L’esilio è una prova di resistenza – Francesca Marica


 
 
È una concezione del male meno sottile quella che proponi,
le parole che dici un incantesimo, la notte poi lo sai che arriva
ma i conti non tornano anche quando sono in eccesso.
 
L’esilio è una prova di resistenza.
 
Tutto sopravvive a una possibilità di traduzione.
Tutto sopravvive a un altrove.
 
 
 
 
 
 
L’unica volta che non hai avuto paura del buio
eri un cucciolo di lupo,
trentaquattro vertebre mal contate,
un corpo che faticava a riconoscersi in un nome.
 
In quello stato di allarme,
la concordanza di tutti i brandelli.
 
 
 
 
 
 
Basterebbe il silenzio rotto della sera,
la materna pazienza dell’acqua,
una veglia che tenga a riparo le polveri.
 
Non è una terra straniera
quella che ti asciuga gli occhi
nell’istante della confessione che cade
e non c’è rumore che sappia farsi sordo
intorno a questa stanza senza più illusione.
 
Riparo lo spazio con la calma della parola,
maneggio gli eventi con cura.
 
 
(Francesca Marica, Concordanze e approssimazioni, Il Leggio, 2019)

La poesia per Francesca Marica è un’opera di riparazione, un esercizio di sopravvivenza e di ricollocazione degli eventi nel tempo, per realizzarne un’elaborazione positiva.

La parola esercita una fascinazione capace di modificare la realtà o la percezione che ne abbiamo di essa (è “un incantesimo”), capace di contenere la portata del male; ed è frutto di una “resistenza” che si traduce nella solitudine cui la vita spesso costringe con le sue prove, anche apparentemente insensate.

Già qui Marica evidenzia la sua lettura positiva della realtà, ripetendo che “tutto sopravvive”, sia all’altrove del male, dell’esilio, sia alla possibilità di essere tradotto, elaborato in qualcosa che diventi sopportabile, persino prezioso.

Nell’altro da sé l’io del testo riconosce la difficoltà di un passato versato in “stato di allarme”, prima di elaborare positivamente la “paura del buio” o la fatica “a riconoscersi in un nome”, e la chiave di volta sembra essere proprio la “concordanza”, quel quid che rende significanti “tutti i brandelli”, trasfigurandoli in un insieme coerente: la stessa concordanza che finisce per dare il titolo alla raccolta da cui provengono questi testi.

Ma è nel terzo di quelli selezionati che si evidenzia il tono sereno e la grazia riparatrice che contraddistingue il dettato di Francesca Marica: “la materna pazienza dell’acqua” impedisce l’innesco delle “polveri” e consente una lenta cura.

Nonostante il tempo sciolga ogni illusione, è sempre più umano confessarsi, e il mondo circostante, dopo questo esercizio di onestà, non appare più “una terra straniera” ma familiare, riuscendo in qualche modo a offrire una consolazione.

Ed ecco, nell’ultimo distico, la confessione finale, quasi una dichiarazione di poetica: la cura nel maneggiare ogni evento, passato, presente o futuro, e la convinzione che le ferite della vita, nello spazio che ci circoscrive, possano essere riparate con la calma e la grazia della parola, con il suo incantesimo che consente di rintracciarne senso e direzione nel tempo.

In queste poche parole si rispecchia un messaggio estremamente positivo, e l’invito a elaborare con grazia, pazienza e cura, i frequenti corti circuito di senso cui la vita ci costringe, per riparare noi stessi e le persone che ci circondano, in un esercizio di concordanza e di sopravvivenza, un esercizio che raramente riusciamo persino solo a intraprendere.

 

Mario Famularo