Il gioco della vita e il peccato dell’infelicità: l’arte del vivere nei versi di Borges ed Edgar Lee Masters

Qual è il peggiore dei peccati che un uomo possa commettere? Jorge Luis Borges, riferendosi a sé stesso e alla propria esistenza, non ha dubbi: “Ho commesso il peggiore dei peccati / che un uomo può commettere. Non sono stato / felice […]”1. Versi, questi, contenuti nella poesia Il rimorso, inclusa nella raccolta La moneta di ferro, pubblicata nel 1976. Composta in un momento particolarmente doloroso (pochi giorni dopo la morte della madre), la lirica è uno spietato bilancio esistenziale in cui il poeta, alla luce della penosa perdita familiare, dichiara di aver violato il patto che ogni figlio contrae con i propri genitori al momento della nascita. Quale genitore, infatti, non si augura la felicità dei propri figli? L’autore ammette di non essere stato felice, di aver deluso la volontà dei propri cari che lo hanno generato “[…] per il gioco / azzardato e stupendo della vita”2. Questa consapevolezza genera in Borges un acuto rimorso, un sentimento tenace in grado di rammentare dolorosamente le ragioni del “peccato” commesso: “Mi applicai alle caparbie simmetrie / dell’arte, che congegna vacuità. / Ereditai audacia. Non fui audace”3. Confessione amara quella del poeta, che esprime in pochi versi il senso di indegnità e inadeguatezza originato dalla coscienza di aver consacrato la propria esistenza allo studio e alla scrittura, tradendo con la sua condotta l’eroica audacia ereditata dagli avi.

Ammissione che nella forma del sonetto assume i toni dell’accorato epitaffio, consonando a distanza di tempo con la famosa Antologia di Spoon River, raccolta di poesie composta dallo statunitense Edgar Lee Masters. A proposito di quest’opera, Antonio Porta ha rimarcato la ricorrente presenza di “brucianti confessioni” in cui uomini e donne ormai defunti rievocano una vita “perlopiù sprecata, consumata lontano dai desideri e dalla felicità”4. Sì, confessioni, perché l’opera di Masters, nella sua edizione definitiva, edizione newyorkese datata 1916, contiene più di duecento epitaffi in cui i defunti dell’immaginaria Spoon River raccontano in prima persona la propria vita e le circostanze della loro morte.

Il rimpianto per una vita non vissuta pienamente è il tema di una delle poesie più conosciute dell’opera, quella in cui George Gray si rivolge ai suoi immaginari interlocutori per chiarire il significato dell’allegoria scolpita sulla sua lapide. Senza retorica rivela che la barca con la vela ammainata ferma in porto rappresenta il corso di un’esistenza mai veramente vissuta. Una vita tranquilla, assimilata dalla voce del defunto a una navigazione mai intrapresa, a una barca che pur desiderosa di dare senso alla vita si è sottratta ai “venti del destino” 5, rifiutando passioni, azzardi e rischiose ambizioni. Adesso, consapevole dei propri errori, Gray dichiara necessaria – anche a costo di approdare alla follia – l’ostinata ricerca di un senso esistenziale, perché “[…] una vita senza senso […] è una barca che anela al mare e ne ha paura” 6.

Se George Gray non ha mai “navigato”, rimanendo in una condizione di inquietudine e vago desiderio, un altro tra i defunti sepolti sulla collina di Spoon River non ha compiuto lo stesso errore. È il violinista Jones, uno dei personaggi più importanti della prima metà del libro. Al desiderio di possesso che spinge molti a sacrificare ogni cosa, Jones contrappone un’esistenza risolta, dedita alla musica, arte che gli ha concesso di accordare il proprio cuore alla segreta vibrazione del mondo. Nella parte centrale della composizione, grazie ad antitesi efficaci, il defunto interroga l’interlocutore rievocando senza rammarico il proprio sguardo sulle cose: “Che cosa vedi: un raccolto di trifoglio, / o un prato su cui camminare fino al fiume?/ Il vento passa fra il granoturco: ti freghi le mani / pensando ai manzi pronti per il mercato, / oppure senti il fruscio delle gonne […]?”7. L’opposizione tra due visioni alternative dell’esistenza è resa più evidente dai versi successivi, in cui Jones richiama la figura di Cooney Potter, protagonista dell’epitaffio che nell’articolazione dell’opera risulta immediatamente precedente. Se Cooney ha sacrificato la propria vita e quella dei familiari per accumulare acri, Jones chiarisce in pochi versi le ragioni della sua differente condotta: non si è dedicato ad acquisire ricchezze lavorando perché ogni suono, gradevole o sgradevole, ha rappresentato una fonte di ispirazione musicale. Come avrebbe potuto, infatti, dissodare i campi o acquisirne di nuovi se il canto degli uccelli o lo scricchiolio di una macina erano sufficienti a suscitare nella sua mente “una ridda di corni, fagotti e ottavini?” 8.  Nella sua vita tanti ricordi e l’immagine di una morte giunta a interrompere l’ennesima sonora risata di chi ha vissuto pienamente, senza rimpianti. 

È forse lui, il suonatore Jones, con il suo violino e l’accettazione del destino, l’esempio da seguire per essere felici? Difficile rispondere. Certo è – e forse anche Borges l’avrebbe ammesso – che per Jones l’arte della musica non ha mai rappresentato un ostacolo al raggiungimento di una pienezza esistenziale che tanto assomiglia alla felicità.

Giulio Mazzali

 
 

Riferimenti bibliografici

Borges J. L., La moneta di ferro, a cura di Tommaso Scarano, Adelphi, Milano 2008;

Masters E. L., Antologia di Spoon River, a cura e con una postfazione di Antonio Porta, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2009 (1915);

Masters E. L., Antologia di Spoon River, Introduzione, traduzione e commento di Alberto Cristofori, La nave di Teseo, Milano 2022.

 
 
 
 
 
 

1 Jorge Luis Borges, Rimorso, vv. 1 -3, in La moneta di ferro, a cura di Tommaso Scarano, Adelphi, Milano 2008, p. 59.

2 Ivi, vv. 5 – 6.

3 Ivi, vv. 10 – 12.

4 Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura e con una postfazione di Antonio Porta, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2009, p. 10.

5 Edgar Lee Masters, George Gray, v. 11, in Antologia di Spoon River, Introduzione, traduzione e commento di Alberto Cristofori, La nave di Teseo, Milano 2022, p. 512.

6 Ivi, vv.14 – 16.

7 edgar lee masters, Il violinista Jones, vv. 5 – 9, in Antologia di Spoon River, op. cit., p. 481.

8 Ivi, v. 19.