India – Luca Buonaguidi

Luca Buonaguidi, INDIA - Complice il silenzio (Copertina #2) (2)

Ricevo e leggo con piacere questo nuovo libro di Luca Buonaguidi, India – complice il silenzio edito da Italic peQuod credo da pochissimi giorni. Già conoscevo e apprezzavo questo ragazzo a dire il vero molto giovane (è del 1987) ma anche decisamente intraprendente, per alcuni inediti che avevo visionato. Giudico Luca intraprendente nella migliore delle sue accezioni perchè non è cosa da tutti i giorni decidere di fare in solitaria un semestre di viaggio via terra tra Sri Lanka, India, Bhutan, Nepal, Tibet e Kashmir. E soprattutto non è da tutti considerare questo viaggio come occasione particolare per scrivere poesia.

Nella lettera di accompagnamento Luca spiega: Il mio libro è un diario di viaggio su un semestre trascorso da solo e spostandomi via terra attraverso Sri Lanka, India, Bhutan, Nepal, Tibet, Kashmir. È stato da poco pubblicato per Italic Pequod, si chiama INDIA – Complice il silenzio ed è una proposta di incontro tra la letteratura di viaggio e la poesia sulla scia di Blaise Cendrars, Nicolas Bouvier e altri poeti che erano soliti viaggiare e scrivere versi mentre viaggiavano. Contiene anche diverse fotografie itineranti parallele alle scritture del libro, varie citazioni sulla cultura, i luoghi e la spiritualità indiana incontrate di cui gli autori sono poeti, mistici e filosofi indiani e non, e infine una splendida lettera di Giulia Niccolai sull’esperienza dell’India e della poesia come postfazione; Giulia, che sono certo già abbiate letto, è una scrittrice, fotografa, grande viaggiatrice e oggi monaca buddista che ha collaborato con Pasolini, Moravia, Calvino, Eco, Porta, Sanguineti e tanti altri ed è, tra le altre cose, il soggetto della celebre canzone di Guccini “Scirocco”. Non manca, è evidente, a questo ragazzo la chiarezza del percorso, delle intenzioni.

Una chiarezza che lo porta a prefare lui stesso il libro non tanto come atto autocelebrativo quanto per l’esigenza, per lui fondamentale, di spiegare al lettore che “Se non si lascia al viaggio il diritto di distruggerci un po’ tanto vale restare a casa” (da Nicolas Bouvier). Un qualcosa che assomiglia a un manifesto che prima d’essere poetico è umano, è la carta di navigazione che indica la rotta ma non preclude alcuna destinazione, essendo aperta all’imprevedibile. È anche una forma di accettazione della natura umana, in qualche modo squisita nella sua scelta, che ha necessariamente bisogno di uno sfaldamento per poter accettare un qualcosa di nuovo.

Un libro, o meglio una raccolta di poesie per tappe cronologiche, di percorso, diligentemente ordinate ma non per questo un itinerario di viaggio. Anzi i luoghi stessi appaiono solo nello sfondo di una riflessione intima che nasce e matura all’interno degli stimoli del paesaggio, ma non ne rimane esclusivamente ancorata. Perchè il mondo indiano trasuda ancora, nonostante le brutte pubblicità mediatiche che vogliono le esasperazioni una sorta di regola generalizzata, di una intensa quanto potente spiritualità. Il paesaggio diventa spiritualità, e da questo il confronto dell’autore con sé stesso proprio a causa e grazie a ciò che si trova davanti.

Un confronto che si apre a un Dio che perde i connotati cristiani per assumere una valenza universale, quel minimo comun denominatore che è in tutti gli uomini e fa trovare la traccia, il cammino. Quasi fosse lui stesso il percorso (non a caso è messo in relazione con la poesia stessa) che si apre al verso nel suo apparire e scomparire che non è mai reale assenza, ma silenzio, anch’esso in qualche modo spirituale. Fino a un ritorno/non ritorno dell’autore che non si sente comunque disgiunto dal viaggio, dalle sue ricchezze e dai suoi fiori. Trattenendo il respiro umano in un giardino, quasi simbolo edenico primordiale di un’armonia, di un accordo, col tutto, con sé stessi, col viaggio stesso.

Chiude il volume la bellissima lettera di Giulia Niccolai che val la pena citare, perchè più che concludere completa lo sguardo di ciò che è stato incontrato: Sono contenta che tu abbia voluto menzionare Moravia e la sua definizione “l’esperienza dell’India”, perché anch’io (per ciò che mi preme dirti), vado indietro nel tempo e cito Flaiano, che la visitò nei lontani anni Cinquanta, e Manganelli più tardi, durante il decennio dei Settanta. Entrambi questi grandi scrittori e anche esseri umani molto sensibili e rari, confessarono di aver passato lunghe settimane di depressione dopo essere tornati in Italia dal viaggio in India. Non riuscivano ad accettare le condizioni di inaudita povertà nelle quali avevano visto migliaia di persone. Io sono invece stata in India la prima volta alla fine degli anni Ottanta. Ero già buddhista da quattro anni, e in qualche modo, i sorrisi spontanei che avevo visto sui volti di numerose persone, mi avevano fatto intuire che gli indiani erano più autentici, spontanei e forse anche sereni di quanto non lo fossimo noi dell’Occidente. Ora, avevo già capito da tempo che siamo tutti figli della nostra generazione, ma il fatto che la mia recente fede buddhista mi facesse giudicare l’India in maniera così diversa – direi opposta – da come l’avevano vissuta Flaiano e Manganelli, mi lasciò molto perplessa, incredula. Anche perché, sia Flaiano che Manganelli si definivano atei, tuttavia entrambi erano profondamente spirituali. Per terminare il discorso, non posso che attribuire la profonda differenza tra le loro reazioni e la mia, a qualcosa che abbia a che fare con l’influenza, l’insospettato potere dell’influenza del subconscio collettivo. Per i buddhisti: tutto è nella nostra mente. Ma quel “tutto”, quanto è illusione, proiezione, subconscio collettivo ecc. ecc.? Questo disagio, questo dubbio mi proibisce da tempo di giudicare ciò che non riconosco come molto simile al modo stesso di pensare della mia stessa mente. Manganelli, nel libro del suo viaggio, paragona l’India a un enorme scalo ferroviario nel quale siamo già passati tutti, prima o poi.

 
 
 
 

Al vento non chiedere,
nel vento disperdi
il tuo nome.

Al vento non chiedere
il vento del corpo
è ragione.

Al vento non chiedere
del vento consacra
ogni passo comune.
 
 
 
 

 
 

Il Sé pare si muova, ma è sempre fermo
Ῑṣa Upaniṣad

 
Il tempio sfuma
in chiaro d’ombra
e soffia la mia quiete.
Nutro la benedizione
depongo la ricerca
felino nel tramonto
a cui manca il dente
che afferra, mastica.
Salgo poi su un treno
in corsa.
Siedo.

Qui
inizia la risposta.

 
Tanjavur
26/02/2013

 
 
 
 
 
 

Seduto al tavolo di un caffè
aspetto che la poesia
entri dalla porta principale
come una Dea Bianca
che incauti si fissa apertamente
e che raramente ricambia.
Ma a sorpresa si avvicina
sfiorandomi la spalla
per il tempo d’un bicchiere,
prima d’andare dritti al sodo
facendomi tornare uomo da fantasma
e riempiendo questa carta
di visioni per poi uscire
furtiva, dal retro
lasciando entrambe le porte
aperte e il conto da pagare,
voltandosi un ultimo istante
nel profilo che già sfuma, saluta.

“Ci rivedremo
ancora,
altrove.”

 
17/03/2013
Mumbai

 
 
 
 
 
 

Mi piacerebbe
essere con te nel sole,
sbagliare strade
e chiederne di nuove ai passanti
in città che accompagnano
l’esatto reciproco
dei nostri passi.

 
Jaipur
08/04/2013

 
 
 
 
 
 

Poesia è guardarsi da vicino
entro ciò che muove distante
ma anche questo bambino che ride
nel tramonto indiano.

 
Kolkata
30/04/2013

 
 
 
 
 
 

Ho aspettato l’arrivo della poesia
ma questa mi ha disertato,
ho parlato di Dio con un passeggero
ma non l’abbiamo invitato abbastanza,
ho pensato alla strada già percorsa
ma mi sono commosso
per quella ancora da fare,
ho dormito in mezzo agli scarafaggi
ma il tuo pensiero è farfalla
che mi vola in fronte
benedicendo ogni pensiero ulteriore
quando ho paura di voler tornare
nel treno che corre e vorrei fermare.

In un attimo poi è arrivata la poesia,
Dio ha preso posto vicino
e il treno si è fermato.

Ancora, divento cammino di ogni sogno, paura, sospiro.

 
Kolkata – Jalpalguri
01/05/2012

 
 
 
 
 
 

Lo stesso flusso vitale
che scorre nelle mie vene notte
e giorno
scorre per il mondo
in una danza ritmata.

Tagore

 
Sono felice.
Potrei aggiungere altri dettagli
ma la felicità sta nel toglierli.

 
Punakha
03/05/2013