Gli atleti – Vanni Schiavoni

Nel nuovo libro di Vanni Schiavoni dal titolo Gli atleti (Interno Libri Edizioni, Interno Versi n.44, 2024) ritorna con evidenza, nel quadro della nostra poesia contemporanea, il dialogo con il mondo della classicità, rappresentato emblematicamente dalle figure archetipiche dell’atleta e dell’eroe, miti che l’autore porta a confrontarsi con le problematiche e le conflittualità odierne. Lungi dal volere effettuare un’operazione di recupero nostalgico dei paradigmi e dei modelli neoclassici, Vanni Schiavoni in realtà riesce a rielaborare e riattualizzare tutto un mondo di immagini, simboli, suggestioni tratti dal mondo classico, con una sensibilità decisamente personale e tutta radicata nella cifra culturale dei nostri tempi, ossia squisitamente attuale. La dimostrazione di questa scelta è innanzitutto ed eminentemente di tipo stilistico con l’adozione di un linguaggio decisamente contemporaneo nel lessico e nella coloritura, all’insegna di una sintassi complessa, ricca di contorsioni interne, poco obbediente a qualunque equilibrio o canone precostituiti, ma tutta giocata su presupposti di anti-concinnitas e di libertà espressiva condotta alle estreme conseguenze, senza deragliamenti; un linguaggio denso di riferimenti culturali e storici, di allusioni colte e non scevro da alcune spinte ascensionali sul piano semantico, come notato da Valerio Grutt nella convinta prefazione: tutti elementi che giustificano la scelta opportuna dell’autore di corredare la raccolta poetica con una serie di note esplicative finali che, in una prosa nitida e espressiva, contestualizzano ed esplicitano alcuni nessi testuali, per aiutare la comprensione del lettore.

Leggendo i versi di Vanni Schiavoni si viene quindi portati per mano e immersi credibilmente in un mondo, quello della classicità, che viene liberato da tutte le tentazioni di un recupero di tipo nostalgico o erudito, viene depurato da ogni concrezione spuria, restituito nella sua natura testimoniale e paradigmatica, sotto la forma di categorie esistenziali sottoposte al vaglio della sensibilità contemporanea. Rispetto alla missione letteraria che si prefigge il mitomodernismo (come da programma fondativo di Conte, Kemeny, Zecchi), con il quale pure non è peregrino ravvisare alcune affinità, il rapporto di Vanni Schiavoni con la componente mitico-simbolica della classicità è estremamente versatile, intrinsecamente dinamica: più che il valore mitico in sé, a guidare l’ispirazione di Schiavoni è il recupero del valore umano connaturato al mondo classico, come esempio di una umanità più profonda e convinta, che va recuperata; alle tre “er” programmatiche del mitomodernismo (eretico, erotico, eroico), pur non trascurabili nella poesia di Schiavoni, si aggiunge qui la “e” prevalente del piano etico e, in ultima istanza, esistenziale.

Vanni Schiavoni, tuttavia, non vuole proporre esempi, ma ci presenta soggettività, personalità, esistenze indagate e scandagliate psicologicamente e costitutivamente, volte a porre interrogativi e dubbi al lettore, che lo portano a indirizzare a se stesso quelle domande imprescindibili alla base di ogni vita che cerca di relazionarsi con l’altro e con la società di cui è parte. Le luci nette della monumentalità classica, il taglio polito del marmo, la gloria incorrotta degli eroi, l’agone puro degli atleti si colorano di una trama complessa di chiaroscuri e di ombre che si stagliano allusive e interroganti sulla coscienza individuale del lettore alla ricerca della costruzione di “un ordine più umano”, come si dice nell’esergo iniziale a firma di Theodor Adorno. Alla fissità scultorea del gesto atletico e del coraggio nel combattimento, resi immortali dall’artista, si contrappone il divenire lacerante della vita, vissuta nella quotidianità del nostro tempo, che solo può rendersi nella forma di “poesia ossificata”, aspirando con l’essenzialità del verso a una preservazione non effimera, a una ragione che possa trascenderla. Mito e storia, idea e realtà, individuo e comunità: è questa tensione dialettica ad animare in modo sotterraneo tutta la struttura, peraltro estremamente coesa, della raccolta poetica, in cui l’incalzare degli interrogativi esistenziali si succede in un climax ascendente che tocca il suo culmine nelle ultime due poesie. Qui emerge, con il contrasto più duro, lo iato profondo fra idealità classica e materialità contemporanea, realtà industrializzata e mercificata dove tutto si riduce all’utile e ogni ulteriore aspirazione tende a essere soffocata e vilipesa, a meno che da parte di ciascuno non torni la volontà coraggiosa di difendere “la cosa giusta”, ritrovarsi così a “casa”.

Fabrizio Bregoli

 
 
Come sfocato nella solitudine di essere un simbolo
con lo strigile detergi la tua gioventù
per scacciare il pulviscolo e il sudore
l’olio per non farsi facili prede
farsi almeno sguscianti.
 
Lo stare in quel modo è un nodo d’amore.
 
Ti guardo come uno dei miei tanti figli
dalla zona costante del mio confino
come tutti i calchi del creato
copie mute di maestranze, ora pianeti
in equilibrio nelle sale dei musei
e nelle depressioni non scandagliate
voi atleti per sempre fermati
nel gesto di essere atleti.
 
 
 
 
 
 
Ho provato a traforare i tratti
di ogni faccia che si possiede:
chi influenzò e fece grande il Macedone
aveva l’età nella barba fitta
e la capigliatura messa indietro e forte
gli emergeva la severità
e lo sprezzo della morte.
 
Così come non tolsi nulla
a quanto natura morse alla bellezza
nella dose dell’ingegno oltre l’apparenza, la chiazza
di pelo rado sopra la fronte arrugata
gli sfregi della sua mutria e il naso ferino
quasi a Socrate mancassero
solo i bernoccoli a farne un satiro.
 
Ho provato a restituire una poesia ossificata.
 
 
 
 
 
 
Si chiede mai se abbiano regole
le ardenti visioni geopolitiche
giacimenti di petrolio o miniere
quanto sia a fuoco l’idea?
 
Il mondo non lo prende
lo riprende vivendolo da un’altra ottica
lo fa più piccolo
lo mette come in avanzo nel petto
ed è orgoglio condividergli un’era
ché le altre non saranno di alcuno
quanto la sua si apre alessandrina.
 
La virtù vera
è dire di passaggio ogni epoca
e pure noi.
 
 
 
 
 
 
A volte fermo, perso tra le bellezze
che avrebbe raccontato di Atene
potevano sorprenderlo nel fresco
come fosse premio le fanciulle
che di lui assetavano il desiderio
e attendevano che tornasse a lacerare l’istante
la catapulta dei suoi deltoidi
il fragore del peso che cadeva
dove non era mai accaduto.
 
Il tempo sarà sincero
coi suoi capelli neri e non vedrà
il crollare delle sue prestazioni
eviterà gli articoli beffardi, le televisioni
a intelaiare le morali che lastricano
i viali certi dei tramonti.