), delle quali la prima ha estensione maggiore rispetto alla seconda, per un totale di novantuno testi. Nel modus operandi di cui Paglione si avvale per poetare una quotidianità romantica – alimentata sia dall’amore per la donna amata sia da quello nutrito nei confronti della sua terra – non manca neppure un tono emotivo-ironico, con cui l’autore si confronta, di tanto in tanto, per mettere pazientemente a fuoco l’estrema semplicità di «un mondo a pellicola / quello che si vive / da […] registi» inascoltati di una commedia d’amore, perché «Lo dicono anche i film: / d’amore si muore ridendo». Infatti, scrive: «Cerco l’amore nella tua forma, / nelle tue distrazioni, / nei tuoi sguardi di vino / che mi ubriacano il senno / e Orlando è furibondo / perché gli ho rubato l’ingaggio»; e poi: «l’amore / […] / L’ho solo sfiorato / come la statua / di un santo, / con la stessa devozione / con la stessa soggezione».

Infine, l’esempio più prezioso d’amore, sembra suggerirci il giovane poeta, è quello del mondo animale («Torna il vento / a spogliare la luna, / un lupo ne approfitta / la ulula di baci»), ma soprattutto quello della natura, che resta fedele a sé stessa, nonostante il contrappunto delle stagioni: «Esempio antico / di nobile amore. / Il per sempre degli alberi».

 

Vernalda Di Tanna

 

 

 

 

La danza dei grilli

 

I grilli vanno al tempo delle stelle,
cantando ad ogni occhiolino di luce,
con suoni tribali,
mai fuori moda,
rilassati all’asfalto ormai tiepido
e alle leggere chiacchiere giovanili.

 

 

 

 

 

 

Segherie

 

Gli spifferi
tra gli alberi spogli
hanno lo stesso suono
delle segherie.
È un modo
degli alberi
per esorcizzare
le fiamme del camino.

 

 

 

 

 

 

Barba corta

 

C’è una peonia
che hai visto crescere
assieme alla mia barba.
Quando è arrivata all’altezza del cuore
l’hai recisa.

 

 

 

 

 

 

Una scatola di biscotti

 

Quando io
parlo di te,
giurerei
che l’Appennino intero
nasce dal mio cuore.
Questo amore
è una scatola di biscotti
e a te,
come me,
capitano sempre quelli rotti.
Come se infilare
la mano nella confezione
fosse il passpartout
per restare vivi
o essere colpiti
dalla freccia di cupido.
Più che una freccia
è una lancia stagliata.