Io non posso chiederti niente – Paola Tricomi

Amarti
 
Io non posso chiederti niente
Ma se tu puoi, lasciami uno spazio
per rimanerti accanto in silenzio
e senza che ti accorga
su te lasciare il mio sguardo aperto
(p. 84)
 
 
 
 
Dentro te
 
Sono un battito all’unisono
come se avessi il tuo polso
dentro il palmo,
ma non capivo, quando mi dicevi:
“Io ti sento”
 
Ora so perché
quando penso a Dio penso a te
(p. 35)
 
da Fiat di Paola Tricomi (Interno Poesia, 2024)
 
 

Leggere i testi di Fiat di Paola Tricomi (Interno Poesia, settembre 2024) è un’esperienza che travalica il comune atto di tenere una raccolta poetica tra le mani. Perché non basta leggere questi versi e darne un giudizio di valore qualitativamente eccelso: è necessario considerare su che livelli opera la poesia contemporanea e cosa questa scrittura indica con chiarezza.

Leggere i versi di Tricomi significa smettere le ampollosità della metafora, abbassarsi ad annusare l’istinto dello scrivere, quando questo significa poggiare su un foglio le parole che si vivono.

Se è vero che “il poeta è un fingitore” per dirla alla Pessoa, è altresì vero che in questa poesia impastata di sangue e vita, nulla mi sembra finto. Quando Tricomi scrive che “[…] Non vediamo niente e non sappiamo niente di noi: / è tutto lì” va oltre la finzione e segna con forza la sua verità. Ed è una verità amara, lucida, cosciente e per nulla simulata. Una chiara epifania che muove dal personale per diventare universale, ed è così soltanto che può farsi poesia. Poco sappiamo di noi visti e viste da vicino, in questo groviglio caotico e distratto in cui tentiamo di parlare e invece balbettiamo parole confuse.

In altri luoghi sono tornata più volte sui versi della poeta siciliana (in Laboratori poesia invece interessante il pezzo di Pietro Russo, QUI), con il pretesto di argomentazioni comuni: il corpo, l’amore, la sofferenza, la rinascita, l’incredulità dell’abbandono. In questo Io che si serve della poesia per sperare c’è anche un Tu altro lontano ancora capace di percepire un richiamo, una eco flebile che chiede di essere ascoltata nel frastuono dell’esistenza.

Lo stile diretto, quasi “parlato”, di Tricomi mi riporta alla funzione poetica: capire, accettare, tentare di accogliere il dolore in tutte le sue forme appuntite, raccogliere i resti di quello che viviamo e non riusciamo spesso a verbalizzare. La poeta nomina parti del corpo, indica un referente, ricorda. Fa poesia con tutto ciò che ha a disposizione e il risultato è una raccolta poetica sincera, un posto in cui tornare per fare del verso preghiera.

Erica Donzella