Ingorgo – Ilaria Grasso


 
Piccole note di lettura a singoli testi
 
 
Ingorgo
 
Qui da dove scrivo la notte è uno schianto di vuoto.
Non conosciamo stelle solo smog e pali della luce.
Al mattino ci comprimono alla maniera di Arman
tra pilastri di cemento e gomme e incrostazioni
Siamo fluire di carne assonnata e
non abbiamo nome, siamo massa che avanza.
Ogni tanto un incidente prova a rompere le righe
di questo schieramento quotidiano
La processione avanza sempre nelle stesse direzioni
tra canini d’acciaio e il guaire dei motori
in mezzo al niente affollati
 
Ilaria Grasso
 
 
 
 

La denuncia della condizione contemporanea è resa, nei versi della Grasso, con immagini vivide, dove le singole individualità, nonostante la costrizione alla quotidiana prossimità fisica – ai limiti della confusione (estremamente calzante il riferimento ad Arman) – sono perdute nel proprio isolamento deformante, finendo per diventare massa indistinta che avanza, senza un nome.

Qui la raffigurazione della spersonalizzazione e della funzionalità all’utile economico e lavorativo – che diventa condizione di sopravvivenza, pur nella sua innaturale connotazione disumana – trova l’apice nell’immagine di chiusa, dove la persona viene delineata come gettata in mezzo all’esistere (mi viene in mente Heidegger), e per la precisione in mezzo al niente – ma affollati.

Questo il paradosso: milioni di individualità senza nome e distinzione, massa ai limiti della interscambiabilità, isolamenti accatastati l’uno sull’altro, fluire di carne assonnata. In un’immagine apparentemente così ablativa è nascosta anche la via d’uscita a una condizione così avvilente: nonostante la processione avanzi sempre nelle stesse direzioni, è possibile intravedere un cambio di prospettiva a contrario: dare un nome a cose e persone, emergere dal proprio isolamento per ritrovare una dimensione di contatto umano, tentare infine una diversa direzione per recuperare un tentativo di senso: forse è anche questo l’incidente che prova a rompere le righe di uno schieramento senza volto.

Incidente che viene confermato proprio dalle prime parole: qui da dove scrivo sottintende alla nominazione e al riconoscimento di una realtà alternativa a quella del giorno, che proprio a fine giornata (o negli interstizi tra un adempimento e l’altro) tenta, instancabilmente, il recupero del senso e la riparazione.

Mario Famularo