Il filo torto – Angela Suppo

Di un’opera letteraria ciò che importa innanzitutto è captare lo spirito di chi la crea, ma anche, citando Karl Kraus, cogliere «l’intonazione dell’opinione e la distanza con cui la si dichiara». Non è un caso che si evochi la scrittura aforistica e paradossale di Kraus per introdurre la poesia di Angela Suppo, la cui cifra non secondaria è l’ironia, l’attitudine all’espressione arguta e talora mordace. Si tratta soprattutto di un modo non convenzionale di osservare e interpretare la realtà, non così usuale in poesia. Ne costituisce una prova felice il libro Il filo torto, edito da Puntoacapo nel 2022, con la prefazione di Daniela Bisagno e la postfazione di Alfredo Rienzi.

L’ordine delle tre sezioni in cui è ripartita la raccolta è già il segnale di una disposizione etica e intima che si chiarisce del tutto a lettura ultimata. La sezione di apertura, dal titolo Antropica, raggruppa testi in cui l’istanza morale e l’osservazione della società contemporanea sono prevalenti e la lente ironica è lo strumento privilegiato. I motivi su cui si focalizza l’acutissima attenzione della poetessa sono il riflesso di una attualità molteplice e complessa: dall’insofferenza per alcune mutazioni del linguaggio alle questioni di genere, dall’insensata persistenza delle guerre all’estremizzazione delle disparità sociali, dalle rivoluzioni mancate all’esibizione smodata di sé, da cui sono tutt’altro che esenti anche poeti e letterati. «Per sovraesposizione mediatica / si usi una forte protezione. // […] // È da saggi dunque ricordare / che il troppo mondo è sempre da evitare»; in altri tempi e in altri contesti già Kavafis invitava ad avere cura della propria vita, a «non sciuparla / nel troppo commercio con la gente / con troppe parole e in un viavai frenetico». Tuttavia la parola di protesta o di indignazione non è mai gridata, assume sempre un tono garbato e misurato, con una sorta di distacco partecipe che consente di andare alla radice dei comportamenti e far emergere le contraddizioni del vivere comune. È un invito a sorridere di noi stessi e a riflettere sul senso delle nostre azioni, con severità ma anche con indulgenza dinanzi alle fragilità e alle manchevolezze dell’animo umano. Perché un sincero senso di pietas guida anche i versi in apparenza più pungenti, diventando man mano il sentimento pervasivo delle sezioni successive.

Nella sezione Via del Canto la temperatura lirica si fa più elevata e la vena satirica si stempera, poiché muta l’orizzonte di riflessione. Dai macrocontesti sociali si passa allo sfondo dei luoghi amati, contrade e paesaggi liguri, dove la vita si svolge a contatto con gli elementi della natura. Il tono è a tratti elegiaco e una pensosità di impronta filosofica detta versi più malinconici. L’osservazione delle cose minute, come quelle presenti in un negozio di ferramenta, diventa occasione di meditazione sul dolore e sulla precarietà della condizione umana: «Perché cercando / il difficile si allenta, / si svita l’ingranaggio inceppato, / l’oscuro si apre e si rivela». Ma è soprattutto il paesaggio a riempire lo sguardo, a suscitare emozioni, la natura dolce e aspra delle colline e degli ulivi, «tra orti di agrumi» e «chiese di vento aperto / e di marine», là dove alcuni passaggi sembrano richiamare la levità descrittiva di Biamonti.

Si definisce a questo punto l’impianto formale del libro, le tre sezioni si mostrano disposte secondo una sorta di climax dall’esterno all’interno, dall’orizzonte collettivo a quello individuale. L’interiorità è il campo d’indagine della terza e ultima parte, Il filo torto, che non a caso dà il titolo al libro. Qui è racchiuso il nucleo profondo del pensiero poetico di Angela Suppo, e l’ironia, sempre presente, è usata tuttavia con discrezione e con un retrogusto di amarezza. Molti testi sorgono dall’esperienza del vissuto quotidiano o del dolore, il tocco è lieve e malinconico: «Ognuno ama il suo veleno, / lo insegue, ne dipende, / con pudore lo nasconde»; «Galleggiare sul tempo, / sul dolore. / Fare il morto e salvarsi: / resistere a guardare / solo in alto». È sotteso in queste occasioni un intento memoriale, come ad arginare lo svanire degli affetti e dei giorni («Cosa resta di noi nelle strade»; «lo vedi come si ripete il tempo: / non lo stesso, ma uguale»). La memorabilità è un altro carattere importante del linguaggio dell’autrice, che predilige il dettato chiaro e diretto e l’uso frequente della rima, con un effetto di leggerezza e cantabilità. La sua voce si potrebbe accostare per certi aspetti a quella di personalità singolari come Daria Menicanti, per la malinconia sottesa al sorriso, Wisława Szymborska, per la trasparenza e l’apparente leggerezza, ed Elaine Equi, per il wit, il guizzo d’intelligenza lucida e agile.

Ecco che il filo torto del titolo potrebbe indicare la complessità di un reale che non prevede percorsi lineari ma piuttosto andamenti per curve e spirali. Quel che soccorre, anche quando il senso del tragico sembra prendere il sopravvento, quel che consente di schivare persino l’insostenibilità della fine, è un sorriso come un bagliore nel buio: «Signore riservaci uno scalino: / stare in piedi per l’eternità, / a mani giunte, / sarebbe scomodo.»

Daniela Pericone

 
 
 
 
Statistiche
 
Sì, gli anestesisti
si uccidono di più.
 
Ma anche i poeti,
se non frequentano eventi,
e scuole di poesia,
là dove si raddrizzano
versi
e si fingono dolori,
troppo veri,
a non far male. 
 
Con l’esercizio si impara
a sopportare la vita,
e alcuni suoi vantaggi.
 
 
 
 
 
 
Ottusità
 
Come la vespa prigioniera,
tra la tenda e il vetro.
 
Così innocentemente stupida,
testarda quanto basta
a non vedere
uscita.
 
Come lei ronziamo,
impotenti,
in attesa
che un bicchiere pietoso,
e una cartolina,
ci liberino.
 
 
 
 
 
 
Solitario serale
 
Incarta bene se vuoi
che i conti tornino:
alle domande che fai,
ai vuoti voti,
risponde a volte il solitario.
 
Incarta bene ogni sera:
qualcosa si chiarirà,
sia caso felice l’armonia
di numeri e colori.
 
Ma ormai, se bari un po’
per sapere ciò che vuoi,
non è poi così grave.
 
 
 
 
 
 
Citalopram
 
La quinta goccia è quella
che dà il sonno,
propizia sogni,
allontana il dolore,
eco nella caduta,
lago che si rifrange.
 
Ognuno ama il suo veleno,
lo insegue, ne dipende,
con pudore lo nasconde.
 
 
 
 
 
 
Marzo 2020
 
I
Galleggiare sul tempo,
sul dolore.
Fare il morto e salvarsi:
resistere a guardare
solo in alto.
 
 
 
 
 
 
Anime sante
 
Signore riservaci uno scalino:
stare in piedi per l’eternità,
a mani giunte,
sarebbe scomodo.