I Mágoi e gli influssi culturali iranici sul mondo greco

Lo scontro tra l’Impero persiano e il mondo greco, che giunse al suo drammatico apogeo nelle Guerre Persiane, non impedì un continuo, persistente, vivo scambio tra i due mondi a livello di pensiero, cultura e mentalità. Tra gli indizi degli influssi iranici sulla grecità va annoverata la ricorrenza in testimonianze letterarie e archeologiche del termine mágos (mavgoς), che, se da una parte denota una precisa interferenza sul piano linguistico, derivando dal persiano magush, attesta dall’altro una precisa conoscenza della realtà storico-sociale e cultuale persiana.

Ben noti sono i riferimenti dello storiografo Erodoto ai mágoi, descritti come una classe di sacerdoti Medi teologi, sapienti e legati alla regalità. Nella stessa veste essi compaiono nel trattato Magikós, attribuito con qualche incertezza ad Aristotele. Tuttavia il vocabolo finisce per rivestire una accezione più ampia: nell’opera ippocratica De morbo sacro i mágoi sono spregiativamente associati a purificatori mendicanti e vagabondi. Tra le fonti più tarde, Plutarco, che nella Vita di Temistocle riferisce come il generale ateniese venne introdotto alla dottrina dei magi durante il suo esilio; e Plinio e Tacito definiscono magus il re armeno Tiridate, a Roma in epoca neroniana. Al di fuori del contesto letterario, in un’iscrizione bilingue – in greco e in aramaico – collocabile probabilmente nel I sec. d.c. e proveniente dalla Cappadocia, regione di confine, si fa cenno a un uomo che fu mago per il dio Mitra.

Sarà utile precisare, per inciso, che non soltanto i mágoi, ma anche la figura chiave della religione iranica, Zarathustra o Zoroastro, è attestata da fonti greche. Nel suo studio Da Omero ai Magi W. Burkert ricorda che Zoroaster è presente in Xanto di Lidia e nell’Alcibiade platonico, mentre il sistema dualistico proprio dello zoroastrismo – che vede una netta contrapposizione tra il bene e il male – compare in Teopompo, in Aristotele e in Aristosseno.

Nel papiro di Derveni (V sec. a.c. circa), contenente una teogonia orfica con pratiche e credenze filosofico-religiose su demoni e anime legate a un contesto presocratico, si attesta la presenza di magi dediti a riflessioni speculative.
Si riporta qui sotto uno stralcio del testo – nell’interpretazione di K. Tsantsanoglou – in cui i mágoi sono più volte chiamati in causa.

Preghiere e sacrifici propiziano le anime. L’incantesimo dei magi ha il potere di allontanare i demoni che si intromettono come impedimento. I demoni sono un impedimento, poiché sono nemici delle anime (oppure: sono anime nefaste). Per questo motivo i magi celebrano il sacrificio come per fare un’espiazione; sulla materia sacrificale essi fanno libagioni di acqua e di latte, con cui effettuano anche le offerte funebri. Consacrano focacce innumerevoli e piene di piccole protuberanze, poiché anche le anime sono innumerevoli. Gli iniziati compiono sacrifici preliminari alle Eumenidi, nello stesso modo dei magi. Le Eumenidi infatti sono anime. Per questa ragione chi si appresta a sacrificare agli dèi dovrebbe prima (sacrificare)… di uccello…

Qui i mágoi sono presentati come esperti e sapienti in relazione a riti paralleli ma separati rispetto a quelli degli iniziati, e rappresentati con una certa congruità al loro originario contesto iranico. Il rituale cui si fa riferimento pare profilarsi come sacrificio cruento destinato ai demoni in chiave apotropaica; le libagioni di acqua e latte sembrano estranee al contesto greco, e richiamano il passo dei Persiani di Eschilo – riportato da Burkert – in cui Atossa fa le offerte funebri per Dario con latte, miele, acqua e vino.

La molteplicità di demoni e anime che trapela dal testo del papiro riconduce in particolare alla tradizione pitagorica, a partire dal ben noto passo di Diogene Laerzio tramandato da Alessandro Poliistore: «Tutta l’aria è piena di anime, e queste sono chiamate demoni ed eroi, e trasmettono agli uomini sogni, segni e malattie…». Quanto ai magi, essi sono presentati come maestri del canto magico dalla valenza sacrificale già in Erodoto, e le loro pratiche descritte nel testo di Derveni si accordano con quanto afferma Diogene Laerzio: «I Magi si occupano del culto degli dèi, dei sacrifici e delle preghiere, essendo gli unici ad avere ascolto presso le divinità […] praticano anche la divinazione… e l’aria è piena di immagini che, esalando, si immergono nella visuale degli uomini di vista acuta». Si stabilisce qui un nesso tra le attività dei mágoi e la teoria presocratica delle immagini di Democrito, riferita ad esperienze quali sogni e visioni; l’autore di Derveni attribuisce loro tanto le competenze rituali quanto la visione di un mondo pervaso di anime e demoni. Un ulteriore passo del papiro in cui si afferma che l’universo fu chiamato Zeus attesta la vicinanza al pensiero di Democrito, il quale descrive «maestri della parola» che, tendendo le mani verso il cielo, chiamavano l’universo con il nome di Zeus.

Così è evidente come anche le riflessioni sui magi entrino a far parte di un vasto amalgama composto da dottrine persiane e pensiero presocratico; prova di influssi culturali persistenti, in grado di oltrepassare dinamiche storicamente circoscritte di conflitto, assoggettamento e dominio e di costituire un sostrato di idee e pratiche continuativamente vivo e operante nella Grecia del V sec. a.c.

 
 
 
 

BIBLIOGRAFIA GENERALE

J. Bidez, F. Cumont, Les Mages Hellénisées, Paris 1938.

W. Burkert, Da Omero ai Magi. La tradizione orientale nella cultura greca, Marsilio, Venezia 1999.

K. TSANTSANOGLOU, The First Columns of the Derveni Papyrus and their Religious Significance, in A. Laks, G. W. Most, Studies on the Derveni Papyrus, Oxford 1997.