L’erranza – Anita Piscazzi

La dedica che in esergo apre L’erranza (Italic peQuod, 2023, con prefazione di Andrea Di Consoli), la silloge di Anita Piscazzi, è ai «cercatori dell’invisibile», a coloro cioè che si pongono in una posizione di attesa attiva, di sguardo perspicace verso una dimensione altra, a quanti lasciano alimentare dentro sé una tensione verso l’infinito. «Tempo» e «luce» sono i due vocaboli che predominano nei versi ed è da questi che è opportuno principiare per cogliere, almeno nell’essenza, la pluralità semantica ed espressiva della poesia. Si può, per esempio, guardare all’Uno come al tutto che ci possiede e di cui siamo parte: non più solo esseri umani, senzienti, capaci di provare e donare emozioni bensì forze ed energie sprigionate dall’universo come «piccole particelle» in cui l’elemento temporale e spaziale si annulla o quantomeno riduce la propria funzione. Di fronte a tutto ciò possiamo considerarci esuli permanenti, migranti di speranze, in un dove che è qui e al contempo si manifesta irraggiungibile poiché «tutta la bellezza sarà del mondo». «L’occhio mio non vede che l’eterno»: qui ci poniamo dinnanzi a una certezza assoluta, priva di sfumature o incertezze, così dietro di noi si cela l’immensità e davanti a noi si staglia l’eternità, mentre nel mezzo l’umana esperienza non si assorbe né coincide totalmente con il suo limitato orizzonte. Il lettore più attento coglierà nel corpus poetico una sorta di controcanto musicale perché da una parte vi è il viaggio della parola, che non è mai abusata né diminuita d’intensità, e dall’altra il percorso delle note che vi si affianca solletica ed è linfa esso stesso della pregnanza del dire: così possiamo immaginare un Largo, a recare l’attesa di un grande, stupendo accadimento, e poi in seguito manifestarsi un Allegro con brio là dove pace e bellezza si tramutano in armonia generale per poi, come in un cerchio che si chiude, ridiscendere in un Andante sostenuto, in viaggio verso la purezza. Nell’afflato spirituale che custodisce e cesella l’intera opera Piscazzi non rinnega il ruolo dell’inconscio, soprattutto quando esso decostruisce il senso di immagini e visioni, per restituirci la spontanea, placida esigenza di una cura di sé e di quella luce che possediamo.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Lenti i passi del pianeta,
fresco il biancospino canterà
sull’acqua.
 
La luce si farà vaga,
cercherò dentro e intorno
il silenzio. Mutevole. Altissimo.
 
Ogni cosa muore,
tu che mi sei davanti, proteggimi
dall’aere nero che batte.
 
 
 
 
 
 
Siamo esuli da prima del mondo
nessuna dimora ci lega.
 
Anche il legno era un ramo
e rimpiange la scorza.
 
Ma come tenere il silenzio, se i falchi
volano insieme alle allodole?
 
 
 
 
 
 
Ogni cosa, ovunque volgerai lo sguardo,
ti sembrerà non avere forma
e i tuoi compagni di viaggio saranno
la fiamma, la strada, il segno.
 
Soltanto ascolta, chiudi la bocca,
anche se hai cento pieghe di feltro addosso,
– Guarda come si manifesta l’universo.
 
Il tuo lampo sarà pura luce.