Un giorno uno studioso in treno trabalza. Sente un bambino che dice: “Mamma, guarda il mare color del vino”. Aveva usato l’epiteto che Omero attribuisce al mare: “óinopa pónton”, “mare color del vino”. Come vedevano i Greci il mare? Innanzitutto “sterile”, perché erano carnivori e non amavano i pesci. I compagni di Ulisse, quando sbarcano nell’isola del Sole, pur di non mangiare pesce si cibano delle carni del dio, andando incontro alla loro rovina. Per questo chiamano il mare “atryghetos”, “infecondo”, “senza messi”, “senza raccolto”. Quando è “infecondo” il mare si chiama “hals”, “distesa salata” e semplicemente “sale”. In Omero l’espressione “la riva del mare infecondo” è formulare, cioè ricorrente e capace, per il fatto stesso di “accadere” regolarmente nel verso, di farsi panorama del mondo. Il vino del greco moderno non è più il classico “óinos” ma “krásí”, letteralmente “mescolanza”, dall’espressione “krãsis óivou”, cioè “mescolanza del vino” con l’acqua. La parola moderna ricorda una pratica importante nei simposi, dove giovani coppieri mescevano il vino con acqua fresca di fonte in vasi a bocca larga, chiamati crateri per abbassare la gradazione e cercare la freschezza per evitare gli eccessi. A proposito di cose vive e fresche l’acqua, tanto preziosa in un’isola circondata dal sale, in greco moderno è per eccellenza la “viva”, la “fresca”, la “giovane”, non è più l’”ýdor” classica ma la “neró”, superstite dell’”ydor néaron”, che significa “acqua giovane”, “fresca”. Il mare nella sua estensione di superficie e profondità, è detto “pélagos”, che significa “alto mare” e “immensità”. Il mare primordiale è il “póntos”. Lo genera la Terra ma, precisa Esiodo, “senza amore gradito”, cioè senza accoppiarsi con gli altri dei. Pontos non è protagonista di nessuna storia, forse perché è lo sfondo di tutte le storie che la Grecia ci racconta. È sia il mare come elemento da attraversare, che il dio che lo abita, senza possibilità di distinzione. Pontos è il mare come via di comunicazione e passaggio, ma è difficile, sempre pronto a rivendicare la sua invalicabilità. Dalla stessa radice di questa parola deriva il nostro “ponte” e il termine “póros” che significa “passaggio” e “risorsa”. Póros (abbondanza) e Penía (povertà) sono i genitori di Eros, come dice Platone nel “Simposio”. Da Eros deriva “erastés”, l’amante”. Erastés è il filosofo e l’amore stesso è un passaggio verso un approdo di conoscenza. Il contrario è “aporia” che significa “dubbio”, “difficoltà”, termine filosofico che indica una battuta d’arresto del pensiero speculativo. Un’altra parola per indicare il mare è “Thálassa”, il mare azzurro e pescoso, che rifrange la luce del sole e scintilla. I suoi genitori sono “Etere”, il cielo più alto e luminoso, dove l’aria è rarefatta e solo gli dei la possono respirare e “Heméra”, che significa “Giorno”. La parola “thálassa” è primordiale, dal momento che non appartiene al patrimonio linguistico europeo, ma risale all’antichissimo e misterioso sostrato mediterraneo. In greco moderno “thalassinós” significa “azzurro” (letteralmente “marino”). Se vai al ristorante ordini i “thalassiná”, cioè i pesci, “le cose del mare azzurro”. Se c’è una mareggiata i greci la chiamano”thálassa”, oppure “furtúna”, nel nostro senso di “fortunale”, cioè mare in tempesta. Ma il termine più bello del greco moderno è “l’inquietudine del mare”, la ”thlassotarachí”, termine che rimanda ad “atarassia”, la “mancanza di turbamenti” propria del filosofo epicureo (mentre gli stoici la chiamano “apátheia”, da cui deriva la nostra “apatia”). A questi nomi si aggiunge quello di “Oceano” (“Okeanós”), generato da Terra e Cielo. Anche Oceano appartiene alla prima generazione di dei. Sua moglie è una misteriosa Tethýs, da cui nascono le ninfe del mare dette Oceanine, i fiumi e le ninfe delle nuvole che portano la pioggia. Per i Greci “Okeanós” è l’origine di tutte le acque, dolci e salate. Omero addirittura dice che “l’origine di tutte le cose”. Il filosofo Talete alla ricerca dell’arché dell’universo dirà la stessa cosa. Dall’antico “Okeanós” deriva il nostro oceano, il complesso delle acque salate presenti nella superficie del pianeta e la distesa dell’acqua salata che si contrappone al mare per le sue dimensioni. Al di là delle acque si estende il regno del “Buio”, “Erebos”, uno dei tanti nomi del regno dei morti. Erebo deriva al greco dal sumerico, parola incastonata nella parola “Europa”, letteralmente “la terra del buio”. Anche la parola Occidente deriva dal verbo latino “cádere”, da cui deriva “occídere” e Occidente. Il contrario sono l’oriente che significa sorgere e la nota espressione “Ex Oriente lux” (dall’Oriente viene la luce”). Le parole greche marine non hanno relazione con le altre lingue come il latino “mare” e la sua radice. Le parole greche sono definite da un poeta greco Yorgos Seféris “sklirá” (greco antico “sklerá), “dure”, perché conservano molto del mitico prima del suo passaggio al “lógos”: “Nelle grotte marine / c’è una sete, un amore / c’è un’estasi, / ogni cosa è dura come conchiglia / puoi tenerla in mano.
Gianni Giolo