I Vangeli non sono racconti “storici” della vita di Gesù ma “teologico-catechetici”. Cosa rimane dai Vangeli del Gesù storico? Queste le conclusioni comunemente accettate: 1) Gesù era oriundo dalla Galilea e dalla città di Nazareth; 2) verso i 30 anni abbandona la sua casa; 3) dopo il battesimo si dà alla predicazione del “Regno” di Dio; 4) raduna intorno a sé un gruppo di discepoli; 5) si attribuisce un’autorità assoluta sulla Legge che lo porta allo scontro frontale con le autorità religiose ebraiche e alla morte violenta sulla croce; 6) svolge un’attività taumaturgica, compiendo guarigioni ed esorcismi; 7) dopo la sua morte i discepoli dicono di averlo visto vivo e lo identificano con il Messia. Fu così che sorse la “setta dei Nazareni” (At 24, 5: ton Nazoraion haireseos) che, staccatasi dal giudaesimo, divenne il cristianesimo.1 Di Gesù storico resta ben poco rispetto al Gesù della fede.2 Intorno al 65/70 Vangeli sono scritti dai tre sinottici (Marco, Matteo, Luca) e intorno al 90 viene composto il vangelo di Giovanni. Ireneo li definisce il “Vangelo quadriforme”3, cioè il Vangelo in quattro forme. Lo stesso Ireneo critica Marcione, che dei quattro accettava solo il Vangelo di Luca, ma biasima anche gli gnostici che credono in un unico Vangelo che definiscono “Vangelo della verità”.4 I Vangeli non dicono nulla dell’aspetto fisico di Gesù, poco della sua vita psichica e dei suoi sentimenti, non precisano quanto tempo è durata la sua predicazione, dove si sia svolta, quando sia nato e quando sia morto. Il loro interesse è solo, come abbiamo detto, catechetico, o, come si dice “kerigmatico”, che si limita all’annuncio della salvezza che Dio ha offerto a tutta l’umanità. Qual è il loro valore storico? Riportando dei fatti hanno indirettamente un valore storico, anche perché se gli evangelisti sono convinti di raccontare fatti veri della vita di Gesù.5 Fra i quattro evangelisti il più storico è Luca che dichiara esplicitamente di aver condotto delle “ricerche accurate” (in greco parekolouthekoti akribos) sui fatti che espone. Dai quattro Vangeli si ricavano quattro diversi ritratti di Gesù.6 Il Vangelo di Marco è stato scritto prima del 70, cioè prima della distruzione del tempio di Gerusalemme. Dove è stato scritto? Non si sa, ma si ipotizza a Roma.7 Il suo Vangelo è il meno teologico e il più storico degli altri tre, tanto che Légasse lo definisce “una vita di Gesù”, Vangelo che inizia con le parole stesse di Gesù: “Convertitevi e credete nel Vangelo”: metanoeite kai pisteuete (Mc 1,15). Cristo insegna nella sinagoga, nel Tempio e anche all’aperto, lungo le sponde del lago di Genezaret o in giro per i villaggi, preferendo i paesi di campagna alle città. Marco dice che Gesù, a differenza degli scribi, parla con autorità (in greco exousia) e per questo attirà a sé le folle. Marco ama affrontare le questioni di attualità: il problema del divorzio, della ricchezza e della povertà, della posizione dei bambini nella società, del primato fra gli apostoli. Egli presenta la figura di Gesù non solo come annunciatore della buona novella, ma come maestro (didaskalos). Stupisce che sostenga che Gesù insegnava in parabole (en parabolais), ma, a differenza degli altri due sinottici, ne ricorda solo tre. Egli insiste invece sulla profondità del Vangelo di Gesù e sul suo “mistero” (mysterion) (4,11). Gesù oltre che maestro è anche terapeuta ed esorcista e vive in contatto continuo con i malati. Come guarisce Gesù? Con una forza risanatrice che emana dalla sua persona. Compie anche “opere di potenza” (dynameis) come il salvataggio dalla burrasca e la moltiplicazione dei pani. Egli era odiato dai sacerdoti, dagli scribi e farisei, ma amato dalla folla che lo ascoltava volentieri (hedeos). Ma ben presto essa lo abbandona e Gesù risulta incompreso non solo dai suoi discepoli ma anche dai suoi parenti che lo ritengono “fuori di sé” (exeste) e si muovono per andarlo a prendere (kratesai) (3,21). I suoi discepoli dimostrano di non aver compreso il messaggio di Gesù, anzi lo fraintendono tanto è vero che nel Getsemani si addormentano mentre il maestro pregava il Padre di esentarlo dal martirio e dal supplizio infame della crocifissione. I discepoli inoltre lo abbandonano “tutti” durante la passione e la morte di croce. Per Marco la morte di Gesù rappresenta un “fallimento totale” (Légasse, op. cit. p. 52). Che significato ha questa fine catastrofica? E’ un avvertimento per i cristiani, “che devono rendersi conto di quanto sia duro seguire Gesù e di quante difficoltà questo comporti” (De Rosa). Ma la peculiarità rispetto agli altri evangelisti sta nel fatto che Marco sottolinea più di tutti l’umanità di Cristo che egli chiama “Figlio dell’uomo” (B. Rigaux, Testimonianza…, cit. p.114), umanità che culmina nel grido angoscioso di Gesù crocifisso: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Gianni Giolo
1 PIÈ-NINOT, La Teologia fondamentale, Brescia, Queriniana, 2002, pp. 358-369
2 R. SCHNASCKENBURG, L persona di Gesù Cristo nei quattro Vangeli, Brescia, Paideia, 1955, pp. 25 s.
3 IRENEO, Adv. Haer. 3, 11, 8
4 IRENEO, Ibidem, 3, 11,9
5 R. SCHACKENBURG, La persona di Gesù…cit, p.440
6 Si vedano gli studi di R. SCHNACKENBERG, La persona di Gesù Cristo nei quattro Vangeli, cit. pp. 27-114. Per il Vangelo di Marco sono da segnalare J. GNILKA, Marco, Assisi, Cittadella, 1987, p. 964; S. LÉGASSE, Marco, Roma, Borla, 2000, p. 892; B. RIGAUX, Testimonianza del vangelo di Marco, Padova, gregoriana, 1968, p. 182; F. LAMBIASI, Vangelo di Marco, Casale Monferrato, Piemme, 1987, p. 127; R. PESCH, Il Vangelo di Marco, 2 voll., Brescia, Paideia, 1980, p. 82
7# LÉGASSE, Marco, cit., pp.38 sgg. critica la testimonianza di Papia, vescovo di Gerapoli, che fa di Marco l’interprete di Pietro e il discepolo di Cristo. Si tratta invece di uno sconosciuto giudeo-cristiano, chiamato Giovanni Marco di Gerusalemme. Costui sarebbe emigrato dall’Oriente a Roma e per questa comunità avrebbe scritto il Vangelo.