John Keats

John Keats 1

 
 

In soli 25 anni di vita John Keats (Londra 1795-Roma 1821) realizzò opere mirabili. Le maggiori e i sonetti più belli sono in un libro di Poesie Einaudi (1983), compreso Iperione e le Odi (in particolare Sopra un’urna greca). A 15 anni prese gusto per la letteratura volgendo tutta l’Eneide in prosa. Romantico, per lui la bellezza rivelava verità. Contemporaneo di Byron e Shelley, lui che amava tanto la classicità, non fece grandi studi in grandi scuole come Byron e Shelley, ebbe invece una sorta di precettore. Keats lega le favole antiche col ritmo, il mito col corpo del poeta. Una salute minata, si dedicò tutto alla poesia. Importanti anche le Lettere sulla poesia, scritte tra 1827 e 1820, un anno prima di morire.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
A…
 
Mi fosse dato avere una leggiadra
forma virile, allora i miei sospiri
potrebbero trovare rapida eco
nell’eburnea conchiglia del tuo orecchio,
giungendo fino al tuo cuore gentile;
mi armerebbe all’impresa la passione;
ma ahimè non sono un cavaliere il cui
nemico muoia, né corazza splende
sul petto mio rigonfio, né io sono
un felice pastore della valle,
le cui labbra tremarono per gli occhi
d’una fanciulla; e tuttavia io debbo
vaneggiare per te, chiamarti dolce,
assai più dolce tu delle melate
rose dell’Ibla, intrise di rugiada
ricca fino all’ebbrezza. Assaporare
voglio quella rugiada; essa è soave
per me, e quando la luna discopre
il suo pallido viso, voglio coglierne
con magici rituali ed incantesimi.
 
 
 
 
 
 
Svanito è il giorno ed ogni sua dolcezza!
Voce soave, dolci labbra, dolce
mano e più dolce seno, ed il respiro
caldo, lieve sussurro, semitono
tenero ed occhi splendidi, perfetta
forma e bacino languido! Appassito
il fiore ed ogni suo sbocciato incanto,
dai miei occhi svanita la bellezza,
dalle mie braccia svanita la forma
della bellezza, svanita la voce,
il tepore, il candore, il paradiso.
Tutto si dileguò prima del tempo
Al cader della sera, quando il fioco
Giorno festivo, o la festiva notte,
dell’amore dai veli profumati
già incomincia a tessere l’ordito
del buio denso, per l’ascosa gioia.
Ma oggi ho letto il messale d’amore,
ed egli certo vorrà darmi il sonno
vedendo come io digiuni e preghi.
 
 
 
 
 
 
Io grido a te pietà, pietà, amore –
sì, amore. Amore misericordioso,
non supplizio di Tantalo, ma univoco
pensiero, ed immutabile e innocente,
a viso aperto e chiaro e senza macchia!
Lascia ch’io t’abbia tutta, tutta mia!
Quella forma leggiadra, quella dolce
Droga d’amore minima, il tuo bacio-
Mani ed occhi divini, il caldo e bianco
lucente seno dalle mille gioie;
te stessa la tua anima, ti supplico
per pietà, dammi tutto, non escluso
un atomo di un atomo, o morrò,
o se forse vivrò, tuo miserando
servo, sarà mia vita senza scopo
nella foschia della sventura inutile –
perduto dal palato della mente
il gusto e resa l’ambizione cieca.