L’aria è una, Anna Maria Carpi (Einaudi, 2022).
[…] Se non fosse
quest’ansia senza meta,
l’inferno delle cose,
diverso il suo dal mio
così di poco che non vale la pena
di parlarne.
Tutto sappiamo tranne cosa fare.
Basterebbero questi pochi versi a raccontare lo scenario in cui si muove la poesia di Anna Maria Carpi. Versi che appartengono al doveroso “L’aria è una”, uscito per Einaudi nelle scorse settimane, e che in questo caso si possono già ritrovare ne “L’animato porto” edito da La vita felice nel 2015.
Il libro Einaudi raccoglie infatti poesie già uscite nell’arco di trent’anni per molti dei maggiori editori italiani (A morte Talleyrand, Campanotto 1993; Compagni corpi, Scheiwiller 2005, E tu fra i due chi sei, Scheiwiller 2007, L’asso della neve, Transeuropa 2012, Quando avrò tempo, Transeuropa 2013, il già citato L’animato porto, E io che intanto parlo, Marcos y Marcos 2016, E non si sa a chi chiedere, Marcos y Marcos 2020).
Il percorso di Anna Maria Carpi è fatto in buona sostanza di tanti libri importanti e forse mai abbastanza affrontati, complice una poco generosa attenzione critica, inspiegabile per chi, oltre alla qualità letteraria, ha saputo dimostrare prove di traduzione ai massimi livelli, tra tutti per chi scrive il profondo e magico rapporto con Durs Grünbein. Come queste due scritture si cercano e si ritrovano è facilmente intuibile anche solo a una sommaria lettura. Certamente il palcoscenico a cui Anna Maria Carpi ci accomoda è anche quello di una poesia lontana dalla nostra del Secondo Novecento e dei primi anni Duemila, fatta di un maggiore scavo interiore, di una più elevata introspezione. Manca in questa poesia la dinamica di rimanere all’interno della pura superficie che sembra affascinare tanti autori contemporanei che ricalcano la generale assenza collettiva, ad avviluppare almeno parti della società.
La poesia di Anna Maria Carpi, al contrario, anche nelle immense solitudini (private o narrate, la totale aderenza rimane nei versi sotto il velo della possibilità) colpisce sempre nel cercare un’origine, come se il dolore non potesse mai essere una questione naturale ma sempre mediata dalla natura umana.
Ecco così assumere maggior senso le mancanze genitoriali, le fratture amorose. Non è tanto la storia a muoversi all’interno della vicenda poetica di Anna Maria Carpi, ma le esistenze che si modificano, invecchiano e a un certo punto si abbandonano non necessariamente alla tragedia ma spesso ad una dimensione differente, che è anche una sorta di via di fuga, il fantastico.
Non dovrei lamentarmi,
all’alba ho fatto un sogno:
in una casa che non è la mia
o è la seconda o è casa di vacanze,
ho invitato a pranzo pochi amici,
da bere e da mangiare quanto basta.
Ma la porta si apre di continuo,
altri che sopraggiungono a me ignoti,
si siedono a banchetto,
sembra una cena del Veronese.
E la cosa più strana: non si vedono servi,
arrivano da sole le portate
e vini e vini, vini bianchi e rossi
fermi e spumanti, non ci posso credere.
È per stare con me che sono accorsi?
Cos’è questo, un miracolo
come quelli di Cristo?
Io non sarei perduta?
La poesia di Anna Maria Carpi è in realtà entrata (silenziosamente, alla sua maniera) in moltissimi scrittori delle nuove generazioni che hanno deciso di accettare le profonde domande domestiche di questa scrittura e di introdursi nelle abitazioni private, senza per questo abbandonarsi a una sorta di hikikomori. In Carpi al contrario è evidente la disperata tensione per la vita e la gioia, anche quando questa sembra lontana e senza possibili vie. Anche quando il destino sembra soffiare venti dannatamente ostili.
È un destino. A sera dopo cena
io alla mia scrivania e sul divano
sonnecchia uno dell’altro sesso,
riverso, si è assopito, non si corica,
vuol farmi compagnia
e guai se non ci fosse, lo so bene.
Ma perché ignora cosa faccio e spero
di sera in sera a oltranza?
Il cassettone dei miei scritti aperto
sugli anni di tempesta, quando scrivevo a mano
e ritraevo il mondo stupefatta,
i compagni di allora
fra comunismo chiesa e terzo mondo,
i miei senza difesa
e io che studio lingue a Mosca e a Bonn.
L’amore?
Come ogni sciocca sogno
un uomo forte che non dorme mai.
È rimasto una fiaba.
O forse è l’uomo, forse è l’altro sesso
e ogni umano in sé un’acqua bassa
un povero vicino senza un soldo.
Andrebbe notata anche l’aggiunta nell’ultimo verso rispetto alla versione 2015 (ancora L’animato porto), ovvero “senza un soldo” diventata nel corso di questi ultimi tempi immagine ancora più iconografica di una certa condizione generale. In tempi di crisi essa individua non solo nella pochezza della figura maschile e nell’inadeguatezza dell’avvicinamento di coppia una propria mancanza ma, proprio nella precarietà economica, vive la personale disfunzionalità vista ancora una volta come qualcosa di misurato verso l’esterno (possibilità di acquisto e quindi di innalzamento di stato sociale) oltre che verso l’interno (incapacità di amare o ancora meglio di accettare la propria compagna per quello che è nell’essenza, in questo caso scrittrice, traduttrice e -non dimentichiamo- sognatrice a oltranza).
Affonda la poesia di Anna Maria Carpi una sorta di lieve disperazione, malinconica come può esserlo un tramonto nel pensiero della notte, eppure in quest’autrice esiste la netta convinzione di un possibile nuovo giorno, solo senza un conto preciso di ore. Poesia di attesa quindi, di consapevolezza e anche di un utilizzo della lingua che nella costruzione rigorosa non si fa mancare passaggi più colloquiali, dove l’ironia non viene meno anche nei confronti di chi così distante per età le si avvicina. Ma è innegabile che nel silenzio queste figure hanno affascinato come quella maschera che dietro l’apparente semplicità concede al contrario una franca, totale verità che, rimanendo appunto nei limiti della superficie, difficilmente o quasi mai si riesce a cogliere.
Matteo Fantuzzi
La mia lingua è inattuale?
Io piaccio
a giovanissimi ignoti che mi scrivono
da facebook. Quale faccia,
se ogni giorno la cambiano.
E perché piaccio? Perché parlo semplice?
Sentono in me a distanza
il cucciolo pezzato
che fa salti e che abbaia
perché, lui così crede,
la poesia emana dalla vita? […]