Gli eroi antichi e i dinosauri

Enea è a terra, piegato su un ginocchio, gli occhi come oscurati da un velo opaco. Quel giorno l’eroe greco Diomede sembra invincibile, Atena gli ha assicurato la sua protezione e gli ha concesso persino il privilegio, raro per un mortale, di vedere gli dèi, a loro volta impegnati sul campo di battaglia di Troia a favore dell’una o dell’altra schiera di combattenti. A colpire il guerriero troiano sul fianco, lacerandogli la pelle e costringendolo a interrompere lo scontro, è stato un masso smisurato: per renderne la grandezza e il peso, Omero spiega infatti che «non riuscirebbero a sollevarlo due uomini, di quelli che vivono oggi», mentre Diomede «lo palleggiò facilmente», come se fosse un innocuo sassolino. E fu solo l’intervento tempestivo di Afrodite, madre divina di Enea, a evitare il peggio, quando già il suo avversario si apprestava a infliggere il colpo di grazia.

Questa scena dovette diventare famosa nel mondo antico, compreso il dettaglio del masso smisurato che Diomede scaglia senza difficoltà: quando il più grande poeta latino di tutti i tempi, Virgilio, raccontò a sua volta di un duello mortale, che opponeva Enea al principe rutulo Turno, spiegò che questi si preparava a lanciare contro il condottiero troiano un altro macigno, che «a stento riuscirebbero a caricarsi sul collo dodici uomini scelti, visti i corpi che adesso produce la terra». Virgilio, insomma, moltiplica per sei il numero che trovava in Omero, ma la circostanza che intende sottolineare è la stessa: gli eroi di un tempo erano infinitamente più forti dei contemporanei del poeta ed erano dotati di un’energia che sarebbe del tutto fuori portata per chi è venuto dopo di loro.

Di fronte a pagine come queste è facile pensare di trovarsi di fronte a una convenzione puramente letteraria, un luogo comune che passa da un autore all’altro grazie all’eccezionale autorevolezza dei poemi omerici, nei quali aveva fatto per la prima volta la sua comparsa: ma si tratterebbe di un’impressione inesatta. Greci e Romani sono infatti convinti che gli eroi, protagonisti di saghe epiche come il viaggio degli Argonauti o la guerra di Troia, fossero caratterizzati in primo luogo da una straordinaria potenza fisica: i loro erano corpi speciali, più grandi e più forti e proprio per questo capaci di imprese mirabolanti; corpi potenti, che persino dopo la morte erano in grado di assicurare alle città che li ospitavano la loro protezione contro le minacce provenienti dall’esterno, al punto che il mondo antico conosce il fenomeno del furto delle reliquie non meno di quanto accadrà secoli dopo nell’Europa medievale con i resti mortali di martiri e santi.

Così, quando gli Spartani seppero dall’oracolo di Delfi che avrebbero vinto la guerra contro Tegea solo se avessero recuperato le ossa di Oreste, l’eroe figlio di Agamennone, si misero alla ricerca spasmodica del sepolcro e furono certi di averlo trovato quando si imbatterono in una bara lunga tre metri, che conteneva al suo interno un corpo altrettanto grande. Dal canto loro, gli Ateniesi non furono da meno quando dovettero riportare in patria le ossa del fondatore Teseo, che erano custodite nell’isoletta di Sciro e che furono riconosciute anche in questo caso grazie alle dimensioni eccezionali del corpo. Ecco perché i moderni hanno spesso ipotizzato che simili episodi, a metà strada tra lo storico e il leggendario, potessero rimandare a una circostanza reale: il casuale affioramento di ossa appartenute ad animali preistorici come i grandi dinosauri, nelle quali i Greci scorgevano invece i resti degli eroi che tanti secoli prima avevano percorso le loro terre.

Possiamo allora tornare a Virgilio e a una suggestiva pagina del suo secondo capolavoro, le Georgiche, nella quale il poeta evoca le due guerre civili che si erano combattute appena pochi anni prima sui campi della Tessaglia: tempo verrà che i contadini, incidendo quelle terre con il dente dei loro aratri, faranno emergere dal suolo elmi e armi consumate dalla ruggine e guarderanno con stupore le «grandi ossa» dei guerrieri che lì erano caduti. Dunque, il processo che portava i corpi degli uomini a diventare sempre più piccoli e deboli a mano a mano che il mondo invecchiava era destinato a continuare: in un remoto futuro i contemporanei di Virgilio sarebbero sembrati dei giganti, proprio come un gigante poteva apparire, agli occhi dello stesso Virgilio, l’eroe Turno e il suo macigno, che dodici uomini d’oggi non sarebbero riusciti a sollevare.