L’esordio di Maura Baldini, all’interno della collana diretta da Giuseppe Manitta per i tipi de Il convivio Editore e con la prefazione di Antonio Bux (La slegatura, Il convivio Editore, 2022), è contraddistinto dalla parola poetica che diventa oscurità dell’io, nonché epifania del pensiero nell’ombra dell’interrogazione: la poeta, in maniera gnoseologica, si chiede – e ci chiede – «da dove giunge l’oscuro?» e, nella possibilità di tentare una risposta, si potrebbe dire che, «tra l’elevazione e la caduta» del pensiero, esso giunga dalla più profonda voce dell’essere umano.
Solo pochi slanci di senso e di significato, dove brillano immagini metaforiche e la parola si fa simbolica o afferrabile, poiché la sua poetica appare divorata da un sogno oscuro. È una parola che richiama e ricerca il mistero, il vortice tenebroso entro cui far entrare il lettore. Ben lontani da uno stile narrativo, i versi alludono e si aprono a diverse interpretazioni. Il titolo della silloge sembrerebbe predittivo di uno degli aspetti principali della silloge: la visione del mondo appare come in una continua ‘slegatura’, cioè incapace di tenersi unita. Tuttavia, tale ‘slegatura’ potrebbe sottintendere anche una certa incapacità di tenere uniti e incatenati i misteri inenarrabili della vita/morte alla forza della scrittura: «il segreto è il prisma/ che i morti solo sanno custodire».
La poesia di Maura Baldini è ravvisabile dentro la mutevolezza della parola, già di per sé caleidoscopica. È percepibile la necessità di sondare, di trovare compiutezza e concordanza tra la vita e il pensiero, tra il pensiero e la poesia e, in maniera più macroscopica, tra il mondo reale e l’universo percepito. «Oltre la parola/ è il verbo ottagonale/ il pensiero tradotto/ in celesti unità»: la parola poetica è anche la necessità di tradurre l’intricato linguaggio del pensiero umano, trovando la chiave per poter dire l’“inesprimibile”, come ci insegna Rimbaud, e nell’aporia di tale slancio provare a dare un senso – condiviso e condivisibile – a ciò che ci circonda attraverso la poesia.
Durante le necessarie riletture della silloge, è facile accorgersi che alcuni lessemi ossessionano il pensiero dell’autrice come ad esempio il ‘corpo’, visto sotto molteplici aspetti. Quest’ultimo viene spesso nominato: «corpo, che mi sei soggetto», «lasciò il corpo disabitato/ come una casa», «corpo in asfissia da dolore», «corpo, fiamma nera»: tale nominazione suona come una ricerca spasmodica di ciò che siamo (meramente «ossa intrise di vita»?) e che tende a trasformarsi in un’analisi di ciò che di noi rimane dopo aver “lasciato (per sempre) il corpo”.
Alcuni versi caustici sembrano sentenziare, attraverso un giudizio severo e un tono sprezzante, le falle dei nostri giorni, fornendo un’attualissima lettura dell’uomo contemporaneo e dei suoi disagi: «siamo orfani allo specchio/ ci conosciamo solo nelle ossa»; e ancora «l’uomo/ carne di Dio sfuggita a un oceano di pixel».
Il lago, luogo ameno e caro, fecondo e lucente, diventa «il riflesso di un torto» o «una distesa di morti» oppure qualcosa di molto oscuro «il sole era nero nel volto del lago»: Baldini conduce il lettore in una pluralità di visioni che alimentano il dubbio, come esplicita il prefatore, e che ci inducono a riflettere e a interrogarci «se la sola realtà possibile sia soltanto quella fuori dal libro».
Serena Mansueto
Oltre la parola
è il verbo ottagonale
il pensiero tradotto
in celesti unità.
Cosa vuoi dirmi
incorporando il mio sguardo
in quella nuvola
che cade come pietra?
Che forma ha la preghiera
quando l’anima è afona,
e l’idea in lutto?
Se la preghiera è il Tabor che cade
cado anch’io
come nuvola o pietra
nel giardino dei salici:
un inchino al mio annegare.
Il giorno reca parole fiacche
che legano in bocca
come il silenzio.
Se provo a parlare guaisco
e del pensare non ho più materia.
In un vivido oblio iberno –
corpo in asfissia da dolore.
Cadono a domino sinapsi.
Ma il pensiero può svanire
la parola lasciando fluire;
ché non è la mente al comando
ma la profezia di una nuvola che brucia –
quando la carta scende, a riempire la gola,
mentre il fuoco divampa.
Nella luce sta
la coazione del dolore
e la speranza
che un verbo si levi
dal lago.
Gli incroci generano prodigi,
culla di biblici destini.
L’acqua mormora ai corvi,
il lago è una distesa di morti.
Qui, in ginocchio, mi rompo le ossa
E le impasto con l’acqua
per dare forma al mio amore.