Insorte, Anna Maria Curci (Il Convivio Editore, 2022).
Anna Maria Curci ci ha abituati, di raccolta in raccolta, a familiarizzare con i suoi versi nuovi sin dal titolo; ogni titolo scelto è già un invito a riflettere: è l’istante per prendere un lungo respiro e immergersi in apnea nelle prime pagine dove tutto poi si apre e ci appare allora chiaro («S’immerge per lei ch’è inabissata/ chi esplora le anse e i fondi del volere/ […] e recupera il filo e la parola.»; Psyche, p. 9). Il gioco di contrasti, di antifonie, di contrappunti, di controcanti («Queste sono le note per gli accordi/ il controcanto a pifferi e trombette/ i vocalizzi muti i ponti a mente.»; Sottotraccia, p. 42), perché no?, di forzature costituiscono da sempre la firma di una poesia che cerca e ricerca la parola, che non si accontenta di scimmiottare il borbottare quotidiano («Questi sono i bisbigli i colpi lievi/ da muro a muro/ mentre fuori è farsa…»; Ibidem). Erede delle “imperdonabili”, se non l’ultima imperdonabile; lontana da quella visione comune che tutto affastella per una rapida consumazione; Anna Maria Curci si è sottratta a questa specie di consumismo del verso con una costante opera di ricerca e riflessione in cui vita e pensiero si compenetrano, si sostentano e si sostengono.
Anna Maria Curci sulla propria precisa scelta sia linguistica sia stilistica ha costruito un dire solido e riconoscibile («gonfia di cifre nascoste la dizione/ tira sui fianchi preme sotto i punti»; Creonte, p. 10), una poetica che sonda l’inconsistenza, l’incoerenza di questi tempi che, ahinoi, sempre più precipitano nell’indefinito sradicato – («è livida la piena di potere/ mentre s’azzuffa la ciancia della brama/ con altra ciancia// stridulo lo squittio dell’ombelico/ diventa diceria addomesticata»; Ibidem) – che costringe a porre domande scomode, ad alzare canti di dolore, a non nascondere paure e smarrimenti («Si prova a galleggiare/ sbracciandosi in affanno.// Oppure si fa il morto/ chiudendo gli occhi al cielo.// Chi scalcia l’acqua inganna,/ è falso movimento.»; p. 25). E così Insorte arriva come terza cantica di un poema per frammenti che si rivolge a noi come monito, come insegnamento, come testimonianza, dopo Nei giorni per versi (2019) e Opera incerta (2020); un percorso avviato a ben vedere già con Nuove nomenclature e altre poesie (2015). Un percorso che fa dell’esperienza della vita il bagaglio necessario per potersi voltare indietro e discernere con capacità critica – esperienza che è anche “pena” (ecco perché Anna Maria cita l’Agamennone di Eschilo nella poesia Kore) –; esperienza che attinge al mito per ribadire ancora una volta la sacralità della parola poetica, che non svela bensì pone sul banco il certo e l’incerto, il noto e l’ignoto, il fato, il destino, nel quotidiano tangibile; ciò che ci spetta contro ciò che abbiamo.
C’è poi la cifra degli affetti ogni volta a squarciare il velo nero che rischierebbe di vedere in questa poesia solo un lungo requiem dedicato a una civiltà in cui si fatica a riconoscersi un ruolo, una pure minima, semplice appartenenza; quegli affetti fondamentali che passano attraverso la riconoscenza, la devozione, l’amicizia. E così emergono nuove tracce di quel dialogo costante con i suoi maestri – ancora una volta, e gliene sono grato, l’amato Trakl che questa volta si fa direttamente poesia in un fulmineo e splendido distico – e i suoi amici; un dialogo che indica una via percorribile per non smarrirsi, ossia la via della cura costante proprio della poesia come chiave che tutto può spiegare se solo davvero si appoggiasse l’orecchio al suolo e si ascoltasse il suono di passi lontani e vicini.
Ecco, questo è ciò che è toccato “in sorte” ad Anna Maria Curci: la poesia. E in questo incontro, forse fortuito, di alcuni anni fa, ma poi perseguito con costanza, sono da subito “insorte” le parole insieme alle vite incontrate e fermate nei versi. Ed è solo uno dei modi per mettere in chiaro le possibili letture di Insorte (edito da Il Convivio Editore; già secondo classificato “silloge inedita” al Premio Pietro Carrera, edizione 2022).
Fabio Michieli
Psyche
Sussurra la sua voce tra i nastri
– scampati nudi alle quinte di bufera –
folle d’Amore per un’eco celata
nel sogno di fondali inesistenti.
S’immerge per lei ch’è inabissata
chi esplora le anse e i fondi del volere
– brama coatta deriva di corrente –
e recupera il filo e la parola.
Quando tace il latrato
Di notte quando tace il latrato
gli scuri si avventurano a indagare nel buio
Non sia vero ardire
testare cauto piuttosto
parete dura o membrana sottile
il gradino nascosto sull’uscio
il patire promesso
di timpani e trafori
Quanto tace il latrato cambia voce
Aspetto
nel disordine compatto
Trakl
Di quel colore nelle fenditure
stani il riflesso, tavolozza spieghi.