Il silenzio dell’uomo che ascolta e cura – Carolina Montuori

Il silenzio dell'uomo che ascolta e cura - Carolina Montuori

 
 
Beat
 
Riconosco il silenzio
dell’uomo
che ascolta e cura
e si cura del soffio
di un altro.
Riconosco il respiro
della musica
che per natura
è muta
e se muta dello spartito
una nota.
 
 
 
 
 
 
Secondo atto
 
Vorrei poter dire:
-Tutti muoiono
dopo aver vissuto-.
 
Ho sostituito
l’amarezza disfacente della morte
con la bellezza d’esser nata.
 
 
 
 
 
 
Salato
 
Ti perdono,
mio dolce mare.
 
Unico e solo traditore
fedele a tutti.
 
(Carolina Montuori, inediti)
 
 

C’è un ampio sentore di serena accettazione delle contraddizioni del reale, della bellezza a volte terribile e indifferente della natura, della precarietà dell’esistenza, in questi testi di Carolina Montuori, cui la sua parola, da contraltare, oppone il valore prezioso dell’esserci, dell’ascolto, dell’avere cura, in dei versi molto compiti e leggeri, in cui l’accogliere i contrasti dell’altro-da-sé – sia esso il mondo materiale o umano – diventa atto di perdono, di remissione completa, di accesso alla grazia.

Il silenzio dell'uomo che ascolta e cura - Carolina Montuori 1

Nel primo testo si inizia evidenziando il valore del silenzio, inteso principalmente come capacità di ascolto e di cura, e dunque l’opposizione è sostanzialmente quella tra l’importanza del gesto e quella della parola: gesto che si traduce in accoglienza completa, “cura del soffio / di un altro”.

Tale respiro viene poi posto in parallelismo con quello della musica, “che per natura / è muta”, ma in cui è impossibile non notare le differenze quando “muta dello spartito / una nota”: è pertanto valorizzato il senso universale e collettivo delle azioni umane, le quali, prese singolarmente, non possono realizzare “musica”, ma la cui assenza o presenza, inevitabilmente, incide sul risultato d’insieme, e sensibilmente.

L’io del testo riconosce sia l’importanza di questo silenzioso atto di premura e dedizione all’altro-da-sé, sia la sua incidenza sull’armonia “musicale” che esso può ingenerare.

Si affronta poi l’opposizione tra dissolvenza e presenza dell’esistenza, e per converso la fragile provvisorietà della vita: “tutti muoiono / dopo aver vissuto” vorrebbe “poter dire” la Montuori, ma a tale “amarezza disfacente” preferisce sostituire “la bellezza d’esser nata”. È questa una visione molto aderente al pensiero occidentale e, tra gli altri, a quello esistenzialista, in particolar modo per avvertire la morte come antagonista reificato e principio assolutamente negativo, cui opporre un principio opposto di assoluta vitalità e bellezza (tendenzialmente incorruttibile e in continua rinnovazione, in quanto principio): in tale ottica “l’essere nati”, per quanto sia fenomeno provvisorio e transitorio, diventa possibilità di conforto e accesso al mistero della bellezza, in grado di consolare dalla certezza del disfacimento della coscienza, dell’uomo, della vita.

C’è infine un testo che si rivolge direttamente al “dolce mare”, e con esso, verrebbe da pensare, a tutti i fenomeni naturali e apparentemente indifferenti agli umani affanni e traversie, in cui, attraverso la personificazione, si intuiscono tracce di un dialogo con il divino: “ti perdono”, scrive l’autrice, con un gesto di accoglienza completo, definendolo “unico e solo traditore”, verosimilmente di quelli che possono essere i mille contingenti desideri e le aspettative dell’uomo, e nel contempo “fedele a tutti”, perché incapace di abbandonare: il mare, e ciò che rappresenta, resta sempre presente per chi riesce ad accettarne il mistero da un punto di visto non antropocentrico.

Ed è questa possibilità di cura, traslata dal “respiro di un altro” a quello della natura e del mare, ad apparire come occasione di grazia e di conforto dall’ansia del “disfacimento”, in un perdonare che può essere un donarsi, dimenticandosi in un assoluto ascoltare.

Mario Famularo