La terza geografia – Carmine Valentino Mosesso


La terza geografia - Carmine Valentino Mosesso

Carmine Valentino Mosesso (1994), da sempre premuroso nei confronti dei territori marginali dell’entroterra nostrano, esplica la sua visione del mondo appenninico appellandosi ad un rubesto interesse per il poetarne la bellezza e il valore. Difatti, Carmine Valentino è socio fondatore di un’azienda agricola che gestisce assieme alla sua famiglia e La terza geografia (Neo. Edizioni, collana Intimate, 2021) è il suo primo libro, che si inscrive nella scia della poesia civile. Una raccolta di poesie che «può cercare la rotta per quella “terza geografia” in cui la persona si fonde irrimediabilmente con il luogo in una definitiva palingenesi storica e culturale», come suggerisce ai lettori Walter Miraldi, postfatore della silloge.

La terza geografia è articolata in ben cinque sezioni: La terza geografia; La medicina del paesaggio; Madre-paese; Poesie d’amore ed Esercizi di una nuova umanità.

Per prima cosa, leggendo il secondo testo della prima sezione, non si faticherebbe troppo a nutrire il sospetto che Mosesso si proclami portavoce di «gente dalla voce bassa / dalla parola che non compra più nessuno», così come si direbbe che sia la sua voce a renderlo il “p(r)o(f)eta” «del nuovo che nasce dalla pelle antica», ossia di ciò che «per molti» è l’obsoleta «visione romantica di una storia finita». Da questi ultimi due versi citati (del testo in questione), si evince una voluminosa ferita del presente, nonché una corposa fetta della poetica di Mosesso, che in molti definiscono un “poeta contadino”, giacché è solito bagnarsi «le dita nel calamaio degli occhi» per comporre i suoi testi mentre è a lavoro, en plein air, durante la sua attività di contadino e pastore.

Tuttavia, dai versi della poesia successiva, emerge una visione speranzosa per una rilettura del futuro attraverso la valorizzazione del paesaggio, giacché i paesi sono realtà capaci di salvare il destino delle persone, dato che essi «faranno come hanno sempre fatto»: custodiranno «la sorpresa del miracolo» per coloro che vorranno continuare a dividersi «una mela in due». Dunque, per dirla con Gilles Clément – quando egli parla del terzo paesaggio in relazione alla società –, resta pur vero che il «disinteresse per il Terzo paesaggio da parte dell’istituzione non modifica il suo divenire, lo rende possibile». Oltretutto, non sarà certo un caso che il titolo della silloge di Mosesso faccia il verso ad un altro titolo, quello di un libro importante, ossia Manifesto del Terzo Paesaggio, di Gilles Clément (Quodlibet, Macerata, 2005, pp. 92, euro 12,00). Difatti, stimano in tanti che sia stato esattamente Clément il primo studioso a coniare l’espressione “terzo paesaggio”.

In appendice all’edizione Quodlibet del Manifesto del Terzo Paesaggio di Clément, c’è un pezzo intitolato Gilles Clément in movimento, in cui il curatore del libro, Filippo De Pieri, osserva che «Nello sguardo posato sul Terzo paesaggio, cioè sul rovescio del mondo organizzato, vi sono spunti per una critica pertinente, originale e sottilmente sovversiva ad alcune tecniche di pianificazione». Così, nel diciassettesimo punto del capitolo XI del suo Manifesto, Clément scrive che «Il Terzo paesaggio, territorio d’elezione della diversità, dunque dell’evoluzione, favorisce l’invenzione, si oppone all’accumulazione». Ed ecco che, dopo una prima ricognizione sul Manifesto di Clément, i versi di Mosesso rilucono maggiormente sotto gli occhi del lettore; soprattutto quando il poeta sostiene che «abitare un luogo è diluirsi un poco con se stessi / perché è da sempre che viviamo dentro al mondo / ma in corpi diversi», allattati da «un prosperoso seno di silenzio».

Infine, in questa sua poetica della “restanza”, è fondamentale il nutrimento dell’amore, nostro pane primitivo: pertanto, se tra eros e impegno civile la poesia dell’Appennino molisano esiste e resiste alle intemperie di sentimenti e natura, Carmine Valentino Mosesso ci ricorda che il suo equatore è tutto un saper tornare in equilibrio sulle labbra dell’amore, perché «la sola terra che non vede crisi e che cresce dentro» tutti noi sarà sempre «il cuore».

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
Il terzo paesaggio di Clement,
l’aiuola al centro della via
lo stesso minerale che oggi ci compone
domani sarà dentro a una crepa
nel seme bruno di una mela.
Io terra, io centro, chiave, rovo, verme, io periferia
abitare un luogo è diluirsi un poco con se stessi
perché è da sempre che viviamo dentro al mondo
ma in corpi diversi.
 
 
 
 
 
 
Rifondarono contrade con la calce delle lacrime,
le lunghe pietre del digiuno:
un uomo, una donna e mezzo mulo,
tra le schegge rotte della guerra
allevarono il paese del futuro.
 
 
 
 
 
 
Il silenzio tiene insieme le pietre della chiesa,
una donna prega sola.
Ha l’altare tra le corde e le vocali,
la magrezza del grano.
Dio le siede accanto con rispetto.
Ha una lingua misteriosa.
Annusa i sassi per tornare a casa.
 
 
 
 
 
 
Quando provo a dirti cosa sento
smetto di capirmi.
So soltanto che quando non ti ho accanto
sei ovunque:
nella tasca del cappotto,
nella carta di una caramella.
Alla rosa che ho nel petto per fiorire
non serve sapere che cos’è la primavera.
 
 
 
 
 
 
Scrivo con la penna dei miei anni
per il giorno che nasce e che muore,
per tutto quello che non torna.
Nessun inchiostro,
scrivo con l’anima sotto la pioggia,
prendo appunti sulla carta della terra,
il calendario delle costole.