“Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì, invece, non importava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo”. Così scriveva Richard Back nel suo libro più celebre. Come si evincere già dal titolo e successivamente negli esergo, il testo di Ariemma (Gabbiano, Controluna, 2024) si ispira a questa immagine, tanto profonda quanto poetica.
Il gabbiano di Henry spicca il volo nel cielo più alto e luminoso, con il volto della sua amata Francesca (moglie), a cui l’autore ha voluto dedicare l’intera opera. “Svegliami gabbiano svegliami/ perché non dormo più, ti aspetto/come giorno al mio dolore”. Struggenti sono i versi di apertura, come una spada pronta a trafiggere persino l’ultimo strato di pelle.
Versi di puro amore, che si fa largo anche più del dolore stesso. Ariemma non si risparmia e in questo poemetto, sprigiona ogni goccia del suo sentire: la difficoltà di far decollare il loro amore, la perdita di un figlio mai nato, il mare, a cui lui stesso aveva chiesto di trovargli casa. Ma il mare si sa, ascolta sempre le preghiere.
“Ti sei impegnata ad arredare/ casa con vero gusto nella scelta/ di mobili e pittura delle stanze” – e ancora – “Hai tenuto dentro il tuo soffrire/ per la nostra piccola casa persa.// Ti sei data da fare e con la spesa/ per noi e in cucina eri regina.// Una vita nuova sembrava…”. Poi l’ombra della malattia, i segni che si iniziano a fare evidenti. Ariemma è poeta, ma in questo testo è ancor prima uomo e padre. Non si può che restare coinvolti dalla sua compostezza e lucidità. Versi dolci, ma tanto sofferti.
“Tu per sempre giovane/ io sarò il tuo soffio”. E proprio con quel soffio dettato dal cuore, il giovane gabbiano può volare alto ad ali spiegate, consapevole dell’amore sulla Terra, che sempre troverà la strada per raggiungerlo.
Patrizia Baglione
Svegliami gabbiano svegliami
perché non dormo più, ti aspetto
come giorno al mio dolore
sottofondo di luce per credere
a non vedermi avvolto chiarore.
La tua ombra fugace parla
di nuvola, nero intermittente
a rubare sole per continua notte…
Soffocata e scardinata,
sciolta
la voglia d’esistere
d’una candela di compleanno,
d’inganno siete sempre stati.
Tu
Bellezza piena
a saggio sorriso
nel darci la mano
per sempre.
Con te decompongo
Tu per sempre giovane
io sarò il tuo soffio.
M’hai fatto cuore nomade
in questa fredda decade,
anima tranquilla m’eri rifugio
ora il mio centro sibilla
smarrita, gemella
la tua voce.
Per te farò dissezione
d’ogni forma logica,
odo fissioni nucleari
in cerca d’un tuo dolce eco:
odós al martirio,
m’affoga il corpo
e spezza il mio perimetro.
– Cosa sono adesso? –