IL VELIERO CANNIBALE 11 – ESODO, 14: 21-22

IL VELIERO CANNIBALE 11 -

quadro di Samantha Keely Smith

 

Malinconie, anacronismi e moralismi del Capitano Peleg

Moby Dick è il libro che più si avvicina al Libro dei libri. In nessun altro si disputa intorno all’esistenza di Dio, o alle prove della sua inesistenza. In uno l’immensa Arca; nell’altro l’oscuro Pequod, che è di Achab, ma non è Achab, perché il Pequod è il suo proprietario, il quacchero, il dimenticato Peleg, che l’aveva addobbato “come un barbaro imperatore etiopico… Era fatto di trofei. Un veliero cannibale, che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici”.

Parafrasando le parole usate da uno scrittore per parlare di un altro scrittore, il nostro Capitano Peleg, risorto con un artificio, è un naufrago del passato che il Fato ha proiettato sulle sponde di un altro tempo. A cura di Frescobaldi MacIntyre.

 

ESODO, 14: 21-22

La seguiva da molte lune.

Non era difficile percepirne la presenza. La voce prima di tutto. La sentiva cantare, e anche se quando arrivava alla portata del suo sguardo non era da sola, ma in mezzo alle compagne della sua alleanza, era inconfondibile. Aveva un modo di muoversi più sgraziato delle altre; e una cicatrice, una linea curva e lunga, sulla fronte scura.

Il sole tramontava. Quando l’alleanza arrivò nel tratto a ridosso della costa, lei lo vide e si staccò dalle altre. Era la prima volta che accadeva dal giorno in cui si erano incontrati, quando lui le aveva regalato una spugna.

Anche lui si allontanò dai suoi, allora. Era il più grande, forse il più forte, sicuramente il più incantato. Senza esitare le si mise accanto. Mentre procedevano insieme, perpendicolarmente, la guardava.

Stava pensando a quanto fosse bella e al momento in cui le avrebbe offerto la sua pancia rivolgendola verso la fonte di luce che rischiarava l’azzurro e il verde, quando accadde. Si udì un boato sordo e dopo pochi istanti il frastuono. Lei non era più al suo fianco; gli parve di sentire la sua voce ma senza riuscire a capire da dove venisse. L’acqua ribolliva e il mare ingoiava il mare, questo sembrava.

La luce lo investì da un lato oltre che dall’alto, come se il cielo si fosse rovesciato, fosse caduto e ora lo circondasse invece di sovrastarlo. Vide un suo compagno dirigersi verso la nuova luce e sparirci dentro, come risucchiato. Lo seguì. Poi la sentì, la previde quasi, sopra la sua testa. Virò all’ultimo momento e puntò verso il cielo, in alto. La spinta che si era dato fu tale che uscendo dall’acqua fece un balzo di diversi metri.

Prima di ricadere, negli istanti che leggero rimase in aria, guardò davanti a lui. I mari erano diventati due, e nel solco immenso che li divideva scorse delle creature mai viste, che in branchi procedevano tra le due pareti d’acqua.

Vederla all’improvviso di nuovo, a poca distanza, non appena l’acqua lo riaccolse, confuse i suoi pensieri. Il mare ritornava uno solo e l’unica cosa che l’istinto e il cervello gli dissero fu di raggiungerla mentre si allontanava veloce e spaventata insieme agli altri delfini.