Il mestiere invisibile: Maria Poumier (Francia, 1950)

Il ciclo Il mestiere invisibile nasce con l’intento di portare alla luce il “dietro le quinte” del complesso e affascinante lavoro dei traduttori e delle traduttrici, dando voce a coloro che operano con passione e competenza per rendere accessibili le opere letterarie attraverso le barriere linguistiche e culturali. Attraverso una serie di articoli brevi e incisivi si esploreranno il percorso formativo, il vissuto personale e professionale, il rapporto umano e tecnico che questi professionisti instaurano con le opere tradotte. Ogni contributo mirerà a creare un legame emotivo e intellettuale con i lettori offrendo uno spazio di riflessione sull’importanza della traduzione come ponte tra mondi diversi.

 
 

Lo spazio del traduttore: un’arte invisibile ma essenziale

Vivere nell’ombra del testo, illuminando ciò che è essenziale per gli altri. María Poumier descrive la traduzione come un atto di amore profondo, paragonandolo al lavoro di un pittore affascinato dal suo modello. È questo fascino che l’ha portata a tradurre opere di autori come José Martí e María Zambrano, le cui parole sono “cristalli che contengono l’universo in miniatura“.

Richiede l’impegno di dissolversi come creatore per lasciare il protagonismo all’autore e alla sua opera, delle volte reinterpretare, catturare l’essenza e il ritmo senza tradirne l’anima. Poumier esemplifica questa complessità con la frase “Luzco y traduzco” ( Spicco poiché traduco) di José Lezama Lima, un’espressione che ha tradotto in francese come “je brille par ce que je traduis“. Sebbene la forza dell’originale si attenui, Poumier cerca di trasmettere lo splendore essenziale del messaggio, sacrificando elementi formali per conservare la profondità del contenuto.

Lo spazio del traduttore è quindi un territorio di creazione silenziosa, dove le parole trascendono i loro limiti e rivelano universi. Come traduttrice, Poumier ci ricorda che dietro ogni testo c’è un amore incrollabile per l’umanità contenuta nel linguaggio.

 
 

Intervista a Maria Poumier

Rocío Bolaños: Come ha iniziato la Sua carriera di traduttrice?

Maria Poumier: Come professoressa universitaria di civiltà e letteratura latinoamericana, sono sempre stata innamorata dei grandi scrittori e, in un atto di omaggio, ho voluto tradurli in francese, per farli conoscere al di là del loro contesto linguistico d’origine.

 

RB: Quali autori o opere hanno influenzato il Suo interesse per la traduzione?

MP: I grandi, sempre, quelli che hanno un linguaggio denso, che sono come un’orchestra con risonanze di ogni tipo, cioè poeti o scrittori di prosa, ma in un atteggiamento di creatività illimitata con il linguaggio.

 

RB: Quali sono le principali motivazioni di questa professione?

MP: Il traduttore è come un pittore, affascinato dal suo modello, o uno scriba, affascinato dall’opera di un altro pittore. Per amore, il traduttore vuole avvicinarsi il più possibile alle diverse sfaccettature del talento dell’autore, reinterpretarlo per far emergere gli aspetti più sorprendenti della sua scrittura.

 

RB: Quale lavoro l’ha messa maggiormente alla prova e quale le ha dato grandi soddisfazioni e perché?

MP: I poeti, sempre i più grandi, per il contenuto che trasmettono e la perfezione abbagliante del risultato: José Martí il cubano, David Escobar Galindo il salvadoregno; umilmente, si fa del proprio meglio per farsi contagiare dall’universo e dalle conquiste di ciascuno. La spagnola María Zambrano, che scrive in prosa, ma è una prosa molto sperimentale, molto controcorrente rispetto a ciò che è autorizzato, con una respirazione orale molto singolare. Tutti e tre sono tanto creatori quanto filosofi, cioè lavorano con un materiale che è come un cristallo che contiene l’universo in miniatura.

 

RB: Quali strumenti e risorse utilizza nel suo lavoro?

MP: Il mio amore per la letteratura francese e i suoi grandi stilisti, le risorse che mi vengono in mente attraverso l’ispirazione, per risolvere le difficoltà, perché ovviamente non si può copiare una lingua su un’altra, bisogna cercare delle equivalenze che trasmettano il tono e lo sfondo della parola, come ogni autore la gestisce.

 

RB: Come si concilia la fedeltà al testo originale con l’adattamento al pubblico di riferimento?

MP: Questo è il grande problema. La prima traduzione di un testo che diverrà un valore universale richiede un grande adattamento al nuovo pubblico di lettori. Le traduzioni successive, una volta che il lettore sa di leggere un grande scrittore, possono essere più audaci, sorprendenti e violente, destabilizzando il lettore in modo che scopra la forza e l’originalità dell’autore, a tutti i livelli. In un certo senso, è necessario deludere il lettore che guarda il testo aspettandosi una rivelazione che si inserisca facilmente nel suo universo mentale, per fargli scoprire che esistono altri universi mentali, in cui deve entrare, abbandonando il suo bagaglio culturale, per così dire, per scoprire nuove “isole di tesori”.

 

RB: Come pensa che la traduzione letteraria si stia evolvendo nell’era digitale?

MP: I traduttori automatici risparmiano molto lavoro per la traduzione di testi senza pretese creative, ma sono inutili per la scrittura che combina elementi dialettali, retorici, metaforici, ritmici e melodici, ecc. Faccio un esempio: “Luzco y traduzco“, scrive José Lezama Lima per introdurre il suo libro La expresión americana, scritto in una prosa molto difficile, che ho amato tradurre. È come un motto, uno slogan, una chiave di lettura del suo atteggiamento nei confronti dei maestri che lo formano: abbaglia e cerca di essere a sua volta abbagliante, ma mantiene l’umiltà di chi si considera un discepolo, un epigono di fronte all’autore che ammira e che cerca di eguagliare. Per tradurre questa frase in francese, ho dovuto chiarire e stemperare questa sorta di blasone araldico, che di per sé ha la brillantezza e il mistero di un gioiello di profondo splendore: “je brille par ce que je traduis, je suis le véhicule de quelque chose de plus grand que moi” (mi viene ora in mente che si tratta dell’approccio di Giovanni Battista che annuncia la venuta di Cristo, e il parallelo non è inopportuno, anche se azzardato); sarà anche una traduzione, ma ovviamente cancella tutta la forza del giro di parole originale. Qualcosa deve sempre essere sacrificato, quando si tratta di tradurre qualcosa di splendido; ecco perché c’è sempre spazio per altre ritraduzioni di un’opera importante.

 

RB: Qual è il suo sogno come traduttrice?

MP: Ci sono molti strati nei sogni; formulerò tre, se posso, come se tu fossi la fata madrina che può fare tutto: uno, essere pubblicata, e pagata, e quindi riconosciuta come traduttrice con… qualità eccezionali (la vanità del traduttore è colossale come quella dello scrittore); secondo, incontrare fisicamente gli autori che mi sforzo di tradurre, (con infinito rispetto), cosa non facile nel caso di creatori defunti, anche se forse nell’aldilà… chi lo sa? (Io credo nell’aldilà). E tre, che l’autore che ammiro si innamori di me come io mi innamoro di lui. Mi è successo con il romanziere argentino Enrique Medina, noto per il suo primo romanzo, un successo clamoroso in patria, Las Tumbas (1972) e difficilissimo da tradurre, perché scrive in gergo per bambini, parla molto di pugilato e calcio (di cui non so nulla), e ha l’impulso stilistico rivoluzionario dello scrittore francese Louis-Ferdinand Céline, nella gestione delle ellissi, delle asperità e della perspicacia psicologica. Il fatto è che a seguito di letture condivise (su entrambe le sponde dell’Atlantico) come nella leggenda di Francesca e Paolo, o in quella di Eloisa e Abelardo, ci sono nati due figli, e siamo in attesa di nipoti, se Dio vuole. Certo, non si possono sposare tutti i propri idoli, ma anche gli idilli paralleli e platonici sono molto necessari, e per questo non c’è limite, non c’è scadenza…

 

RB: Ha dei rituali per quando traduce?

MP: Dimenticarmi di tutto.

 

RB: Se potesse scegliere un’opera o un autore da tradurre senza vincoli di tempo o di budget, chi o cosa sarebbe?

MP: Ti dirò che il mio grande motore è la curiosità, quindi sono sempre alla ricerca di nuove scoperte. Ma una volta che colgo la grandezza di un autore e mi sento nutrita dal suo genio, non rimango necessariamente con lui, lascio il compito ad altri (la traduzione è un lavoro molto femminile), mi sento la moglie principale e posso essere generosa con le altre amanti.

 

RB: Quale consiglio darebbe a chi aspira a diventare traduttore?

MP: Leggere molto in entrambe le lingue, quella materna e quella paterna, se così si può dire, cioè quella che scopro essere superiore e di cui ho bisogno, per ereditare qualcosa da essa. Non mi accontento della mia lingua madre; scoprire i giochi di parole, le battute, il gergo di ogni lingua mi stupisce. Un esempio molto bello e molto casto che amo nel lessico salvadoregno è il nome di un uccellino, il “dichosofui“. Una parola spagnola molto comune, ma grande per la sua genealogia e il suo uso esteso ed emotivo: Ojalá. Significa Inch Allah, “Che Dio voglia“, ed è una semplice deformazione fonetica dell’arabo, ma si è radicata come nessun’altra, da straniera è diventata autoctona e unica nel linguaggio ispanico.

 
 
Poème bilingue
 
Bilingüe sí, pero también biloco
«Sous le pont Mirabeau coule la Seine»
Bajo el puente, dijo Guillermo Apolinario,
Fluye el río Sena
«Et nos amours, faut-il qu’il m’en souvienne»
Y los amores nuestros, ay, cuánto me pesa.
Je partis à la guerre; vous restâtes en gare
A la guerra partí, en la estación de tí
Me despedí.
Je larguai les amarres, vous coupâtes les ponts
Me solté ; vos las ataduras cortaste.
Je tombai dans l’oubli, je vous vois renaissante
Caí en profundo olvido mientras tú renacías.
Ravissante à souhait, le bonheur à croquer
Encantadora estás, mi reina, merienda celestial.
Je revins trépané, tu t’éclates, tu pètes la santé
Trepanado volví, tú saludable, gozando vas.
Dans ma tête ça cloche, ça grince et ça crie
Badajo estallo, te duelo y me duele
Murènes colchiques
Murenas y cólicos frutales
Algo se ha roto en mí, algo se te escapa a ti.
On nous a mis ensemble à l’hosto des marteau
Nos han metido juntos en el mismo manicomio
Toi ma déesse, de ta raison vidée
Tú diosa mía devastada por alzheimer
 
Maria Poumier