La bellezza dolorosa della sua sposa bambina – Davide Cortese

La bellezza dolorosa della sua sposa bambina - Davide Cortese

Foto di Antonio Strafella

 
 
Li vedo inabissare le radici
fino al cuore di fuoco del mondo.
Nelle loro corolle rosse
– gonne leggere
stropicciate dagli adolescenti –
i papaveri cullano nel vento
il cuore di carbone dei morti.
 
 
 
 
 
 
Incedere
nell’ossario degli angeli,
tendere nel buio
il cavo delle mani
per un granello di luce meridiana
nel giorno fatale delle nozze del diavolo
e scorgere
tra le corone di verbena
la bellezza dolorosa
della sua sposa bambina.
 
 
 
 
 
 
Ragazzo di bottega del demonio
è il poeta
che col segreto artiglio di un verso
fa del demonio
il suo ragazzo di bottega.
 
(Davide Cortese, inediti)
 
 

Davide Cortese utilizza immagini forti, dove il sacro dialoga con il profano, l’immacolato si coniuga alla corruttela, e una vitalità intensa risuona come basso continuo a scenari di disfacimento e dissolvenza. Se più di un passaggio può ricordare la parola visionaria di Blake – si consideri la “saggezza infernale” del terzo testo, o lo sposalizio tra il diabolico e l’innocenza del secondo – ci sono richiami stilistici a molti altri referenti, che passano dalla poesia francese di fine ottocento fino a Dylan Thomas.

Nel primo testo i papaveri, simbolo della dimenticanza e dell’abbandono leteo all’incoscienza – oltre che rimando all’ebbrezza tutta maudit dei fumatori d’oppio – inabissano “le radici / fino al cuore di fuoco del mondo”. Il primo contrasto è tra la loro leggerezza (“corolle rosse / – gonne leggere”) e le loro radici, forti al punto di raggiungere il centro della terra; e nella chiusa si evidenzia il loro valore ieratico, come funzionari del passaggio dal mondo mortale a quello dell’altrove, essendo in grado, da un lato, di concedere l’oblio e il sonno della morte, pur continuando, dall’altro, a custodire “nel vento / il cuore di carbone dei morti”.

Procedendo, “l’ossario degli angeli” appare come un luogo dove si espone l’ossimoro tra provvisorio ed eterno, che si mostra immediatamente come perturbante: e il contrasto ascende in un climax dove si congiungono, in un “giorno fatale”, il diavolo (anticipato da lemmi che rimandano all’oscurità e alla scarsità di luce: “tendere al buio”, “un granello di luce meridiana”) e l’innocenza, la “sua sposa bambina” – emblema di una “bellezza dolorosa”, tra “corone di verbena” (simbolo che ribadisce ed amplifica la purezza di animo e di intenti): è un impianto allegorico potente, che può rinviare a numerose interpretazioni. Essendo l’io narrante impostato in forma infinitiva, la suggestione primaria è quella di un modus vivendi, corrispondente a quello di contemplare la purezza alla luce dei suoi rovesci, della corruzione che la circonda, nel tentativo di comprendere la bellezza in funzione delle sue contraddizioni, dolorose ma travolgenti.

Un ulteriore elemento proviene dall’ultimo testo, dove il “poeta” viene mostrato come “ragazzo di bottega del demonio”: insomma, l’attitudine di osservare e capire il mondo circostante e altro-da-sé sembra dover necessariamente passare dalla disamina capillare del male, dell’assurdo, dell’inaccettabile, del vizio, dell’egoismo umano; attraverso la nominazione, l’esercizio della parola, la ricerca del “segreto artiglio di un verso”, sarà possibile per la parola poetica comporre le contraddizioni dell’esistere, dell’inaccettabile, del male umano, facendo “del demonio / il suo ragazzo di bottega.”

I versi di Cortese, pertanto, non fanno che ribadire il valore di una parola appassionata e attenta ad indagare gli aspetti più complessi del reale e dell’umano, al fine di salvarne gli aspetti più preziosi, nonostante la costante influenza e commistione con la realtà inconciliabile dell’aridità, dell’egoismo e del male umano.

Mario Famularo