Laboratoria: Stefano Dal Bianco

Una rondine bella
si è fermata sui fili della biancheria
davanti alla finestra chiusa
e guarda in casa mia
con il chiaro intento
di vagliare la possibilità
di fare della mia cucina
l’albergo del suo nido di famiglia.
 
Che sia lei stessa o uno dei suoi figli
fa così tutti gli anni
e quasi sempre decide che sì
la mia cucina è il posto adatto
perché ha il soffitto alto
e sufficiente spazio per andare e venire volando.
 
A questo punto sono rovinato
perché lei ha già avvertito il suo compagno
e mi fanno la posta tutto il giorno, io lo so
perché se apro la finestra
la coppia entra e esce a volontà trasportando materiali
per farsi una casa in casa mia.
 
Del tutto in linea con la mia infame specie
io questo non lo posso permettere
e allora tengo chiusi i vetri
perché la bellezza, come tutti sanno
è una cosa che si guarda
ma non si può tenere dentro, perché sporca.
 
Stefano Dal Bianco, da Paradiso (Garzanti, 2024)
 
 

Per questo appuntamento di Laboratoria vi propongo una poesia di Stefano Dal Bianco da Paradiso (Garzanti, 2024), libro candidato al Premio Strega 2024 (e a lui giungano i miei e i nostri migliori auguri). Dal Bianco vive in provincia di Siena dove insegna Poetica e stilistica all’Università. Si è occupato prevalentemente di Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto, Andrea Zanzotto. Ha pubblicato La bella mano (1991), Stanze del gusto cattivo (1991), Ritorno a Planaval (2001, 2018), Prove di libertà (2012). I suoi saggi di poetica sono raccolti in Distratti dal silenzio. Diario di poesia contemporanea (2019). E, in via eccezionale in questa puntata di Laboratoria, mi accompagnano anche righe di Alessandro Canzian.

Beatrice Zerbini

 
 

Paradiso di Stefano Dal Bianco (Garzanti, 2024), autore tra i favoriti del Premio Strega Poesia 2024, si presenta come una lunga osservazione a presa diretta sul mondo, registrazioni al cellulare tra strade, sentieri, boschi, campi e lungo il fiume nei pressi di un piccolo borgo nelle colline senesi. In tre sezioni (Appuntamento al buio, Paradiso, Vento d’autunno) Dal Bianco osserva la natura essere, spesso in contrapposizione all’essere umano. Dichiarandone fin dai primi testi il rapporto aspro-dolce che ci rende parte ma non partecipi nonostante nella natura ci siano tutte le forme per interpretare l’umano.

Un umano che in Paradiso si rapporta a tre soggetti fondamentali mentre cammina: l’io lirico, il cane Tito, la natura/paesaggio. Un rapporto che si poggia sul grande architetto che è la lingua quale strumento che unisce e costruisce la relazione, se non addirittura lo stupore e la sofferenza, e che a sua volta è silenzio e paesaggio e sofferenza essa stessa (si legga a tal proposito la riflessione dello stesso Dal Bianco, a margine dei contributi su “Poesia e macerie” raccolti nella sezione monografica dell’Ospite ingrato n. 14, tratta dalla tavola rotonda del convegno svoltosi presso l’Università di Friburgo nell’aprile 2022, QUI).

Inserendosi in una tradizione chiara che vede gli animali e il paesaggio come interlocutori dei poeti, il cane Tito agisce e rievoca altri versi. Si pensi ad esempio a «I boschi intorno sono padroni del campo. / Ogni animale soffoca nella tana. / Io non conto, perché la mia mente è lontana: / La solitudine in sé inavvertito mi chiude» di Robert Frost (da Conoscenza della notte e altre poesie, Mondadori, 1988, traduzione di Giovanni Giudici). Ma a differenza del poeta americano il cane Tito appare in sintonia, parte di una natura non sempre perfettamente benevola ma perfettamente aderente a lui. È l’uomo, piuttosto, a rimanere soffocato nella propria tana (qui, pur non c’entrando nulla con questo pezzo, si suggerisce la lettura dell’articolo su Guerra e Paesaggio/Natura, Soldati e Terra, pubblicato da Elena Trevisan su laletteraturaenoi.it alcuni giorni fa, QUI).

Il cane Tito evidenzia il rapporto non solo con la natura ma anche con quella complessa cosa che sono i sentimenti umani, il provare qualcosa per qualcuno ma soprattutto l’aver bisogno di qualcuno che prova un sentimento per te. Un non esserci scampo ma senza disperazione.

«Per scrivere devi volerlo fare» dice Dal Bianco nell’interessante anteprima proposta a Lo Spazio Letterario (partner storico di Laboratori Poesia, QUI) perché »il momento della scrittura non è mai il tempo della vita». Riflessione importante che è anche una dichiarazione di stile, di spezzatura della vita e dello scrivere. Come la corsa del cane Tito e il suo avere un ineffabile e definitivamente non umano «qualche cosa dentro di convulso / e vivace, un poco oltre il concetto / che noi abbiamo di che cosa sia un’idea».

Alessandro Canzian

 
 
In copertina uno scatto di Dino Ignani