I bimbi nuotano forte – Isabella Bignozzi

Da una poesia di Giovanna Sicari, come a voler prendere dalla costola di una grande poeta la verticalità del suo lirismo, Isabella Bignozzi ne estrapola un verso, trasformando quest’ultimo in una sorta di titolo-pastiche: I bimbi nuotano forte. In quest’ultima raccolta, edita da Arcipelago Itaca, ogni esergo riportato traccia una mappa dei poeti a lei cari: Francesca Serragnoli, Massimo Morasso, Gianfranco Lauretano, Nicola Bultrini, Cristina Campo e la stessa Giovanna Sicari.

I versi di questo libro tendono all’evocazione più che all’espressione: «portami pace/ al meridiano astrale/ raggio d’oro – tu – in una cattedrale». Alcuni lessemi riconducibili ad elementi ieratici ne conferiscono un’andatura protesa al raccoglimento da cui ne deriva quasi un’invocazione alla pace e alla calma. Inoltre, archetipi e simbolismi della religione vengono assorbiti dalla poetica di Bignozzi, avvicinando, così, mondi apparentemente distanti fra loro, attraverso elementi in antitesi: il «Golgota arcuato dello splendore». La sua scrittura sembra essere mossa da un pensiero benefico e benevolo verso il mondo circostante o verso un ‘tu’ intimistico: «quando ti abbraccio/ un albero di maree radica al largo». Le immagini spaziano dal realismo all’antirealismo, combinandosi in movimenti concreti e spirituali e profilandosi in un linguaggio che ri-conduce allo straniamento.

Anche gli elementi naturalistici permeano nella poesia di Bignozzi in pieno e armonico accordo con la sua scrittura, divenendo emblemi di un intreccio inestricabile con la vita dell’uomo. A volte rappresentati in chiave sinestetica, tali elementi naturalistici, appaiono nei versi come segno di inscindibilità e di sguardo conglobante della parola poetica che tende a farsi afflato del mondo. Alcuni strumenti musicali riportati («violino», «arpa», «tamburi», ecc.) non danno soltanto il senso del ritmo ma lo raffigurano, lo rendono visivo.

La polisemanticità della poesia di questo libro impegna e conduce il lettore a molteplici riletture, individuando continui aspetti di una parola che muta e di una scrittura protesa ad accostamenti ossimorici, talvolta ad una callida iunctura.

«La nave del dolore/ arma le vele a farfalla»: l’evento doloroso, nella poetica di Bignozzi, appare sublimato e trasformato in una forma di bellezza e purezza. Le afflizioni umane diventano «gelo soave» e «catastrofe di gigli», nella piena consapevolezza che «l’andare al crollo/ è il solo capitombolo di salvezza».

Snodo significativo della raccolta sembrerebbe la poesia dal titolo “han casa i bimbi” (p. 21), dove trova spazio una chiave interpretativa: la poeta, al culmine dell’intensità evocativa, prova a dirci com’è fatto il mondo dei bambini e il loro sonno:

«[…] la notte insufflano i fiati soffici
come cigni piumati nei petti addormentati
sonoro il sonno di strumenti posati
e floreali fermezze di ossigenate fedeltà
in cui gioia incandescente s’attenua e riposa
[…]»

Le visioni della poeta appaiono, a tratti, come lo sguardo di un bambino che riscrive il reale e rende possibile la visibilità di un lucore celato, alchemico, che solo i più piccoli possono catturare.

L’amore, a volte richiamato e a volte desunto, appare in un’ottica filantropica o materna ma anch’esso ammantato da un mistero pieno di sacralità e devozione:

« […] così le tue mani, cripte caldissime
inarcano al fuoco le pupille dei santi,
nel battesimo di una rosa segnano
l’infinito amare
[…]».

Vi è una sorta di taumaturgia sottesa nei versi di Bignozzi e un linguaggio fideistico attraverso cui viene ridefinita la vita vissuta e quella percepita: «giovani arcangeli curano con santa cattiveria/ le impervie irrevocabilità della luce».

Serena Mansueto

 
 
 
 
una chiusa d’attesa
 
una chiusa d’attesa
a guardare dal fuori tempo
 
sguardi scaleni dietro i muri
e qui nel fremere di tutto
 
questa continua giravolta
dell’amore che non ti assolve
 
 
 
 
 
 
han casa i bimbi
 
han casa i bimbi sui velieri dei pianeti
e muovono sassi candidi
nei tomboli di schiuma
arzigogolano discorsi d’aquiloni
a brezze azzurre e costellazioni
 
un arco giovane di cavalieri
e regine degli astri le serissime
loro laboriosità imbronciate
perfezioni d’angeli indaffarati
in arborei principati sottomarini
 
la notte insufflano i fiati soffici
come cigni piumati nei petti addormentati
sonoro il sonno di strumenti posati
e floreali fermezze di ossigenate fedeltà
in cui gioia incandescente s’attenua e riposa
 
 
 
 
 
 
la disciplina della gioia

a Cristina Campo

un male a sfiatarti il petto
e dicevi della gioia
questa disciplina in caduta
sullo sgomento del fiorire
 
non si può dire salvezza
solo i fili tra le cose
seta nel cielo, tornare bimbi
fare dei versi
una catastrofe di gigli
letali di trasparenza
 
 
 
 
 
 
a sostenere l’urto
 
a sostenere l’urto, follia di dolcezza
del nostro essere scagliati così,
corpi crudi in creazione,
disciolti in luce di mercurio
 
nel piazzale
siamo soli
 
se solo arrotati a croce, a preghiera
potessimo deporci, nudi
ai piedi del perdono