La perizia della goccia – Riccardo Canaletti


La perizia della goccia - Riccardo Canaletti

La perizia della goccia, Riccardo Canaletti (Affinità Elettive Edizioni, 2017).

La perizia della goccia (Affinità Elettive Edizioni, 2017), silloge d’esordio del giovane Riccardo Canaletti, si divide in cinque sezioni (Nelle mani si perde, Suite del sisma, Impressioni, Pellicola muta, I primi anni di vita) per un totale di trentanove componimenti e vanta la preziosa prefazione di Umberto Piersanti.

La perizia di ogni singola goccia, che si estende fino a tutte le alle altre in anelli concentrici, è la perizia dell’esperienza, la perizia del bene e della volontà di abbracciarsi, di ricongiungersi prima di tutto con sé stessi e con la natura, accettando il passato e il presente. La silloge è costantemente percorsa da risonanze legate a toni liquidi e freddi, casti, evocati non solo per mezzo degli ambienti e delle stagioni, ma anche da suoni schietti e liquidi. Anche il gelo che tarda a spegnersi («pare un gelo/ il morire della neve», «dio, s’impressiona il cielo/ e come insiste l’inverno»), ammonisce Canaletti, facendo il verso ad Ungaretti, si districa in un «gomitolo/ di strade» e cede alla primavera della vita, alla stagione dell’amore perché «già l’alba intesse/ grappoli di luce». I luoghi sono resi vivaci da un amore come pochi, spudoratamente tenero e puro: «la prima volta, come la creazione/ fu un gioco da bambini».

In seguito alla plaquette prefatta da Umberto Piersanti, vede la luce Sponde (Arcipelago Itaca Edizioni, 2019), raccolta che si scinde in due sezioni (Sponde, La ragazza del Ticino). Sponde è una raccolta ben differente dalla prima, maturata grazie all’esperienza di letture notevoli; per motivi evidenti, differisce da La perizia della goccia, poiché l’illuminazione del verso è resa sempre più fioca dalla forma che la irradia: è un verso teso dal poeta, a mo’ d’elastico («divarica per metri,/  la mia luce a te distante da me dista più di te»). L’increspatura si fa onda longitudinale, raggiunge le sponde. S’allarga il cerchio d’acqua tracciato dalle increspature generate sin da La perizia della goccia; il verso di Riccardo Canaletti si concede alla meccanica ondulatoria (a riprova del diniego del trascendentale: «Ma resto razionale, i fotoni in tre fastelli/ e il cane che gioca si combinano tra loro/ sillabe di un itinerario»).

Punti di contatto con la precedente raccolta fanno la loro comparsa sottoforma di scorie, «nel dettato inumano di un altro essere umano/ così simile a te, così distante». Un dettato ricco di tenerezza, sempre aggrovigliata ad un amore che s’insinua persino «tra gli imbrogli di un gomitolo di fieno». Resta anche un non-dio, ovvero quel «dio-silenzio» in La perizia della goccia, ora «dove tace/ un dio che non credevi» in Sponde.

Oltre a considerazioni su temi sviscerati in tono filosofico dall’ipermetro, ma più oltre del «nunc stans», ciò che preme sulla realtà – invasa da una modernità frivola, decadente «nel colore meticcio prima del buio» – per Canaletti è «un vuoto che conserva/ noi stessi casualmente» raggrumati nel gesto che produce un percorso diretto a «pacificare la visione dentro una struttura priva di metafisica, teneramente atea e incondizionata» (per dirla con le parole di Alberto Pellegatta, prefatore di Sponde).

Dunque, per approdare non ci sono sponde, così come per «Arrivare è questione di ore, di ora». Ecco perché «questo treno sembra destinato/ a una linea interrotta, a un cumulo/ di neve incarnito che è la nostra fine». Una fine che forse è «l’abisso, a volte, la morte soltanto» oppure una semplice chiamata, un guardare la pioggia.

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
Tu dormi sottile nello spazio
interminabile della carrozza che
asseconda i fotogrammi fuori.
Dentro non c’è la morte, dentro
non c’è il rumore dei lavori,
tutto è un sillabare le guance e
le tue mani, le tue gambe simmetriche
e nere di una stoffa dolente.
 
(da Sponde)
 
 
 
 
 
 
Fuori dal tempo, fuori dal treno
un rivolo di morte mi assale.
È un cordolo per questo fiume di
paura – tra le spine e i rami secchi.
Tra i pali immoti della corrente.
E qualcuno chiama da lassù,
da quel cielo ridotto di nebbia.
Nessuno, eppure mi chiamano fuori.
 
(da Sponde)
 
 
 
 
 
 
Ma noi restiamo nei membri genitali, nel nostro
nunc stans, a bere liquidi cristiani
ma quali scherzi e quale orribile destino
se io non ti premessi il capo tenendoti i capelli.
Felice della carne tenera, ancora più giovane di te
è la tua vita invitante dal primo sangue.
 
(da Sponde)
 
 
 
 
 
 
si esce fuori celeri
come gatti sotto l’acqua
mani deboli che reggono
i bicchieri. Lo sguardo è basso
o fisso, il volto è pallido
la figura alta in nero
padre G***
è il nostro cristo salvatore
 
si spiega nella sua posa santa
e regge coperte sotto la pioggia
 
non ho mai visto tanta Grazia.
 
(da La perizia della goccia)
 
 
 
 
 
 
quel dio-silenzio
sento, nel sorriso violento dei giorni
 
quando anche la curva dell’auto
diventa un lamento, e l’onda segna
lo scoglio. Hinneni dice
 
Eccomi, il cielo fluisce
su di me come un battesimo.
 
il caos si fa più sottile
lo scarto di luce tra le chiome
quando piove. se piove.
 
(da La perizia della goccia)