Le dissonanze (esercizio)


Finora abbiamo analizzato l’eufonia sotto molteplici aspetti.

Dopo avere prestato attenzione ad assonanze, rime, radici etimologiche, singoli suoni o interi lemmi, possiamo trarne una regola generale: si ha eufonia ogni qual volta vi è una ripetizione, di diversa misura, che va dal singolo suono a porzioni più o meno ampie di un lemma, siano esse toniche o meno, ripetute o accennate, simili o identiche, durante il verso o il discorso poetico.

Da questa affermazione passiamo ad un concetto importante: la conoscenza puntuale delle regole permette a chi le padroneggia di violarle con intelligenza, di “usarle al contrario”, di “fare finta” di ignorarle o di andarci contro.

È infatti indispensabile conoscere a menadito una regola per disapplicarla con coscienza di causa, e non in modo assolutamente fortuito o arbitrario.

Dopo essere arrivati, sul versante metrica, al verso libero attraverso lo studio di alcune regole più o meno consolidate (proprio per dimostrare quanto detto), affrontiamo un aspetto molto sottovalutato nel versante eufonico del verso: le dissonanze.

È infatti un luogo comune abbastanza noto (quanto infondato) che la poesia debba essere bella e avere senso, mentre molti autori hanno dimostrato con abilità che ciò non solo non è necessario, ma si può cercare l’esatto opposto (ovvero la non bellezza e la mancanza di senso – e ciò per ragioni più ampie che non possiamo affrontare in questa sede).

Non esistono regole specifiche per ottenere dissonanze, se non cercare di applicare “al contrario” tutti i fenomeni che abbiamo analizzato finora in campo eufonico. E dunque:

 

  • evitare ripetizioni di vocali, consonanti, sillabe toniche o atone, rime;

 

  • cercare la vicinanza di gruppi sonori stridenti, disfonici, che creino un effetto quasi fastidioso all’orecchio, in concomitanza con il significato del testo;

 

  • utilizzare ritmi non cantilenanti, ma modulari, se non addirittura disritmici o cacofonici.

 

Una precisazione: questo non rende il testo prosa. Perché nella prosa non vi è mai un’attenzione alla sonorità del testo, né in un senso, né nell’altro: mai può esservi la stessa attenzione alla singola emissione di suono.

 

Immaginate il passaggio da versi eufonici a versi dissonanti: un autore in grado di avere padronanza di questo tipo di fenomeni potrà piegarli al significato delle proprie parole e del proprio testo.

 

Traccia:

 

TEMA = a piacere.

 

METRO = a piacere.

 

STROFE = massimo due, a piacere.

 

REQUISITI = cercare quanto più possibile la dissonanza, sia fonica, che ritmica.

 
 
Esempio:
 
Azzurro, sfera viscida
di melma che stagna e ribolle,
quasi a confermare la
menzogna di un colore
che diventa infezione,
miasma purulento.
 
La setticemia eczemica
si espande zitta, critica,
tossina che intromette
la sua egemonia
nelle pieghe della vita,
straziandola di spasmi.
 
 

Mario Famularo