La canzone (esercizio)

Bozza automatica 943

La canzone è una delle forme metriche più prestigiose e complesse della tradizione lirica italiana.

Quella cd. antica ha un numero variabile di strofe o stanze.

I versi, di varia misura nell’uso antico, sono solo endecasillabi e settenari a partire da Petrarca, che rende canonica la forma.

Le stanze sono di norma divisibili. La divisione più frequente contempla due sezioni: la prima di esse, detta fronte, è formata da due piedi, con lo stesso schema e metro, di estensione variabile; la seconda, detta sirma, è indivisibile e a schema autonomo.

È frequente che il primo verso della sirma rimi con l’ultimo del secondo piede, ed è altrettanto frequente che le rime successive della sirma non riprendano rime presenti nei piedi e che gli ultimi due versi della sirma rimino tra di loro.

Esistono anche sirme divisibili in più volte, ma si tratta di varianti meno canoniche. Spesso, ma non sempre, la canzone termina con un congedo, di norma più breve della stanza, che ripete lo schema della sirma o della sua parte finale.

Nei secoli, dalla canzone sono nate altre forme, come la canzone-ode, l’ode-canzonetta, la canzone libera e quella leopardiana, che non tratteremo in questa sede.

Riepilogando: la canzone canonica, antica o classica che dir si voglia, è un componimento con le seguenti caratteristiche:

  • è composto da un numero di stanze che va da due a otto (di solito almeno quattro);

  • ogni stanza è formata da una fronte e una sirma;

  • la fronte è formata da due o più piedi aventi identico schema metrico e rimico;

  • la sirma è formata da un numero imprecisato di versi non divisibili, il cui primo di essi è in rima con l’ultimo della fronte, e gli ultimi due sono a rima baciata;

  • esistono anche forme di canzone la cui sirma è divisa in più volte con medesimo schema;

  • è frequente, ma non obbligatorio, chiudere la canzone con un congedo, che richiami parzialmente, o interamente, lo schema metrico e rimico della sirma.

 

Traccia:

 

TEMA = civile.

 

METRO = endecasillabi e settenari.

 

SCHEMA = canzone di minimo due stanze, massimo quattro, composte da fronte di due piedi AbaB e sirma BCcDedEE, e congedo XYyZwzWW. Ogni stanza, pertanto, avrà questo schema: AbaB AbaB BCcDedEE. Le rime possono (e dovrebbero, in verità) variare di stanza in stanza, congedo incluso.

 

Esempio:

 

Salute, diva Italia, bel paese

Che il merito disdegna,

Che ignora le pretese

Di chi l’onesta dote non rassegna,

Premiando i sacrifici con le offese;

La convenienza insegna

E rende, ahimè, palese

Che chi tra fitte trame non s’impregna

L’infame penitenza tua lo segna:

Perché non è virtù né sacrificio,

Ma subdolo l’ufficio

Di quei ruffiani sporchi e cortigiani,

Che sanno rimediare

Piaceri grossolani,

Ad ingrossar le casse al lupanare,

E a renderti baldracca popolare.

 

Son secoli che il modus operandi

Il merito calpesta,

Sicché gli onori spandi

A chi la sua progenie adduce infesta

Con metodi meschini ed esecrandi;

Finché il potere resta

La simpatia tramandi

Di padre in figlio, pur se disonesta:

Che pubblica miseria, Italia, è questa!

Il capo chino abneghi ai nepotismi,

Ai viscidi altruismi

Di servi, leccaculo ed arrivisti,

Fingendo d’esser cieca

Co’ i figli che tradisti:

Ma dimmi, o diva, quanto scorno arreca

L’abuso di tal gente ingrata e bieca?

 

E giaci sottomessa ai tuoi Caini,

Che i figli tuoi più degni

Ricacciano meschini

Verso altri lidi barbari, gli ingegni

Altrove rivolgendo, insieme ai fini

Che qui infelice spegni,

Tacendo quei destini

Che, fiacca madre e debole, disdegni.

È questo che ai più valorosi insegni?

Trattieni a te la feccia gentilizia

Che immiserisce e vizia

La tua reputazione ormai derisa?

Ripeti fiacche scuse,

Mia cara, sei indecisa,

Eppure preferisci menti ottuse

A quelle virtuose, quivi escluse.

 

Così sei diventata una commedia,

La burla dei potenti,

Che ridono all’inedia

E al petto tuo che affolla di serpenti;

Rispettan più di te pur chi s’insedia

Di mezzo a le tue genti,

Perché l’Italia tedia,

Soggetta e spaventata ai propri armenti,

Servile coi peggiori incompetenti!

Secondi timorata chi ti offende,

Chinata in vane ammende:

Così l’antico nome arrendi e cedi!

Beffata dal vicino

Che dall’estranee sedi

Calpesta e gonfia il putrido acquitrino

In cui più fiacca saggi il tuo declino!

 

Ahi, sciocca Italia, innalza il guardo arreso,

E fiera de’ tuoi fasti e de’ talenti

Ascolta i gravi accenti:

Vedrai dietro lo scherno dei nemici

E dei profittatori

Le solide radici

Che tutti hanno in rispetto, e quei valori

Che sanno anche temer, se l’avvalori.

 

Mario Famularo