IL VELIERO CANNIBALE 5 – LA CORDIGLIERA

IL VELIERO CANNIBALE 5 - LA CORDIGLIERA

Sebastiao Salgado, serie Genesis

 
 

Malinconie, anacronismi e moralismi del Capitano Peleg

 

Moby Dick è il libro che più si avvicina al Libro dei libri. In nessun altro si disputa intorno all’esistenza di Dio, o alle prove della sua inesistenza. In uno l’immensa Arca; nell’altro l’oscuro Pequod, che è di Achab, ma non è Achab, perché il Pequod è il suo proprietario, il quacchero, il dimenticato Peleg, che l’aveva addobbato “come un barbaro imperatore etiopico… Era fatto di trofei. Un veliero cannibale, che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici”.

Parafrasando le parole usate da uno scrittore per parlare di un altro scrittore, il nostro Capitano Peleg, risorto con un artificio, è un naufrago del passato che il Fato ha proiettato sulle sponde di un altro tempo. A cura di Frescobaldi MacIntyre.

 
 

LA CORDIGLIERA

 

Dio muove il giocatore, e questi il pezzo.
Ma che dio dietro Dio la trama inizia
di polvere e tempo e sogno e agonie?
(J.L.B.)

No, a la gente no gusta que
uno tenga su propia fe
(G.B. – P.P. – P.I.)

 
 

Sulla Cordigliera, oltre il valico dell’Uspallata, in un freddo e trasparente aprile cileno di molti anni prima, spaventato e commosso aveva creduto di vedere le ere della terra, tutte insieme, nel crogiolo variopinto di rocce rosse, purpuree, verdi e immacolate e di lave nere, frammiste al porfido di ogni tonalità di colore, montagne indifferenti a Dio, ciascuna una vertebra della spina dorsale di un animale dall’età inconcepibile di cento milioni di anni, anni che il mondo da solo sarebbe stato capace di contare; e gli anni di teologia a Cambridge per la prima volta gli erano balenati davanti nella loro inutilità.

La notte prima di raggiungere Coquimbo, era stato ospite nella casa misera di un minatore impegnato in città a dilapidare la paga di una settimana del suo lavoro da bestia da soma. Un berretto rosso appeso a un chiodo accanto alla porta era l’unica cosa che parlava di lui oltre agli occhi della moglie. Lei e sua suocera avevano cucinato per lui una cazuela. Aveva già avuto modo di assaggiare quel piatto, e l’odore prometteva meglio di altre volte. Un fumo spesso e acre che sapeva vagamente di spezie, invadeva l’ambiente unico. Erano con loro due ragazzi silenziosi; era evidente che il più piccolo preferiva l’angolo più freddo della stanza, per evitare che gli effluvi gli saturassero i polmoni e gli arrossassero gli occhi. Si era sorpreso allora a pensare che tra tutti il ragazzino era quello che meglio sapeva adattarsi alle circostanze avverse e quindi che avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere alla vita dura che senz’altro lo attendeva.

Quella stessa notte, la vecchia superando l’avversione per gli inglesi che aveva ereditato da lontano, o forse spinta proprio da questo, volle raccontargli una storia. Giurò e spergiurò che la casa dove si trovavano era maledetta, e maledetti erano coloro che vi abitavano o che avessero la ventura di sostarvi anche poche ore, e ciò dal momento in cui erano fuggiti i suoi due protettori. Dei bucanieri, molti decenni addietro, entrati per mangiare e fare razzia di quanto avrebbero trovato, si erano accontentati di asportare un’immagine della Vergine Maria. Il loro capo era tornato l’anno dopo e si era portato via San Giuseppe, osservando come fosse un peccato lasciare una signora sola senza il marito. Da quel giorno nulla di felice era più avvenuto in quella casa abbandonata dallo spirito santo, anche se la donna interrogata sul punto, aveva detto di non sapere se qualcosa di realmente bello fosse mai accaduto in quel posto.
Una sera a bordo (la nave era alla fonda nel porto di Valparaiso) aveva chiesto al comandante, all’amico da cui l’immutabilità della sua fede un giorno lo avrebbe diviso: se durante una partita a scacchi solitaria, una partita qualsiasi giocata nella quiete di casa vostra, ecco in un angolo della biblioteca, la boiserie, il vostro vecchio setter, i libri e tutto il resto, sotto la finestra, il buio fuori e il chiarore del fuoco che crepita nel camino all’interno, alla fine muoveste un alfiere, l’alfiere bianco su caselle bianche diciamo, inchiodando il re nero a una fine conclamata, e in quel preciso momento foste attraversato da una fitta intollerabile nel profondo del petto e sentiste dentro di voi di esser perduto, di soccombere senza scampo, credereste di essere Dio, l’agnello o solo una vittima del caso? Un suo messaggero forse, aveva risposto Robert altero e quasi infastidito, e lui aveva provato una strana inquietudine, una lontananza che l’immenso oceano affrontato insieme fianco fianco e il cielo e il vento, avevano tenuto nascosta.

Questi e altri furono i pensieri che attraversarono la mente di Charles Darwin alla fine del mese di aprile del 1865, alla notizia del suicidio di Robert FitzRoy, comanante del Beagle.

 

Frescobaldi MacIntyre