Jorge Luis Borges


 
 

Del grande erudito, poeta, narratore, giallista, ma in primis poeta, si ricordano tante poesie, si ricordano a lungo le plaghe d’ombra e quei sonetti difformi che, abbandonata l’avanguardia, per un suo “concettismo” diventano negli anni e soprattutto nella fervida vecchiezza, sempre più trasparenti. Là dove non lo sono, Borges (1899-1986) usa le note a piè di pagina. “Moneta di ferro” (un Rizzoli degli anni Settanta) è corredata da una nota biobibliografica e da un saggio esteso dell’ispanista Cesco Vian.

Sono spesso, le poesie, erudite: elenchi di fatti storici, dibattiti filosofici, ad esempio con Spinoza ed Eraclito, ecc.

Trovo sia bello pensare che Jose Luis Borges fu bibliotecario come primo lavoro (diretto in Paradiso) e poi, finita la dittatura argentina, diventò responsabile della Biblioteca nazionale. Insomma, anche per l’ateo con Bibbia e Vangelo appresso, c’è un Dio buono.

Scrive Borges: “So che il presente libro miscellaneo che il caso mi è andato regalando nel corso del 1976, nell’eremo universitario di East Lansing e nel mio recuperato paese, non potrà valere molto più né molto meno dei precedenti volumi. Codesto modico vaticinio, mi conferisce una sorta di impunità”.

 

Pierangela Rossi

 
 
 
 
La vigilia
 
Migliaia di molecole di sabbia,
Fiumi che ignorano la quiete, neve
Più delicata di un’ombra, lieve
Ombra d’una foglia, la serena
Riva del mare, la fugace spuma,
Le antiche strade del bisonte
E della freccia fedele, un orizzonte
E un altro, le risaie e la bruma,
La vetta, gli immoti minerali.
L’Orinoco, il complicato giuoco
Che intessono la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.
Le lingue di sommessi animali,
Disgiungeranno la tua mano dalla mia,
Ma insieme la notte, l’alba, il giorno…
 
 
 
 
 
 
Hilario Ascasubi (1807-1875)
 
Ci fu un tempo felice. L’uomo
Accettava l’amore e la battaglia
Con la stessa letizia. La canaglia
Sentimentale non s’era arrogata il nome
Del popolo. In quell’aurora, vilipesa oggi,
Visse Ascasubie si batté, cantando
Coi gauchos della patria quando
Li chiamò un’insegna alla guerra nazionale.
Fu molti uomini. Fu il cantore e il coro;
Lungo il fiume del tempo fu Proteo,
Fu soldato nell’azzurra Montevideo
E in California cercatore d’oro.
Fu sua l’esultanza d’una spada
Nel mattino, Oggi siamo notte e nulla.
 
1975
 
 
 
 
 
 
A Manuel Mujica Lainez
 
Isaac Luria afferma che l’eterna Scrittura
Ha tanti significati quanti sono i lettori. Ogni
Versione è vera e fu prestabilita
Da Colui che è il lettore, il libro e la lettura.
La tua versione della patria, coi suoi fasti e fulgori,
Entra nella mia vaga ombra come se entrasse il giorno
E l’ode si fa beffe dell’Ode. (La mia
Non è che nostalgia di rustici coltelli
E d’antico coraggio). Già il Canto si fa fremito,
E contenute a stento dal carcere del verso,
Seguono le moltitudini del futuro e diverso
Regno che sarà tuo, il loro giubilo e pianto.
Manuel Mujica Lainez, un tempo abbiamo avuto
Una patria – ti ricordi?, e entrambi la perdemmo.
 
1974
 
 
 
 
 
 
La moneta di ferro
 
Ecco qui la moneta di ferro. Interroghiamo
Le due opposte facce che saranno la risposta
All’ostinata domanda che nessuno si è posta:
Perché è necessario a un uomo che una donna lo ami?
Guardiamo. Nell’orbe soprastante s’intessono
Il firmamento quadruplo che sostiene il diluvio
E le inalterabili stelle planetarie.
Adamo, il giovane padre, e il giovane Paradiso.
La sera e la mattina. Dio in ogni cretura.
Gettiamo nuovamente la moneta di ferro
Che è pure uno specchio magico. Il suo rovescio
E’ nessuno e nulla e ombra e cecità. Cotesto sei.
Di ferro le due facce formano un’eco sola.
Le tue mani e la tua lingua sono testimoni infedeli.
Dio è l’inafferrabile centro dell’anello.
Non esalta né condanna. Fa ben di più: dimentica.
Calunniato d’infamia, perché non ti si deve amare?
Nel fantasma dell’altro cerchiamo la nostra ombra;
Nel cristallo dell’altro, il nostro cristallo reciproco.