In memoria di Carlo


In memoria di Carlo

Ricordo che prima di entrare nell’officina mi sono trattenuta qualche minuto sulla soglia tentando di ricostruire, attraverso i vetri sabbiati, l’identità delle tre figure nell’oscillazione della vite americana. Ho aspettato nella luce crepuscolare di maggio e sento ora, come se fosse ieri, la pressione della mia mano in attesa sulla maniglia e il coraggio che mi è stato necessario per aprire quella porta.

All’interno c’eri tu e gli altri amici.

Appena ti ho visto ho pensato di confessarti immediatamente la mia ammirazione per la tua scrittura. Dirti di come tutti i tuoi libri mi abbiano parlato e insegnato. Pensavo a Sandra, volevo soprattutto parlarti di lei, di quanto la sua figura in camicia bianca abbia continuato nella mia mente a tornare dal passato e a riempiere le pagine.

Per un’ironia continuo a non trovarla. Anche mentre ti scrivo l’ho cercata in pezzi di ricambio ma non sono riuscita a rileggerla. Eppure, lei è lì e io non riesco a trovarla. È buffo, sembra quasi che lei sia il germoglio della tua intera scrittura Carlo. Sandra è una poesia. È quella bolla dei tuoi versi che l’orrore del mondo ha spaccato e lo ha fatto improvvisamente senza nemmeno darmi il tempo di salutarti.

Sandra tornerà sempre in ognuno di noi. La poesia ci è necessaria per sopravvivere e Tu continui in Sandra, in Trotsky, nei cortei, nelle università, nella psicanalisi, nelle serate in spiaggia, nella cometa Hale, nelle poesie zoppe e in quelle dementi, nelle microfratture, nella polvere. Tu uomo onesto.

In te un’intera generazione. I padri che ci hanno consegnato il mondo per cui avevano lottato tanto e che un po’ li ha delusi. Ma i diritti li avete difesi Carlo, via tutta quell’amarezza, siamo noi, quelli a cui avete consegnato il mondo, noi che abbiamo piegato la testa! È la mia generazione Carlo. Vedi, ho bisogno di scriverti perché ancora non riesco a credere che non potrò più parlarti, più pensare a quel rivoluzionario con lo sguardo timido, un po’ rivolto sul pavimento.

È questo che vorrei riuscire a dirti, mancherà tanto la tua bellissima umanità. Gli ideali, le lotte, le sconfitte, le tue insicurezze. Ho imparato tutto dalle tue pagine, Maestro. Ecco cosa eri per me. L’idea di come deve essere un intellettuale e un poeta. Integro, modesto, semplice, profondo, insicuro e totalmente umano. Perciò Carlo tu non andrai mai via e la bolla non sarà spaccata da tutto l’orrore. Voglio salutarti con i tuoi versi che hanno abbracciato me la prima volta e che sempre mi ruotano intorno perché anche io, come te, sono polvere.

Emilia Barbato

 
 
 
 
Polvere
 
Sarò sempre un po’ meno di quello che sono,
e anzi, molto meno. Polvere. Ho perso molto.
Ciò che si perde è irrecuperabile, e se lo si recupera esso
è ormai disperso, non rientra più nell’ordine prestabilito
delle cose. Sono contento
se di me non rimane che un lieve
involucro. Ho perso
molto. In questa levità,
ciò che più importa è l’assenza di acuti,
che tutto sia tondo e raccolto. Basta
questo. Tutto ciò che è devastato può divenire rotondo,
ancora rotondo. Come un vaso. E ancora possibile.
La polvere può essere recuperata. La polvere era una volta
detriti. Ora la polvere non è detriti,
è lenta friabile. La polvere
è un po’ meno, ma può essere
tenuta insieme. Le ferite
possono diventare polvere, raccolta
e conchiusa. Sono contento
di non capire le cose. La loro
ragione. Vi sono cose che ignoro, e sono
contento. Appaiono come misteri,
tranquille. Ad esempio,
la ragazza che incontro sempre, mi ama
o no? Non lo so. Sono contento
di non saperlo. Sono contento di non sapere
se l’amo, o meglio, so che non l’amo, che potrei
amarla; sono contento
di non sapere se avrei potuto amarla. Questo mistero
mi rassicura più del suo amore.
È bello non sapere. Non sapere, ad esempio,
quanto vivrò,
o quanto vivrà la terra.
Questa sospensione
sostituisce l’eternità.
Andammo su e giù per la carta geografica
quest’estate. Cercando solo
il riposo. Dietro il riposo c’era
la speranza di nuovi tempi,
o forse soltanto, recuperare le forze.
Non c’era il rumore del mare.
Non c’erano voli di uccelli, esperienze,
non c’erano volti di donna. Soltanto
Riposo. Molto riposo. Molte
speranze. Speranze possibili,
quiete.
(La pazzia potrebbe a volte
essere
malattia infettiva).
(una volta avevo scritto
una poesia che diceva
“sono pervaso da una
breve tachicardia
non sarò un grande poeta ma
in compenso
sono un forte fumatore”.)
nel senso che
non sono capace
di esprimere
ma sono capace
di distruggermi
(e in fondo, per un poeta,
esprimere e distruggersi
non è la stessa cosa?
Giungere all’assolutezza non è
spogliarsi del corpo?
 
Così odiamo i nostri nemici
soprattutto
perché possono farci impazzire. Ed io amo te perché il tuo vuoto
non mi permette di scuotermi.
Perché tu permetti agli altri
di espandersi
Io posso entrare in te
e uscirne
quando voglio.
 
La polvere potrebbe essere
dispersa dal vento. È necessario
che sia conchiusa, in stato di quiete,
come la polvere dei morti di Pompei. Solo così
può essere eterna. Eternamente ferma. Assenza di moto.
Il mio sistema nervoso disfatto,
implora solo questo. Che la polvere sia quieta.
Assenza di stimoli. Neve. Solo così le ferite e i detriti,
hanno pace e da queste crepature,
nasce una nuova forma di vita. Femminilmente
quieta. La polvere può essere
straordinariamente compatta. Ridivenire
illusione di pietra. In questa
diminuzione,
è la mia casa tranquilla,
la sua fissità devastata.
Pietra su pietra si costruisce e
si diminuisce
come il mare,
esplode la vita in fissità
in acqua fangosa
ed è zuccherosa
e primigenia,
ricca di polipi.
In questa diminuzione,
è la mia pazienza.
I piccoli dolori servono
ad evitare quelli grandi.
Così la fluidità dell’acqua e anche della terra,
cambiare continuo del giorno e della notte.
 
Adunque, andò così:
Così da l’immagine di una primitiva unità
si fecero detriti, e questa unità non nacque,
e i detriti si fecero polvere. E da quella polvere rinacque
la vita, una seconda vita artificiale, come sono artificiali
le case, i vestiti, le belle donne, i tacchi a spillo, i collants,
la brillantina per uomini. Vita che nacque dalla
fragilità. Come una possessione. I sensi erano morti.
Vita minorata. Ridotta.
Come un incubo quieto. Si specchia
in un lago.
 
Vita artificiale; come può essere artificiale
una nuova vita? Se la pietra non esiste più, o non c’è mai stata,
non è bene essere di gesso, come i morti di Pompei?
Eternamente? Forse…
Un archeologo astuto pompò il gesso negli involucri
lasciati dalla lava e i lapilli, dove si erano
consumati i corpi dei fuggitivi di Pompei. Il gesso
riprese le forme originarie, approssimativamente, in tutta
la loro tenerezza. Sembra che dormano, quieti, un po’
Slavati. Un po’ sbiaditi. La mia vita artificiale non è, forse –
sbiadita – ciò che avrebbe potuto essere? Non è forse quieta,
informe, ciò che avrebbe potuto essere nella sua
giovinezza, nel suo stato naturale? Non è forse stato tutto
recuperato? L’essenziale, non ne è
forse rimasto? Non posso fare forse, di gesso,
ciò che non ho fatto prima?
Non è forse bello tutto ciò? C’è qualcosa
di non legittimo? Il gesso non è,
forse,
umana creazione?
Umile, gesso, fatto di polvere compatta. Siamo forse
monumento di noi stessi?
Fragile monumento, nei giardini pubblici, che qualcuno
può andare a vedere. Non è forse questa la vita? Nella sua umiltà,
 
non è forse magniloquente? A villa borghese,
guardano i busti dei nostri ottocenteschi, crepuscolari,
non privi di una loro dignità.
E tu, vuoi starmi vicina?
Sono fatto di buon gesso;
mi sono fatto da solo.
Tu che hai tagliato i tuoi figli,
ami le donne – di un amore
sterile.
 
………………..
 
Una cosa rosa, molto rosa,
come un’alba,
tenue e dorata, traslucida,
trasparente,
come un’alba dorata, traslucida,
trasparente, come una cortina rosa
e trasparente, come un nuovo
avvio, come una nebulosa dorata
che trasluce della sua debolezza,
e delicatezza, tenue, alba, prime ore
del mattino, farfalla come le ali della,
come un lenzuolo, un mattino
felice.
 
(La forma morbida naturale del cono della sfera
che gira in se stessa
l’elasticità del corpo
l’arco naturale
tutto ritorna in sé nulla sfugge
tranne che per l’azione dell’ascia che semina puntute schegge
il calore come propulsore di energia
la passività di ciò che si compie ciclicamente
sono spezzati tagliati. Tagliati i tuoi figli.)
 
Tutto può essere recuperato ma non tu
Puoi solo essere pieghevole come gesso come polvere
monumento di te stesso
 
Sono stato sfortunato con le
donne, perché ho attirato delle donne che non avevano
niente da dare, e con cui ho avuto
degli amori celibi, Donne ferite a morte, che avevano
da difendersi, da proteggersi,
e non avevano da dare che una frustrata velleità.
Queste sono le donne che ho avuto.
Io le attiravo perché sono
una donna. Erano tutte lesbiche.
Certo, non erano molto donne, ma io
non le ho aiutate ad essere
donne, adesso che ci penso.
Riflettete su questo, per favore.
Ritirarsi su a forza di gesso
e polvere (e da solo)
non è facile.
È un lavoro umile, lento,
e che dà poco. Gli manca la
fecondità che può dare la donna. Per esempio,
quando sarò vecchio,
chi mi aiuterà? Non certamente i miei amici, i miei amici maschi.
Sono troppo maschi per farlo. Questo non per dire nulla contro
di loro,
semplicemente sono troppo maschi. Non si sanno
organizzare. Ognuno di loro ha bisogno
di una donna. Questo dà un rude colpo alla nostra immagine
di amicizia maschile. Senza donne non sappiamo fare
niente. Ormai lo sappiamo, ed è così.
Oppure, altra interpretazione delle donne, ma è sempre la stessa,
donne che non volevano essere donne, ma che volevano giocare coi ragazzini,
ragazzine anch’esse. O nostre celibi, tremanti, e acute compagne,
è andata semplicemente così. L’impero dei ragazzini si è sfasciato,
e voi non potete giocare con noi. L’impero dei ragazzini maschi,
a cui voi volevate partecipare. Ora dovete nuovamente giocare
[ alle signore; e occuparvi dei vostri decrepiti malati, che
[ siamo noi.
Il vostro tremante, fremente bovarismo è fallito. Non potete
( giocare
nel recinto dei maschi.
Non potete essere le loro femminucce e giocare con loro.
Il mondo dei bambini è fallito, e rimaniamo solo noi vecchi
decrepiti. Potete occuparvi di noi, se volete.
Non vi rimaniamo che noi.
Forse il mondo sarà salvato dalle donne, decrepito..
Le donne puliranno il culo al mondo…
 
E gli uomini? E gli uomini
che non volevano essere padri.
Volevano essere tutti fratellini, e giocavano.
 
Oggi ho provato le nuove
sensazioni:
camminare
guardare.
sentire il corpo separato
dal resto del mondo
come una caldarrosta
 
così
Prendere dallo sperpero
delle costruzioni romane, così immense,
che hanno lasciato pezzi, detriti dappertutto,
come i rifiuti della nostra civiltà tecnologica,
e con questi detriti costruire le chiese romaniche.
Le chiese paleocristiane. Come effettivamente è successo.
Con tutta la loro umiltà.
 
prendere quello che volevo fare ed è morto e ritirartelo fuori come
si tira una cosa bianca da un vecchio posto morto, da un naso, il
capo di un gomitolo, un vecchio ectoplasma, un albero che si
pianta, che sempre parte da un altro albero vivo o anche
parzialmente morto o dal ricordo di un albero,
e tutto può RIVIVERE! Tutto può RINASCERE!
(quindi il senso è questo: tu non puoi rivivere in un modo naturale,
(il pezzo dell’ascia) ma vivere come se non fossi tu ed è qui che
si ritorna al fatto che ciò che si perde è irrecuperabile perché
non rientra nell’ordine prestabilito delle cose. puoi resuscitare
un monumento a te stesso o comunque i gangli mezzi morti i mattoni
 
dispersi
un trattato di storia naturale
puoi far finta che nulla sia successo
(tutto col “tu”)
(un elenco di cose che si possono fare, poi probabilmente è finito.
puoi ricompattare i tuoi detriti, diventati ormai polvere: ora non
danno più fastidio puoi modellare le tue
debolezze e farne quello che vuoi sarai un uomo di gesso e ti
sposerai.
puoi fare solo figli di gesso.
Oggi ho provato le nuove
sensazioni:
camminare
guardare.
sentire il corpo separato
dal resto del mondo
come un adolescente che adolesce,
una strana felicità
senza giustificazione
è difficile che la carne
non si corrompa
in questo caldo di luglio
questa pianura ondulata dove l’acqua ristagna,
dove l’acqua confluisce,
si rifrange in varie correnti minori
che si mischiano
in prati e pioppi,
questa pianura che discende
come un quadro, in molli acque
di pianure e colonne
questa pianura che discende in acque che si mischiano.
Questa pianura che discende in linee
curve, dove le acque mischiano
le loro acque
è molle ripetizione, ripetizione all’infinito
di motivi e cipressi. Paesaggio già visto.
Scendere a valle.
Ripetere l’infinito.
E troppo tardi
per
riprendere
 
Le cose sono natura,
paradossalmente
gli oggetti moderni son più vicini alla natura
degli oggetti antichi: son fatti per perire ed
essere incalzati dai loro figli, come gli asini,
i cani, gli animali. Gli oggetti moderni sono natura: nel cosmo esiste già
un’archeologia, quella delle navi spaziali abbandonate.
Sono state create per puro prestigio e poi abbandonate.
Quindi abbandonate dopo una settimana, dopo un mese, e diventate già relitti,
relitti archeologici,
che girano senza posa. Le cose sono natura, fanno
torba, carbone fossile che compongono il paesaggio,
che si accumulano. Gli oggetti d’uso
sono come cose che si mangiano:
quindi sono natura. (es.: una macchina).
Si usano, si mangiano, si consumano,
poi si espellono. Una volta espulsi
cessano di essere cibo (in senso lato) e diventano natura, si sedimentano.
Diventano humus, magari humus ferroso, concimi e resti fossili,
sedimentandosi, come la pietra. Come l’erba che nasce coi fili
bianchi, tendendo verso l’alto,
e ci riesce. Ma non è importante
quanta ne nasca. O non, piuttosto,
che sia nata? Come un accenno:
che la vita ha forza.
 
qualcosa di tondo,
che gira
come una spirale trasparente
come una spirale trasparente,
che gira,
che gira come in un cielo
trasparente
che gira
che gira con forza.
Qualcosa di tondo
Non nasce, è già nato
in un cielo
trasparente
e gira
quietamente,
come già nato e
tondo a spirale
come già nato
che gira
Con forza
 
qualcosa di tondo,
che gira
come una spirale trasparente
come una spirale trasparente,
che gira,
che gira come in un cielo
trasparente
o come capricciosi
riccioli trasparenti
che gira con forza.
Qualcosa di tondo
Non nasce, è già nato
in un cielo
trasparente
e gira
quietamente,
come già nato e
tondo a spirale
come già nato
che gira
Con forza
 
Quando dalla tempesta gli idrocarburi giunsero nella
palude, che comunicava colla tempesta, ma ne era separata,
nella palude calda ed assolata,
allora lì nacque la vita come polvere immersa nell’acqua,
come qualcosa di infinitamente piccolo e debole, che
trovava le condizioni favorevoli per fiorire e faceva
della sua debolezza la condizione della sua essenza.
Se non fosse stato debole non sarebbe potuto nascere,
né farsi penetrare dal sole. Se la tempesta
non l’avesse sbattuto non si sarebbe frantumato e non avrebbe
raggiunto piano piano la palude, coi suoi simili frantumati,
per farsi penetrare dal sole.
Così nacque la vita. Dalla polvere, dalla
catastrofe. Dal frantumarsi e dai detriti
frantumati. Così nacque la forza. Dalla
debolezza, dall’argomentare della
debolezza. Dal suo accettare di farsi
penetrare dal sole.
 
 
Carlo Bordini